La “guerra del grano” italiano si combatte ormai su ogni fronte, anche quello interno. “La qualità del grano italiano non può essere certo messa in discussione ed è confermata dalla nascita e dalla rapida proliferazione di marchi che garantiscono l’origine nazionale del grano impiegato al 100%, da Ghigi a Valle del grano, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a “Voiello”, che fa capo al Gruppo Barilla, che ora vende solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo” senza dimenticare alcune linee della grande distribuzione come Coop e Iper”, sottolinea la Coldiretti nel replicare “alle strumentali bugie dell’Aidepi che continua in una campagna diffamatoria che rischia di danneggiare anche i propri associati e favorisce le speculazioni che stanno distruggendo l’agricoltura italiana con prezzi dimezzati per il grano nazionale”. “Le importazioni di grano estero di qualità salvano il mito della pasta italiana, dal gusto all’occupazione di 120 aziende pastarie e di 300.000 aziende agricole - sostiene Riccardo Felicetti, presidente Aidepi-Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane - purtroppo, l’origine italiana del grano duro non è in sé sinonimo di qualità. In base ai dati Ismea e Cra-Qce, negli ultimi 7 anni i valori proteici del grano duro italiano sono stati prossimi o anche inferiori al 12%; il limite dei parametri stabiliti dalla legge di purezza è del 10,5% e considerando il calo di circa l’1% nel processo di trasformazione da grano a semola, risultano ampiamente al di sotto delle esigenze necessarie per produrre una pasta di alta qualità”.
Per la Coldiretti, “a decidere la qualità della pasta e del pane possono essere solo i consumatori e se Aidepi è cosi convinta del fatto che il grano italiano non è buono sostenga con la Coldiretti l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano impiegato in pasta e pane: saranno i consumatori a decidere se comprare pane e pasta con grano siciliano, pugliese, lucano e di alte regioni o se preferire quello che viene dal Canada o dall’Ucraina che ha più che triplicato le proprie esportazioni in Italia”. Ma, replica l’Aidepi, “anche in anni, come questo, di produzione abbondante rimane necessario importare grano duro estero di qualità top, tra il 30% e il 40% del totale, per “rinforzare” la miscela della semola utilizzata dagli industriali della pasta. Secondo l’Associazione, “senza importazione di grano estero di qualità, gli agricoltori, paradossalmente, rischierebbero di vendere all’industria meno grano, cioè solo quello che raggiunge i parametri qualitativi della materia prima previsti dalla legge di purezza; il resto, senza il blend con grano estero di alta qualità, potrebbe essere venduto solo per l’alimentazione animale, con una perdita dei ricavi per gli agricoltori di circa il 50%”.
Focus - “Guerra del grano”: piazze italiane invase di trattori con la Coldiretti
Migliaia di trattori hanno invaso le principali città italiane per difendere il grano italiano dalle speculazioni con la mobilitazione nazionale più grande degli ultimi decenni a sostegno della coltura più diffusa nel nostro Paese. Lo comunica la Coldiretti, con i produttori che oggi, nella Giornata in difesa del grano italiano, hanno occupato le principali piazze per la “guerra del grano” dalla Sicilia nel centro di Palermo, al Molise a Termoli, dalla Basilicata a Potenza fino alla Puglia, a Bari, sul lungomare Nazario Sauro, dove è presente anche il presidente nazionale Roberto Moncalvo.
Il grano, denunciano gli agricoltori, viene pagato praticamente a metà del 2015 su valori che non coprono i costi di produzione e provocano l’abbandono e la desertificazione”. La Puglia che è il principale produttore italiano di grano duro è paradossalmente anche quello che ne importa di più, tanto da rappresentare un quarto del totale del valore degli arrivi di prodotti agroalimentari nella Regione. Sui cartelli portati dai manifestanti si leggono slogan come “Ci vogliono dieci chili di grano per una coca cola”, “No grano no pane”, “Stop alle speculazioni”, e “Il giusto pane quotidiano”.
