“Sette parti di Sangiovese, due di Canaiolo, una di Malvasia”: è la storica “formula” del Chianti così come descritta da Bettino Ricasoli, il “barone di ferro”, secondo Presidente del Consiglio d’Italia dopo Cavour e considerato il “padre” di uno dei più celebri vini italiani e del mondo, grazie alle sue ricerche nel Castello di Brolio nella seconda metà dell’800. Ma se questa è la composizione del vino che si beveva in Chianti nel Risorgimento, chissà come doveva essere il nettare di Bacco bevuto dagli etruschi e dai romani che si trovavano, 2.500 anni fa, in quello che poi gli inglesi avrebbero ribattezzato come “Chiantishire”? La risposta, almeno sulla composizione dei vitigni, potrebbe presto arrivare dall’Università Federico II di Napoli, che studierà e analizzerà gli oltre 400 vinaccioli che gli archeologi della cooperativa Ichnos, insieme agli studenti della Florida State University, hanno ritrovato negli scavi sul poggio di Cetamura, a Gaiole in Chianti, nel cuore del Chianti Classico e che rientra nelle proprietà di Badia a Coltibuono, storica tenuta di epoca medioevale, oggi di proprietà della famiglia Stucchi Prinetti. E così, forse, si potrà scoprire quale era la “formula” del “Chianti” che si beveva 500 anni prima di Cristo ...
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