Ci sono storie, nel vino, che nascono da un’“immaginazione”, e trovano un’”identità” che si afferma e riste nel tempo anche attraverso “l’innovazione”. Storie di cantine nate per motivi diversi, in contesti ed epoche distanti, ed in luoghi diversi del mondo, ma che oggi sono accumate dall’essere stelle del firmamento enologico planetario. ome quelle di Dominio de Pingus, cantina icona della viticoltura di Spagna, o di Harlan Hestate, nome top del vino di California, o ancora di Henschke, memoria storica dell’enologia australiana, di Domaine Leflaive, tra le migliori espressioni della Borgogna bianchista, e di Masseto, etichetta tra le più amate e prestigiose del vino italiano nel mondo, riunite, con i produttori, nel Simposio dei Masters of Wine a Firenze.
“Il bello di Pingus - spiega il proprietario e fondatore della cantina nella Ribera de Duero, l’enologo Danaese Peter Sisseck - è che abbiamo sempre pensato, fin dall’inizio, che tutto dovesse concentrarsi sulla salute delle uve, non sulla cantina. Era un sogno, e c’è stato all’inizio anche un memento in cui le cose non andavano. Ma c’è chi mi ha spronato ad non mollare. Lavoravo al progetto di Pingus la notte, quando il mio impegno come manager in Hacienda Monasterio me lo permetteva. Ho fatto il primo vino nel 1995, e da lì è stata una crescita continua. Siamo diventati leader del territorio, e questo ci ha fatto capire che non potevamo accontentarci della fortuna che avevamo fatto: abbiamo aiutato quelli intorno a noi che avevano più difficoltà, pagando bene le uve e aiutandoli a migliorare. È questo il bello del produrre vino”.
C’è chi, come Bill Halrnan, fondatore della griffe californiana Harlan Estate, ha coltivato il sogno di diventare produttore per quasi 10 anni, prima di trasformarlo in realtà: ”agli inizi degli anni ‘70 ho iniziato a cercare i terreni ideali. I primi li ho comprati nel 1979, e prima di iniziare a produrre mi sono confrontato con Mondavi, ho passato del tempo in Borgogna e a Bordeaux per imparare.
Volevo creare un “premiere cru” in California, e per farlo ho capito che dovevo partire dalla ricerca dei terreni ideali. C’è voluto tempo, ma ci siamo riusciti. Anche se al 90% è stata fortuna. Ma siamo ancora giovani: per capire davvero un territorio ci vogliono almeno 100 anni, noi siamo giusto a metà strada, stiamo costruendo per chi arriverà dopo di noi”.
Tutti progetti a lungo termine, dunque, quelli che hanno dato vita a grandi storie enologiche. Come quello di Domaine Leflaive, storica cantina di Puligny-Montrachet, dove dimora dal 1717, ma che negli ultimi 20 anni è diventata un’icona della viticoltura biodinamica.
“Il cambiamento è iniziato quasi per caso - ha detto Anne-Claude Laflaive, alla guida della cantina ed enologa che, in marzo 2014 ha vinto il Winemakers’ Winemaker Award assegnato dall’Istitute of Masters of Wine - io non sapevo niente della biodinamica, ma sono rimasta folgorata da alcuni incontri. Come quello con Claude Bourguignon, grande agronomo francese, che in un convegno a cui partecipai oltre 20 anni fa, sosteneva che noi, con la viticoltura convenzionale, stessimo uccidendo la terra. Allora decisi di cambiare le cose in azienda, anche con l’appoggio di mio padre, che non era scontanto. Mi sono data 7 anni di tempo per farlo, dicendomi che se non ce l’avessi fatta, avrei lasciato. Siamo partiti con 1 ettaro sperimentare sui 18 che abbiamo, poi siamo passati a 15 biologici e 3 biodinamici, facendo il confronto, e poi, pian piano, siamo passati a tutto biodinamico. Il tutto perchè abbiamo capito una cosa: al centro di tutto c’è il benessere dell’uomo”.
“La nostra - hanno detto Stephen e Prue Henschke - è la storia di un lungo viaggio, iniziato 1862 quando Johann Christian Henschke prianto le prime vigne. Poi ogni generazione, da allora, ha dato il suo contributo per cercare le cose, e oggi noi abbiamo cambiato e stiamo cambiando tanto in vigna ed in cantina, alla ricerca della maggiore naturalità possibile, ed è l’eredità che vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi”.
Una storia nata da un’intuizione, come quella di Masseto (oggi brand che vive di luce propria, di proprietà dei Frescobaldi), “avuta da Lodovico Antinori nel 1981 quando, insieme all’enolgo russo-americano André Tchelicheff, scelsero quella collina sassosa - ha detto l’ad Giovanni Geddes da Filicaja - questi 7 ettari selezionatissimi per fare qualcosa di diverso con il Merlot, cercando il meglio in quella che rappresentava una vera sfida, visto il caldo del territorio. E oggi Masseto è uno dei vini itlaiani più apprezzati nel mondo”. Cinque storie diverse, accumunate dal sogno di uomini che hanno avuto “immaginazione”, hanno saputo creare “un’identità”, e poi saputo manterla pur “nell’innovazione”. Riunendo, nelle loro esperienze, le tre parole chiave del Simposio dei Masters of Wine.
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