Si resta nel cuore della Venezia Nativa, ma da Venissa, la tenuta recuperata da Bisol sull’isola di Mazzorbo Burano, una delle più antiche ed affascinanti, ci si sposta nella Laguna più incontaminata e misteriosa, oltre Torcello, dove vivono aironi, cigni e fenicotteri e, non essendoci canali segnati, solo in pochi riescono ad arrivare. È qui che, dopo Venissa, il bianco amato dai Dogi, prodotto nell’antica vigna murata di Mazzorbo Burano dove è stata piantata la Dorona, storico vitigno autoctono a bacca bianca tipicamente veneziano, coltivato fin dal XV secolo e perso nei secoli, il progetto di “archeo-enologia” della storica famiglia del vino veneta fa “rivivere” anche un rosso: il Rosso Venissa 2011. Un vino che rinasce ancora una volta su un’isola, dove un tempo sorgevano le popolate isole di Costanziaca e Ammiana, da una vigna di quasi tre ettari, di oltre 40 anni, piantata dagli Armeni, coltivata a Carmenère allevato a Guyot. Prodotto in sole 4.476 bottiglie da mezzo litro, 188 magnum, 88 jeroboam e 36 imperiali, è un vino dalla storia affascinante.
La preziosa vigna da cui rinasce si trova in un’isola della Venezia Nativa (privata, i cui proprietari, vista la portata del progetto Venissa, hanno affidato il vigneto a Bisol, ndr), l’arcipelago che rappresenta storicamente e culturalmente la prima Venezia, a quindici minuti di navigazione oltre Torcello. “È un vigneto piantato 40 anni fa dagli Armeni - spiega a WineNews Matteo Bisol, direttore di Venissa - che a Venezia hanno diversi possedimenti, affidati loro dalla Repubblica di Venezia dopo la fuga da Costantinopoli. Tra questi ci sono anche isole: la più famosa è San Lazzaro degli Armeni, e poi c’è questa piccola isola con vigneto i cui proprietari ci hanno chiesto di prendercene cura. A Venissa abbiamo piantato i vitigni, qui invece il vigneto era già maturo. Un’esperienza affascinante”.
Dopo Venissa, vero e proprio progetto di ospitalità a 360°, a Mazzorbo Burano nella Laguna di Venezia, con la tenuta recuperata nel cuore della Venezia nativa, con l’Ostello, il Ristorante stellato Venissa, con la chef Antonia Klugmann e il suo orto, e l’antica vigna murata da cui sono state prodotte le prime due annate del bianco Venissa (3.911 bottiglie, delle annate 2010 e 2011, e la terza in arrivo; www.venissa.it), il progetto Venissa di Bisol (che è autonomo dalla cantina principe del Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano, oggi in joint-venture con la Famiglia Lunelli, ndr) - voluto da Gianluca Bisol, con gli enologi Desiderio Bisol e Roberto Cipresso - riporta così in vita anche il Rosso Venissa 2011. I vitigni sono Merlot e Cabernet, o, per meglio dire, Carmenère, l’“avo” remoto del Cabernet Franc, vitigno a sua volta “padre” del Cabernet Sauvignon. Le uve si raccolgono a fine settembre, il vino affina 12 mesi in barriques - rovere francese di primo e secondo passaggio - e 12 mesi in bottiglia. Longevo e minerale come il suo terroir, quello lagunare ricco di limo e minerali.
Nell’ideazione di Giovanni Moretti, l’etichetta sostituita da una foglia d’oro zecchino battuta a mano del Venissa bianco, cede il posto ad una preziosa foglia di rame realizzata dall’attuale discendente dell’antica famiglia Berta Battiloro. L’applicazione è eseguita a mano e la bottiglia poi messa a ricottura nei forni della storica vetreria Carlo Moretti a Murano. Sul vetro di questo rosso unico, sono incisi il nome del vino e il numero progressivo.
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