Dove va il mercato del vino Usa? È una domanda che si pongono in molti, ed alla quale hanno risposto, per l’indagine “Annual survey of wine executives”, condotta dall’Università di Davis in California (e rilanciata in Italia dall’Uiv - Unione Italiana Vni, www.uiv.it), i 24 ceo della filiera vitivinicola americana, delineando una serie importante di tendenze, di cui anche i produttori dovranno tener conto per muoversi Oltreoceano. Innanzitutto, la buona notizia, almeno per chi produce vini di qualità, è che le prospettive migliori sono per i vini sopra i 10 dollari, in un mercato diviso nettamente in due, con le bottiglie sotto questa fascia di prezzo destinate a combattere in un regime di concorrenza spietata, con margini di guadagno sempre inferiori. L’indicazione, quindi, è quella di investire nei marchi premium che, però, non hanno vita facile sugli scaffali dei retailer, verso cui si sono spostati sin troppo gli equilibri di forza: i produttori, oggi, fanno sempre più fatica a raggiungere gli scaffali con tutti i loro marchi, e questa situazione di squilibrio rende difficile lo sviluppo di brand da parte di alcune aziende vinicole, a causa della priorità concessa ai grandi fornitori, che sfruttano fino in fondo il loro ruolo di leader. Una soluzione è rappresentata dalla crescita della vendita diretta, che per ora, sulle aziende di medie e grandi dimensioni, non sortisce effetti sensibili, ma offre una crescente opportunità ai piccoli produttori per sviluppare i propri brand, specie se di nicchia, con prezzi anche sopra i 20 dollari, che non si trovano facilmente nella grande distribuzione.
Restando sul panorama produttivo Usa, le aziende agricole osservano l’arrivo di investimenti istituzionali anche nel settore enoico, consapevoli che un investimento esterno rappresenta un forte indicatore della forza finanziaria dell’industria vinicola, parte di un ciclo di rivalutazione che in molti hanno già intravisto, pur tra mille dubbi: per quanto tempo questi investitori pianificano di restare attivi? Hanno programmato di investire nelle comunità locali? E tutto questo è sostenibile? O c’è una bolla speculativa sui prezzi dei vigneti?
Importante, negli equilibri del mercato, la ritrovata forza del dollaro Usa, che ha avuto effetti diversi: chi esporta molto, risente ancora degli effetti dello sciopero nei porti della West Coast e dell’impatto della valuta, poiché la concorrenza internazionale sui prezzi ha continuato ad aumentare in Europa, Asia e Nord America. Altri, invece, evidenziano i risparmi conseguiti sul costo di botti e altri beni importati, con i quali compensano gran parte delle diminuzioni registrate nelle vendite all’estero, mentre risulta evidente che più il dollaro si rafforza, più i prodotti imbottigliati e di importazione incrementeranno la concorrenza interna.
Come detto, i 24 ceo Usa concordano sul fatto che il trend della “premiumization” continuerà, benché non tutti ne siano toccati direttamente. Spingere i propri marchi verso l’alta qualità (e a prezzo più alto) è insomma la direzione per avere margini più soddisfacenti. Perché i consumatori statunitensi “aspirational” sono sempre più disposti a investire in brand di qualità. Più esperti ed esigenti, aumentano la spesa in consumo di vino, ma non si fanno trarre in inganno, quindi non basterà fare operazioni di lifting del marchio, occorrerà produrre vini migliori, con investimenti veri.
Infine, gli “hot topics” dei prossimi 5-10 anni che influenzeranno il settore in Usa, a partire dalla scarsità idrica e la concorrenza di aziende agricole alternative, come quella delle mandorle, che spingeranno i produttori a cercare altre fonti di approvvigionamento di uva e di terreno. Quindi le private label e l’accorpamento distributivo che continueranno a minacciare i marchi a livello di vendita al dettaglio. Molti si aspettano che la vendita diretta al consumatore cresca, nella consapevolezza che i consumatori, sempre più incostanti, diventeranno progressivamente più esperti e si vedranno orientati verso prodotti di prezzo e qualità superiori. Infine, i gusti mutevoli dei clienti e il continuo aumento del consumo di superalcolici e birra artigianali forse obbligherà le aziende vinicole a modificare la loro produzione e i loro marchi.
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