Si parla tanto di trend e nuove mode attorno al bicchiere, ma poi, alla fine, a “guardarci dentro”, gli italiani si confermano grandi tradizionalisti, ora come non mai che si scoprono salutisti: l’acqua prediletta è quella del rubinetto, nel vino vince la qualità. Secondo il “Rapporto Coop 2017” realizzato dall’Ufficio Studi di Coop, di scena oggi a Milano, nella quotidianità gli italiani riscoprono l’“acqua del sindaco” (44%; fonte: Ref Ricerche), non solo per ragioni economiche (18%), ma soprattutto per comodità (il 29%, evitando il trasporto delle pesanti casse dal punto vendita alla propria abitazione!), bontà (26%) e attenzione all’ambiente (11%, riducendo l’uso di plastica e vetro, ma non ancora il suo spreco), e ne consumano quantità sempre maggiori.
Ma aumentano anche le vendite di acqua minerale in bottiglia (+19% in volume tra il 2012 e il 2016, in crescita anche nel 2017; dati Nielsen), a scapito delle bevande gassate, sostituite nei regimi alimentari sempre più salutisti. La percentuale di famiglie che non si fida a bere l’acqua del rubinetto è scesa dal 37% al 30% tra il 2006 e il 2016 (dati Istat), grazie anche alla crescita degli ormai celebri chioschi comunali, che erogano acqua microfiltrata a costi contenuti o gratuita (sono 1.300 in tutta Italia), sempre più utilizzata anche a casa e negli esercizi pubblici (+22% dal 2010, con l’approvazione di 7 clienti su 10). Milano è la città dove si consuma di più (83,1 metri cubi procapite), seguita da Catanzaro (81,9) e Torino (77,2), mentre è Firenze l’ultima in classifica (50,2). Il vino? Nella scelta di acquisto la qualità (93%) viene prima del prezzo, insieme all’italianità (91%) - specie tra i Millennials cui si deve la riscoperta di molte eccellenze enologiche - ed alla certificazione d’origine (l’86% sceglie vini Dop e l’85% Igp). Capitolo a parte per il bio cresciuto del 25% nell’ultimo anno, con 2 milioni e mezzo di litri venduti in gdo. Con il risultato, che sul fronte interno, le vendite hanno ripreso slancio: nel perimetro della distribuzione moderna il giro d’affari messo a segno da vini, spumanti e Champagne è aumentato del 2% nella prima metà del 2017, ancora lontano però dal porre un freno al crollo dei consumi, con solo il 2,3% degli italiani che consuma più di mezzo litro di vino al giorno (era il triplo trenta anni fa, secondo il Censis).
L’Italia vista dal leader della gdo, sottolinea a WineNews Marco Pedroni, presidente Coop Italia, “è un’Italia che sta cambiando soprattutto nei comportamenti delle famiglie, delle persone e nel sistema di relazioni. E cambia rafforzando tendenze già viste negli anni passati, come l’interesse verso cibi in termini di benessere e salute, che diventa una delle cose più importanti della propria vita, tanto da prendere il posto nelle discussioni della moda per le donne o delle automobili per gli uomini. Lo dicono, chiaramente, i dati delle vendite. Ed è un’evoluzione positiva, non consumistica, perché c’è anche una grande attenzione a non sprecare. Se si dovesse rafforzare questa timida ripresa economica dei consumi, credo che l’Italia possa tornare a crescere in modo significativo”.
Nella più classica delle tradizioni, il “Rapporto Coop 2017” - parte integrante di Italiani.coop, il portale di ricerca e analisi dell’Ufficio Studi Coop (www.italiani.coop) - conferma che sono due le bevande che non possono mancare sulla tavola degli italiani: l’acqua e il vino. Tuttavia, la trasformazione degli stili di consumo in atto da alcuni anni ha riguardato anche i due prodotti che a prima vista potrebbero riservare poche sorprese, ma le cui modalità di consumo da parte degli italiani sono cambiate. Secondo l’ultima indagine di Aqua Italia il 72% degli italiani fa un largo consumo di acqua del rubinetto, mentre il 44% dichiara di berla “sempre” o “quasi sempre”. Le differenze geografiche sono molto marcate: il sentimento di sfiducia è molto più elevato nelle Regioni del Sud Italia, in particolare in Sardegna (63%) e Sicilia (57%), mentre cala al Centro e al Nord, fino a raggiungere il punto di minimo nelle Regioni alpine. In Valle d’Aosta le famiglie che non si fidano dell’acqua del rubinetto sono il 7%, mentre nelle Province di Trento e Bolzano la quota scende addirittura al di sotto del 4%. Con il 20% degli italiani che la predilige perché si sente più rassicurato dai controlli più frequenti rispetto a quelli effettuati per l’acqua in bottiglia. Una nuova passione, che si affianca agli utilizzi più comuni dell’acqua potabile, dall’igiene personale alla cucina, fino al bucato e all’orto. Ma nonostante il consumo dell’acqua del rubinetto sia aumentato negli ultimi anni, le vendite delle bottiglie d’acqua minerale non sono diminuite. Le ragioni che spiegano l’aumento di entrambi i consumi, non vanno cercate nella sete degli italiani, ma nel cambiamento degli stili di consumo degli ultimi anni, sempre più orientati al benessere, con gli italiani che hanno in larga parte sostituito i consumi di bevande gassate e zuccherate con l’acqua, seguendo le raccomandazioni degli esperti sui consumi giornalieri d’acqua, bevendo di più e con maggiore frequenza.
