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Boom qualitativo in tutti i territori di Italia, tanti ancora da scoprire, la questione “zonazione”, il tema della sostenibilità e del bio, e le bollicine: a WineNews parla Antonio Galloni, uno dei palati top al mondo e fondatore di “Vinous”

Italia
Antonio Galloni, giornalista e direttore di Vinous Media

Un’Italia che negli ultimi 20 anni ha visto una “esplosione di qualità di tutte le Regioni”, con tante zone ancora da far scoprire ai consumatori del mondo, ma che a loro modo saranno tutte un “must”, la necessità della zonazioni nei territori più blasonati e importanti, il fenomeno del bio e quello delle bollicine. Di questo, a WineNews, parla Antonio Galloni, uno dei palati più autorevoli e rispettati nel mondo del vino, ex di “The Wine Advocate” e ora alla guida di “Vinous” (www.vinousmedia.com), la rivista che lo stesso Galloni ha fondato, e che degusta i nettari dal Belpaese da oltre 20 anni. “Anni in cui abbiamo visto un’esplosione di qualità in tutte le Regioni, a livello diffuso, tanto che nel 2014 abbiamo preso un collaboratore per darci una mano in Italia, Ian d’Agata. Proprio perché ci sono tantissime zone che stanno crescendo in qualità, con molti produttori che meritano di essere scoperti e conosciuti”, spiega Galloni a WineNews. Secondo cui tutti i territori d’Italia stanno diventando, a loro modo, dei “must”.
“Perché ormai, è solo questione di quando vuoi bere certi vini. Sicuramente, se si parla di vini da invecchiamento, i “must” rimangono la Toscana e il Piemonte, e un po’ il Veneto. Quindi vini strutturati come Barolo e Barbaresco. In Toscana Chianti Classico, Montalcino e Maremma, e Amarone, in Veneto. Questi sono vini che hanno dimostrato nel tempo la capacità di invecchiare e dare tantissime emozioni. Però va detto anche che l’Italia è l’unico paese in Europa che fa vino in tutte le sue regioni. E quindi è buonissimo il Cerasuolo, il Nero d’Avola, il Nerello Mascalese. C’è la Sicilia, non solo con l’Etna la Sardegna, la Campania, l’Abruzzo ... dove vuoi guardare ci sono vini fantastici. I bianchi dell’Alto Adige o del Friuli, i rossi della Val d’Aosta. Ovunque guardi ci sono punti di eccellenza. Negli ultimi venti anni sono uscite queste nuove realtà con vini meravigliosi. Penso che il consumatore non ha ancora percepito la crescita di queste nuove zone. Del bianco potremo dire il Verdicchio, che è anche un vino che invecchia molto bene, ma anche il Soave, ci sono molte zone ancora da scoprire”.
Certo, talvolta in questi nuovi territori mancano dei leader riconosciuti capaci di far conoscere queste realtà al mercato, e questo può essere un freno. Un esempio, in tal senso, secondo Galloni, può essere la Campania. “Il vino italiano in Usa e nel mondo lo hanno fatto conoscere un gruppo di famiglie come Antinori, Ceretto, Gaja, che hanno fatto conoscere il vino italiano, le loro Regioni e, infine, le loro cantine. Queste nuove Regioni che stanno venendo fuori soffrono un po’ perché non hanno certe famiglie di grande riferimento. In Campania, oltre a Mastroberardino, c’è un buco enorme, e in un mondo che non ha tempo di cercare e di approfondire, questi territori che non hanno un “portavoce” per tutta la zona, soffrono un po’”.
Uno dei temi caldi del vino del Balpaese, spesso sollecitato dall’estero, per altro, è quello della “zonazione”, o comunque di una classificazione delle zone, almeno nei territori più importanti. Ma, secondo Galloni, però, “ci sono certe zone dove questo è già realtà, almeno da un po’ di tempo, da 50 anni come in Piemonte, a Barolo, dove la cultura del vino da singolo vigneto è arrivata dalla Francia, e anche se non era “autoctona” si è ben radicata. E qui la zonazione dei vigneti spesso è importante, non solo nelle “macrozone” come alcuni comuni della Langhe, per esempio Monforte d’Alba, dove ci sono queste grandi zone eterogenee per natura, tipo Bussia o Ginestra.
Ma penso che la definizione di vigneti piccoli o singoli come succede a Serralunga, per esempio possano avere un grande valore perché sono legati alla storia moderna del territorio, anche se è una storia recente. In altri posti, come Montalcino, non c’è una cultura di vigneti singoli, ci sono alcuni vini che sono emersi negli anni, ma fare una zonazione precisa lì sembrerebbe imporre una cultura che non esiste nella zona, e forse non sarebbe particolarmente saggio. Si potrebbero però definire macrozone come la collina di Montosoli o Pelagrilli, di Canalicchio, per esempio, e sarebbe già un passo avanti. Ma fare di più ... penso che sarebbe una cosa molto forzata”.
Come forzata, a volte, secondo Galloni, è la questione della sostenibilità, spesso associata a biologico e biodinamico. “Io penso che il lavoro principale di un produttore - dice Galloni - sia di fare un grande vino. Preferisco mille volte un vino fatto bene con la viticultura convenzionale, che un vino nato da uve biologiche o biodinamiche che poi ha difetti. Penso che è molto importante la sostenibilità, ma non solo nel vino. Ma nel modo in cui viviamo la vita: dalla raccolta differenziata alle macchine che consumano meno energia. Bisogna pensare al futuro che lasciamo ai nostri figli. Ma la mia paura che la sostenibilità in vigna diventi un po’ diventata una moda. Non è una “religione”, ma uno strumento. La sostenibilità è importante, ma è importante anche che poi davvero in cantina si faccia quello che si racconta al pubblico. Ma sappiamo che non è sempre così. Sulle uve biologiche e biodinamiche, va ricordato che questo si riferisce solo ad una parte della produzione del vino. Se tu fai uva a coltivazione biologica e poi in cantina fai come vuoi, in altro senso, non sei coerente. Io cerco la coerenza nello stile del produttore. Ci sono molte aziende che lavorano così, con metodi molto vicini al biologico e al biodinamico, e non lo dichiarano, solo perché vogliono avere un po’ di flessibilità. E la trovo una cosa intelligente. Alla fine si valuta il vino per come è. Il come viene fatto è interessante a livello intellettuale, però biologico e biodinamico in sé non sono sinonimi di qualità”.
Un altro fenomeno del vino italiano, ben consolidato ma per ora poco rivolto al “metodo classico”, è quello delle bollicine, soprattutto all’estero, dove spopola il Prosecco.
“Il mercato delle bollicine sta esplodendo - dice Galloni - c’è una domanda incredibile. Vale per tutti i Paesi. Ci sono mercati dove c’è un consumo più di spumanti che hanno prezzi accettabili come il Prosecco o la Cava spagnola, e quelli che consumano prodotti di altissima gamma e di lusso. E l’Italia ha l’opportunità di prendere una bella fetta di questo mercato. Anche perché ha delle associazioni molto forti di stile di vita, di cultura, di moda, di dieta, di città d’arte bellissime ... e questo è un’arma potentissima, che neanche la Francia ha. E se c’è un vino molto legato al lifestyle e molto legato ai momenti della vita, sono proprio le bollicine. E l’Italia deve vendere la sua cultura in questo momento, che è pazzesca!”.

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