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Il boom del Prosecco visto dalla concorrenza: da Pascal Ferrat, presidente Sgv - Syndicat Général des Vignerons de la Champagne a Jaume Gramona, presidente dell’Institut del Cava, punti di forza e debolezze della bollicina italiana regina dei mercati

Il boom del Prosecco non è stato un fenomeno passeggero, e la crescita costante delle vendite, in ogni angolo del mondo, ne è la dimostrazione, con le bollicine italiane che, ormai, hanno superato abbondantemente lo Champagne, sia in termini produttivi (400 milioni di bottiglie contro 300 milioni), sia in termini di vendite, almeno dal punto di vista quantitativo. Eppure, i produttori d’Oltralpe non sembrano preoccuparsi più di tanto, come racconta il portale “Wine Searcher” (www.wine-seacher.com). Dalla “Viteff - sparkling wine technology exhibition” (www.viteff.com), di scena lo scorso week end ad Epernay, Pascal Ferrat, presidente Sgv - Syndicat Général des Vignerons de la Champagne, ha ribadito il concetto, ricordando che “lo Champagne rappresenta solo l’8% della produzione mondiale di spumante, ma ben il 45% del valore complessivo: per le occasioni speciali, lo Chamapagne resta fondamentale”.
C’è, però, chi non liquida la questione tanto in fretta, come Jérôme Philippon, ceo di Bollinger, che focalizza l’attenzione sulla rapida ascesa del Prosecco sul mercato britannico, storica terra di conquisa dello Champagne: “in Inghilterra molti locali, negli ultimi tre anni, hanno allargato l’offerta per l’aperitivo al Prosecco, simbolo dell’italianità, quando beviamo Prosecco beviamo l’Italia e la Dolce Vita. Ovvio che sia a tutti gli effetti un competitor dello Champagne, ma anche - ha concluso Philippon - dei cocktail e dei soft drink. Resto, comunque, ottimista sul nostro futuro: non dobbiamo cadere nella tentazione di fare politiche di prezzo, al contrario, bisogna puntare in maniera quasi esclusiva sul mercato del luxury e dei fine wines”.
Altri produttori di Francia, invece, non potendosi fregiare del brand Champagne, hanno subito il colpo. Pierre de Couëdic, direttore dell’Upebc - Union des Producteurs Elaborateurs de Cremant de Bourgogne, ha sottolineato come sia difficile far passare certi messaggi al consumatore, “ad esempio i diversi metodi di produzione di uno spumante, ma mentre i produttori di Prosecco hanno puntato sui volumi, noi abbiamo deciso di scommettere su tradizione e prezzo. Lo Champagne, però rimane il punto di riferimento, ma la molteplicità dell’offerta fa bene al settore, attira nuovi consumatori: è come una strada piena di ristoranti, ognuno alla fine trova il posto giusto per sé”.
L’interrogativo più grande, adesso, resta quello sulla durata del fenomeno Prosecco e di un trend di crescita che, prima o poi, dovrà arrestarsi, come emerso ad Epernay, dove qualcuno ha fatto anche il “macabro” paragone con la rapida ascesa del Cava di qualche anno fa, di cui adesso non resta che il ricordo. “Abbiamo sbagliato a puntare sulla quantità - ricorda il presidente dell’Institut del Cava, Jaume Gramona - e se qualche produttore è riuscito in tempi rapidi a cambiare il proprio approccio al mercato, per gli altri la strada verso le nicchie più alte dei consumatori è ancora lunga”.

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