“Alla ricerca del benessere si tende a bere di meno: il vino, come gli altri alcolici, ha perso la concezione storica di alimento per diventare piacere. Si beve di meno, si beve meglio, e soprattutto, italiano - spiega a WineNews Albino Russo, direttore Ancc-Coop - abbiamo dedicato uno spazio specifico a questo tema, “L’italianità nel bicchiere”. Il vino rosso in particolare è tra quei prodotti che intercettano la necessità di benessere e salutismo, e gli si riconoscono vantaggi non solo organolettici. Vino di qualità, di territorio, certificato dalla Denominazione di origine e con il boom del biologico”. Del cambiamento degli stili di consumo ha risentito infatti anche il vino, che rimane sulla tavola degli italiani, ma in una veste nuova. Tutto è partito con la crisi, che ha obbligato le famiglie ad assumere comportamenti più selettivi, spesso rinunciando alle voci di spesa più voluttuarie, a partire proprio dalle bevande alcoliche. Oggi il settore sta sperimentando una fase di recupero, sostenuta da due elementi di scenario: lo spostamento dei consumatori italiani verso un prodotto a maggiore contenuto di qualità ed il consolidamento della componente dell’export. La ripresa delle vendite nella distribuzione moderna è una performance ancora più lusinghiera se si considera che è in atto un progressivo travaso dei volumi di vendita nella direzione di formati più specializzati e di nicchia (vendita diretta con il produttore, enoteche, cantine). Cresce in particolare la qualità del prodotto medio, al punto da configurare un fenomeno di upgrading importante della spesa: i dati Nielsen sui volumi di vendita documentano nel primo semestre dell’anno un incremento in quantità pari al 5% rispetto allo stesso periodo di un anno fa per i vini con etichetta certificata, a fronte di un calo del 3% per i vini comuni. Ma la passione degli italiani per il vino non si ferma all’acquisto, ma è cresciuto anche l’interesse verso i suoi eventi: nel 2016 sono stati 24 milioni gli italiani che vi hanno partecipato, tra cui tantissimi giovani, e con gli stranieri che non sono da meno (48.000 solo a Vinitaly 2017) e il vino che si conferma uno dei principali ambasciatori del “made in Italy”, con una quota export di 5,6 miliardi di euro nel 2016 (+4,3% sul 2015). Ma secondo le analisi di Confcooperative, i volumi di vendita nel mondo tra il 2015 e il 2020 cresceranno del 13,4%, e l’Italia, primo produttore in assoluto, vedrà ampliarsi le sue quote di mercato.
Focus - “Rapporto Coop 2017”: l’Italia a tavola, tra salutismo e più valore nel carrello della spesa. Ma diversamente dal bicchiere, superfood, integrali, senza glutine, senza lattosio, e “senza olio di palma” , sostituiscono la tradizione. È finito il tempo delle rinunce, e il cibo è un’esperienza, da vivere e condividere, ma a discapito dei risparmi
La salute prima di tutto e il cibo come elisir e terapia oltre che come piacere. È questo, secondo il “Rapporto Coop 2017”, il nuovo mantra degli italiani a tavola, i più sani al mondo, anche se paradossalmente scende la percentuale di coloro che si sentono in buona salute (dal 66,7% del 2010 all’attuale 65,8%), ma comunque ossessionati dalla rincorsa al benessere (10 miliardi di euro all’anno la spesa per la solo cura del corpo, e con lo “sportivo da divano” che lascia il posto al runner o al ciclista nemmeno tanto amatoriali). Sembrano aver perso per strada molti desideri: fumano di meno, bevono di meno e amano di meno (-10% il calo del desiderio sessuale negli ultimi 15 anni), mantengono solo una passione, peraltro sfortunata, per il gioco d’azzardo (siamo in classifica il quarto popolo che perde di più al mondo), padroni di internet e delle tecnologie di ultimissima generazione. Casomai sono il timore per un peggioramento delle condizioni ambientali e sempre di più la minaccia terroristica e l’immigrazione (che l’integrazione sia un fenomeno inarrestabile lo dimostra anche la crescita dei matrimoni misti, pari al 12% delle nozze celebrate l’ultimo anno, il 20% nel Nord Est), a far vivere male gli italiani che ricorrono sempre di più agli antidepressivi (+18% negli ultimi dieci anni) e persino alle armi (12 italiani su 100 ne possiedono una ...). Eppure mantengono anche primati assolutamente positivi, come l’essere filantropi e generosi (ammonta a 4,5 miliardi di euro il monte delle donazioni).
