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“Chi produce non vuol sentirlo dire, ma la sacralità che il vino ha oggi la vedo quasi come un pericolo rispetto alla familiarità di un tempo”. A WineNews lo storico Massimo Montanari sulla bevanda quotidiana per definizione, oggi quasi “monumento”

Italia
Lo storico Massimo Montanari

“Chi produce vino non vuol sentirselo dire, ma questa sorta di sacralità che il vino ha oggi, la vedo quasi come un pericolo rispetto alla familiarità che un tempo c’era tra il bevitore e questo prodotto, dotato di sacralità sì, in ambito sacro, ma con il quale si aveva molta più confidenza nella realtà quotidiana”. È la riflessione, a WineNews, del professor Massimo Montanari, uno dei più importanti storici dell’alimentazione al mondo, sulla bevanda un tempo “della quotidianità per definizione” e oggi alla prese con un inarrestabile calo dei consumi. “Abbiamo mille occasioni quotidiane in cui beviamo e ci offriamo qualcosa - dice Montanari - e non sempre questo qualcosa è il vino. Le occasioni di consumo del vino sono calate. Contemporaneamente si è specializzata, fino a livelli parossistici, l’idea del vino come oggetto di qualità, prezioso, quasi come un “monumento”.
“Il vino ha avuto nella nostra storia funzioni diversificate - spiega Massimo Montanari - aveva valori materiali, simbolici, sacri, profani. Per millenni, nell’Antichità, nel Medioevo, nel Rinascimento, prima dell’arrivo di bevande da altri Continenti, non aveva concorrenti, era la bevanda quotidiana per definizione, alle nostre latitudini, neppure l’acqua era considerata così, perché non era facile trovarla pura. Rispetto ai consumi odierni, se ne beveva molto di più, ed era l’unica bevanda della socializzazione, non solo ai pasti, ma anche all’osteria, negli incontri tra amici, offerto all’ospite di riguardo. A questo si aggiungono i valori sacrali, a partire dalla tradizione cristiana, che lo caricano di una densità di valori molto forte”.
Oggi? Secondo lo storico dell’alimentazione, “il vino ha tanti concorrenti, a cominciare dall’acqua che è diventata buona ed affidabile, e poi tutte le altre bevande. A me piace spesso ripetere che il vino è una specie un’opera d’arte - sottolinea Montanari - che ti viene consegnata da un artista che lo ha costruito, e questo, da un lato, ne aumenta il prestigio, ma, dall’altro, rende più fragile il rapporto tra il vino e chi lo beve. Nel senso che storicamente il vino era qualcosa che il consumatore maneggiava, trasformava, pasticciava, riscaldava, raffreddava, vi si aggiungevano spezie, erbe, miele. Non un oggetto d’arte, ma una materia prima, rielaborata da chi poi lo beveva”.
Una confidenza con i bevitori venuta meno, per molti motivi, come il fatto che “viviamo nella società dell’automobile, dove il problema dell’alcol ha una rilevanza che non aveva un tempo - aggiunge Montanari - non si può guidare ubriachi e guidiamo tutti i giorni. Prima questo problema non c’era. L’ubriachezza, che non vuol dire diventare dementi, ma l’ebbrezza del vino, è stata sempre una delle motivazioni per cui la gente ha bevuto, al di là della sicurezza, del piacere e della socialità. Questo tipo di cultura oggi è demonizzata, per cambiamenti culturali, ma soprattutto per motivi pratici, non puoi fare certe cose essendo anche solo un po’ ebbro. Nel Medioevo se qualcuno commetteva un reato in stato di ebbrezza non era un’aggravante, ma un’attenuante. C’era una sorta di maggiore comprensione: Sant’Agostino diceva che bisogna ogni tanto ubriacarsi, per misurare qual’è il punto in cui non sei tu padrone del vino, ma è il vino che diventa padrone di sé. Era una sorta di prova di civiltà, e questo oggi è venuto meno per motivi di ordine pubblico”.

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