Ma non mancano azioni eclatanti per denunciare il crollo delle quotazioni del grano italiano con le sfilate dei trattori giunti nel centro delle città. A Bari la preparazione del record mondiale della più grande pagnotta Doc per dimostrare la qualità del grano italiano rispetto al prodotto estero, che viaggia per mesi e mesi prima di arrivare nel nostro Paese. Ma ci sono anche gli “orrori” dell’agropirateria, con “terrificanti” imitazioni della pasta italiana, dai “chapagetti” coreani alla “Italiano pasta” fatta in Egitto, dagli “spagheroni” olandesi ai “kapeleti” sloveni, fino ai “maccaroni” fatti in Germania. A Palermo migliaia di agricoltori della Coldiretti presidiano i punti chiave della città con i trattori distribuendo ai cittadini sacchetti di grano, dopo il blitz al Teatro Massimo, dove sono stati donati pane e altri prodotti. In Molise, a Termoli, gli agricoltori hanno portato in piazza una trebbiatrice per una dimostrazione di mietitura “dal vivo”, mentre in Basilicata a Potenza, tre cortei di agricoltori hanno invaso la città con oltre 200 trattori, per offrire ai cittadini pasta fatta con grano duro Senatore Cappelli prodotta sul territorio e trasformata grazie a due giovani cooperative di Ue.Coop.
Focus - “Guerra del grano”, Coldiretti: sul grano italiano speculazione da 700 milioni di euro per crollo dei prezzi. Aidepi: falso accusare pastai, tutti subiamo leggi di mercato
Il grano italiano è stato colpito da una speculazione da 700 milioni di euro che sono le perdite subite dagli agricoltori italiani per il crollo dei prezzi sul 2015, senza alcun beneficio per i consumatori. Lo afferma Coldiretti, sottolineando che nel giro di un anno le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43 % del valore mentre si registra un calo del 19% del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione. Un crack senza precedenti, denuncia Coldiretti, con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da spacciare come pasta o pane made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato.
Non a caso nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10%, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato nazionale attraverso un eccesso di offerta. Il risultato è che un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero, così come la metà del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere. Senza dimenticare che il prodotto estero che sbarca nei porti nazionali, al contrario di quello italiano, ha spesso alle spalle tempi lunghi di trasporto e stoccaggio. Basti pensare, denuncia Coldiretti, al paradosso del grano canadese. Nel Paese nordamericano la raccolta avviene in settembre e, quindi, quello che arriva in Italia è già vecchio di un anno, mentre quello tricolore è stato appena raccolto.
Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta viene pagato anche 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del made in Italy, mentre, denuncia la Coldiretti, dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1.400%. Le stesse analisi ministeriali hanno però anche permesso di smascherare la speculazioni in atto sul prezzo dei grano che colpisce soprattutto i coltivatori italiani con i prezzi che sono praticamente dimezzati sul 2015 per il grano duro.
“Per restituire un futuro al grano italiano occorre l’indicazione in etichetta dell’origine del grano utilizzato nella pasta e nei derivati/trasformati - sottolinea il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo - ma anche l’indicazione della data di raccolta (anno di produzione) del grano assieme al divieto di utilizzare grano extra comunitario oltre i 18 mesi dalla data di raccolta. Ma serve anche fermare le importazioni selvagge a dazio zero che usano l’agricoltura come mezzo di scambio nei negoziati internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale”.
L’Italia è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta, che assume un’importanza rilevante data l’elevata superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari per oltre 4,8 milioni di tonnellate di produzione che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 42% della produzione nazionale. Più limitata è la produzione del grano tenero che si attesta su 3,2 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari.