Tornando al carrello della spesa, il 46% è convinto che i superfood siano un modo per trattare e prevenire le malattie, e per 1 intervistato su 3 la loro assunzione è addirittura alternativa alle medicine tradizionali e più di 1 italiano su 3 si fa dettare la dieta alimentare direttamente dal proprio medico (o dal naturopata) piuttosto che dal produttore o distributore. I “cibi terapeutici” (superfood, ma anche dieta sirt e prodotti assimilabili) valgono ormai il 10% dei consumi alimentari e crescono più del doppio della media (+5% l’ultimo anno, i superfood l’8%). E per alcuni che tendono a scemare nell’attenzione degli italiani, altri nuovi e ancora più insoliti ne arrivano: attualmente quelli ritenuti più “healthy” e comunque anche gustosi sono la polvere di maca (il 100% ritiene che abbia proprietà salutistiche), i semi di chia (75%), le bacche di acaj (69%) e di goji (68%). Mentre si sono arrestate le vendite di aglio nero (-37%), kamut (-24%) e soia (-3%), a riprova della progressiva fluidità delle scelte di consumo.
Se si scende dal macro ai singoli prodotti, analizzando i top e i bottom delle vendite nella gdo, è evidente l’effetto sostituzione a vantaggio delle varianti più salutari. Anche quando si ha a che fare con i prodotti della tradizione: così cede terreno il latte uht (-4,6%) in favore di quello a alta digeribilità (+174,4%) o le uova di galline allevate in batteria (-8,2%) a favore di quelle allevate a terra (+15%). E scorrendo la lista è tutto un surplus di prodotti considerati benefici: crescono gli integrali, i senza glutine, i senza lattosio. Se consideriamo solo il “senza olio di palma”, diventato anche un caso mediatico, il giro d’affari registra un più che promettente +13,5%, mentre siamo arrivati a mangiare la stessa quantità di carni rosse e bianche chiudendo un divario fino ad oggi storico: 19 chilogrammi procapite annui.
Ed è anche grazie a queste nuove tendenze che torna maggior valore nel carrello della spesa degli italiani. Il 2017 è l’anno della fine del downgrading della spesa e la maggioranza degli italiani si è lasciata alle spalle il tempo delle rinunce alimentari e della caccia alle promozioni: torna la voglia di qualità e la sperimentazione. Il 70% degli italiani, primi in Europa, dichiara di essere disposto a pagare di più per avere più qualità e il carrello del “lusso”, forte dei suoi filetti di pesce, funghi, caffè in capsule e vini Doc, supera l’8% di crescita nel primo semestre dell’anno. Nelle fasi più recenti qualità è poi diventata sinonimo di sicurezza, oltre che di proprietà organolettiche e di gusto. Si spiega così quel 56,4% di consumatori che legge in modo quasi maniacale le etichette dei cibi.
Ma se il cibo torna di moda mutua proprio dal fashion altre caratteristiche. Diventa così esperienza da vivere, estetica da condividere (specie sui social: 130 milioni i risultati indicizzati su Instagram alla parola #foodporn), rappresentazione della propria identità individuale (vegan e non solo) e sperimentazione, con le scelte alimentari sempre più fluide e stagionali. A proposito di stagionalità, il positivo andamento delle vendite food della grande distribuzione (sfiora il 3% nel primo semestre) è concentrato proprio nei settori che hanno subito le temperature estreme sia della stagione calda che di quella fredda e potrebbero ridurre la loro esuberanza con un (auspicabile) ritorno alla normalità “metereologica”.
Una riflessione, dal “Rapporto Coop 2017” (redatto con la collaborazione scientifica di Ref Ricerche, Nielsen, Iri, Gfk, Demos, Nomisma e Pwc, Ufficio Studi Mediobanca, Crif e BeMyEye), per concludere: “che ripresa sia, malgrado tutto. L’economia italiana prova a rialzare la testa spinta dall’export seppur ancora gravata dai molti divari sociali. Il 28,7% delle famiglie, ovvero 1 italiano su 4, è a rischio povertà o esclusione sociale (era il 26% nel 2007), poco lontano dal drammatico 35,7% della Grecia. In questo scenario comunque complesso il Pil fa registrare un +1,5% nel 2017 e un +1,2% atteso nel 2018, considerato tutto sommato un risultato incoraggiante seppur lontano dal 2,1% dell’area euro, ma gli stessi consumi se continuano il loro trend positivo (l’anno in corso si chiuderà con un +1,2%) lo fanno a patto di una diminuzione del tasso di risparmio e del nuovo incremento dei prestiti. Ed è certo che il nostro sia diventato un Paese più vulnerabile, insicuro e meno ottimista di un tempo, dove paradossalmente il leader politico che a livello internazionale catalizza l’attenzione dei nostri connazionali è Donald Trump. E non in negativo”.
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