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Tutto il mondo è Paese, anche quello del vino, nel bene e nel male: anche il Governo di Santiago del Cile sta pensando di aggiungersi alla già interminabile lista di Paesi che, nei prossimi mesi, aumenteranno le tasse sul vino

Tutto il mondo è Paese, anche quello del vino, nel bene e nel male. In questo caso, nel male, visto che anche il Governo di Santiago del Cile sta pensando di aggiungersi alla già interminabile lista di Paesi che, nei prossimi mesi, aumenteranno (o tenteranno di farlo) le tasse sugli alcolici. A lanciare l’allarme, com’è ovvio, sono gli stessi produttori, ben consapevoli che l’economia enoica cilena deve alle esportazioni buona parte della propria fortuna: se la pressione fiscale passasse dal 15% di oggi (una delle più alte al mondo) al 18%, più uno 0,5% in più per ogni grado, con un aumento complessivo del 60%, il prezzo medio sullo scaffale, attualmente di 2,80 dollari a bottiglia, aumenterebbe sensibilmente, rischiando di dare, sia ai consumi interni che a quelli fuori confine, un colpo mortale.

Le motivazioni, com’è facile immaginare, sono sempre le stesse: salvaguardare la salute dei cittadini e finanziare, con i proventi del gettito, programmi di prevenzione ed educazione. I produttori, dal canto loro, ricordano che in Cile l’industria enoica stanzia già molti fondi per progetti sostenibili e formazione, tanto che negli ultimi anni ben 45.000 professionisti sono stati cresciuti dalle aziende stesse. Poi, ci sono altri due dati su cui ragionare, che “sconsigliano” decisamente una mossa del genere: una tassa progressiva, pensata così, penalizzerebbe il vino più di qualsiasi altra bevanda alcolica, spingendo ancora più giù i consumi, in calo costante, proprio come in Italia, Spagna e Francia, da 40 anni. Una sorta di maledizione, se si pensa che qualche decennio fa il vino rappresentava l’86% dei consumi di bevande alcoliche totali, ed oggi solo il 34%, a tutto vantaggio della birra. E non si tratta di gelidi numeri, ma di un trend ben preciso, come racconta “Wines of Chile”, che rappresenta le 90 aziende leader del Paese, compresa la più grande del mondo, Concha y Toro: senza una base solida interna, anche le esportazioni ne risentirebbero, senza contare i danni che patirebbero i piccoli produttori, “perché un conto è chiudere una bottega e aprirne un’altra, altro rinunciare ad un patrimonio culturale”.

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