Ma per l’Aidepi “è falso e fuorviante accusare i pastai di speculare sui prezzi del grano. Gli industriali, esattamente come gli agricoltori, subiscono le leggi dei mercati globali. Nel 2008 hanno dovuto pagare il grano duro 500 euro alla tonnellata, vivendo una crisi che ha messo in difficoltà il settore. E se oggi il prezzo del grano duro in Italia è calato del 42% sul 2015 (anno di picco per una cattiva stagione internazionale), è anche vero che risulta più alto di circa il 20% sul 2010. Le fluttuazioni non dipendono dai pastai, ma dalle leggi di mercato. Le ragioni dell’attuale calo dei prezzi del grano duro vanno ricercate nella stagione che si annuncia straordinaria per il grano canadese: raccolto record e qualità top per circa il 93% della materia prima. Mentre il grano duro italiano, pur abbondante rispetto alle annate precedenti, nel 2016 risulta, purtroppo, per circa l’80% di medio-bassa qualità”.
Focus - “Guerra del grano”, Coldiretti: 300.000 posti di lavoro a rischio in Italia da speculazioni prezzi dei cereali. Aidepi: grano estero non è di bassa qualità
Sono 300.000 i posti di lavoro messi a rischio dalle speculazioni sui prezzi dei cereali con le quotazioni del grano crollate sotto il livello dei costi di produzione al punto che le aziende non hanno ormai più convenienza a seminare. È l’allarme lanciato dalla Coldiretti, “che sottolinea come con questi prezzi gli agricoltori non possono più seminare e c’è il rischio concreto di alimentare un circolo vizioso che, se adesso provoca la delocalizzazione degli acquisti del grano, domani toccherà gli impianti industriali di produzione della pasta con la perdita di un sistema produttivo che genera ricchezza, occupazione e salvaguardia ambientale”. Ma in pericolo, precisa la Coldiretti, non ci sono solo la produzione di grano e il lavoro di chi lo produce e lavora nelle filiere, ma anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione, ben il 15% dell’intero territorio nazionale. Senza dimenticare gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione made in Italy. “Serve più trasparenza sul mercato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano impiegato nella pasta e nel pane, ma è anche necessario estendere i controlli al 100% degli arrivi da Paesi extracomunitari dove sono utilizzati prodotti fitosanitari vietati da anni in Italia e in Europa e fermare le importazioni selvagge a dazio zero che usano l’agricoltura come mezzo di scambio nei negoziati internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “abbiamo ottenuto primi risultati con l’accoglimento di alcune importanti richieste da parte del Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina che ha tra l’altro preso l’impegno per la moratoria dei mutui, lo studio di una assicurazione sul reddito, una contrattualistica piu’ trasparente tra agricoltori e industria, una commissione unica nazionale (Cun) per la fissazione dei prezzi e l’immediata l’applicazione di un piano cerealicolo le cui risorse siano dedicate esclusivamente alle imprese che usano esclusivamente grano italiano”.
Ma per l’Aidepi, “quando si sostiene che il grano estero è di bassa qualità e viene scelto perché costa poco, si stanno dicendo due cose non vere. Quello canadese, per esempio, negli ultimi 50 anni ha avuto valori medi di proteine del 14,5% (e proprio per questo è stato sempre pagato circa il 15-20% in più di quello nazionale). Stessa cosa per il grano francese e americano, anche qui a fronte di valori proteici spesso superiori al 15% si afferma un differenziale di prezzo del +20-25%”.
Focus - Aidepi: cosa accadrebbe se si producesse pasta fatta di solo grano italiano? Mangeremmo tutti meno pasta. “Guerra del grano slogan autolesionistico”
Se si producess pasta fatta solo di grano italiano, le ricadute negative non sarebbero solo per il comparto agricolo, ma anche per i consumatori italiani: secondo Aidepi, mangeremmo tutti meno pasta. Dovremmo rinunciare a 3 pacchi su 10. E quella prodotta rischierebbe di essere, in media, di minore qualità. Certo, resterebbero le produzioni (eccellenti) di quei pastifici che hanno scelto di utilizzare esclusivamente grano italiano di qualità. Ma questo non significa che tutto il grano nazionale in purezza possa sopperire alle richieste quali/quantitative di produttori e consumatori, in Italia e nel mondo. In pratica, non garantiremmo a tutti la consistenza “al dente”. Con il rischio di una migrazione verso cereali alternativi e con buona pace della dieta mediterranea.
