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Il “marketing relazionale”, quello rivolto a creare, mantenere e gestire un network di rapporti di lungo periodo, può essere il futuro del mondo del vino. Come funziona? Lo spiegano gli esperti alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige

Il marketing del vino è fondamentalmente legato agli incontri diretti con gli operatori e sempre più con i consumatori finali. Questi avvengono fisicamente in occasioni di eventi, visite aziendali, e visite ai clienti ma anche virtualmente attraverso i cosiddetti social network o in corrispondenza digitale. Le modalità e le tecniche di gestione di questi rapporti sono ormai consolidate ma spesso anche altamente ripetitive e rischiano così di essere poco produttive. Per creare un legame più stretto di fiducia azienda-cliente, adesso, al mondo del vino viene incontro il “marketing relazionale”, la “tecnica manageriale” delle interazioni, che ha come obiettivo finale quello di creare, mantenere e gestire un network di rapporti di lungo periodo. Ne hanno parlato gli esperti riuniti oggi alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, nell’edizione n. 5 del “Seminario Internazionale di Marketing del vino” (seminariovino@fmach.it).

Il mondo del vino può trarre molte opportunità da un nuovo approccio al mercato valorizzando le strategie del marketing relazionale, sia perché si può così meglio interagire con l’ambito territoriale ed i servizi che questo mette in gioco, sia perché sempre di più il vino è un bene di consumo che non può rimanere eternamente ancorato a modalità di comunicazione e vendita legate a abitudini ormai non più riscontrabili nel consumatore medio.
“Per il successo (competitivo ed economico) e per la crescita delle aziende è sempre più importante la capacità di costruire e alimentare nel tempo relazioni stabili e intese con i propri clienti, tanto diretti quanto indiretti - fa sapere dal convegno Massimiliano Bruni dell’Università Bocconi - bisogna perciò avere un approccio ad hoc per ciascun cliente. L’impresa deve avere il coraggio di riconoscere ai propri clienti, sia diretti che indiretti, un ruolo non più solo passivo e ricevente, ma attivo e di generatore di messaggi. Il marketing relazionale - continua - rappresenta quindi un’opportunità molto grande per le aziende del vino. Tradizionalmente le aziende italiane sono sempre state molto forti sul fronte del prodotto, della qualità e della produzione. Ma evidenziano un gap notevole su questo tipo di marketing nei confronti di altri Paesi, come ad esempio la Francia, gli Stati Uniti ma anche l’Australia o la Nuova Zelanda, per citare casi di Paesi emergenti.
“Uno strumento che può dare una mano a spiegare meglio cosa c’è dietro un vino è lo “storytelling” - aggiunge Carmen Sergi, consulente media e comunicazione digitale - che, al contrario della comunicazione tradizionale top-down, è partecipativo e conferisce al consumatore un ruolo attivo, di co-creatore della storia. Lo “storytelling” è dunque una tecnica molto utile per la vendita e per la costruzione di relazioni efficaci con i diversi pubblici a cui le aziende si rivolgono.
“Gli ultimi vent’anni sono stati molto incentrati nella produzione del vino - dice Enrico Chiavacci, direttore marketing Antinori - è stato fatto un percorso che ha permesso ai vini italiani di affermarsi nel mondo, non dando però la stessa attenzione anche al “marketing relazionale” per poter affezionare il consumatore al proprio vino e per creare una fidelizzazione più generale.
Antinori è partito negli anni ’70 a cercare la qualità del vino. La parte relazionale è sempre però rimasta al centro dell’attenzione dell’azienda. Negli ultimi 10 anni abbiamo azionato le leve giuste per fidelizzare il consumatore finale alla nostra qualità. Bisogna conoscere bene il cliente e capirne bene le passioni, capire di cosa ha bisogno e capire anche come il cliente può aiutarci a diffondere il nostro vino. Bisogna - conclude - creare un coinvolgimento con il compratore. Dobbiamo infondere la stessa passione che mettiamo noi in azienda al compratore. Chi compra i nostri vini e ne parla bene, fa per noi una pubblicità di passaparola, che nel nostro mondo è ancora fondamentale”.

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