“Mentre in Italia noi ci dividiamo, agricoltori e industriali, all’insegna dello slogan autolesionistico di “guerra del grano” - sottolinea Aidepi - all’estero ci sono competitori aggressivi (coma la Turchia e la stessa Russia) che stanno erodendoci quote di mercato: lo scorso anno abbiamo perso quasi il 6%. La strada giusta è nel dialogo costruttivo e nel percorso avviato dalla “Cabina di regia della pasta”. Una delle soluzioni potrebbe essere negli accordi di filiera che molte aziende hanno già avviato con gli agricoltori: se si punta sulla qualità i guadagni per gli agricoltori possono crescere anche del +20%”.
Focus - Confagricoltura: “importiamo il grano dall’estero, mentre il prodotto made in italy è svenduto nell’area del Mediterraneo”
“Il prezzo del grano è sceso ai livelli di trent’anni fa e solo nell’ultimo anno si è praticamente dimezzato. In più la beffa di trovarci nella situazione che il prodotto nazionale è pagato meno di quello importato, che aumenta sempre di più (+54% in quantità negli ultimi tre anni). E mentre giunge il grano straniero, quello made in Italy viene esportato a basso prezzo nell’area del Mediterraneo”. Lo sottolinea Confagricoltura che, in molte aree vocate alla cerealicoltura, ha promosso manifestazioni, sit-in, iniziative di sensibilizzazione, per richiamare l’attenzione su un comparto altamente strategico che si trova in una situazione insostenibile.
“Bisogna affrontare un momento di emergenza, con le aziende agricole che subiscono entrate inferiori ai costi, aggravato dalle speculazioni e dalla carenza di adeguati centri di stoccaggio. Allo stesso tempo occorre intervenire per dare certezze, senza le quali non si può impostare la programmazione produttiva”. Ad avviso di Confagricoltura “attraverso il piano cerealicolo si dovrà intervenire prevedendo: strumenti innovativi finalizzati alla trasparenza delle quotazioni e delle contrattazioni; investimenti nell’ammodernamento delle strutture di stoccaggio per qualificare il grano made in Italy; accertamento delle giacenze (rendendo obbligatoria la comunicazione annuale delle scorte al ministero delle Politiche agricole entro il 31 maggio); monitoraggio delle importazioni e dei flussi di cereali all’interno dell’Ue; verifica delle superfici coltivate e della produzione potenziale traendo i dati dai fascicoli aziendali”.
Confagricoltura sollecita infine che “il piano cerealicolo intervenga per responsabilizzare la filiera ad una più equa ripartizione della redditività e ad operare unita per valorizzare e premiare il ‘sistema Italia’; con un impegno comune che contrasti ogni forma di speculazione. Servono poi controlli adeguati alle frontiere sul prodotto importato che deve rispettare condizioni di reciprocità con quello nazionale (qualità, caratteristiche, salubrità)”.
Focus - Elaborazione Centro Studi Confagricoltura: evoluzione dell’import di grano duro dell’Italia
2012 - 2013 - 2014 - 2015 - Differenza 2015/2012
Valore (milioni di euro): 470,3 - 496,9 - 806,0 - 843,3 - +373,1 - +79,3%
Volume (tonnellate): 1.544.044,8 - 1.682.478,8 - 2.784.156,1 - 2.371.965,0 - +827.920 - +53,6%
Focus - Il commento di Petrini (Slow Food): “il nostro Paese è invaso da grano estero a prezzi bassi e qualità inferiori. Bisogna pretendere etichetta d’origine”
“Il prezzo del grano che si paga agli agricoltori è inferiore a quello che si pagava trent’anni fa. Il nostro Paese è invaso dal grano estero a prezzi bassi e qualità inferiori, che matura in Asia e in Canada in periodi freddi e ha qualità nutritive basse”. È il commento su Repubblica.it di Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food, che punta il dito sul libero mercato che ha permesso l’invasione del grano straniero. “Intanto si moltiplicano casi di celiachia e diabete. Bisogna pretendere l’etichetta con la provenienza delle materie prime del pane, della pasta e dei derivati. Solo il consumatore può difendersi ormai”.
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