Al mangiare fuori casa è destinato ormai oltre un terzo del totale dei consumi alimentari delle famiglie, con la spesa per la ristorazione che ha superato i 78 miliardi nel 2016, per un aumento reale dell’8% sul periodo che ha preceduto la crisi. Tra le nuove tendenze, è boom per gli home restaurant, scelti da 3,3 milioni di italiani, con la preparazione di cene nel salotto di casa da parte di cuochi amatoriali, organizzate e promosse attraverso piattaforme social. E se c’è una cosa che continua a piacere agli italiani, è esprimere la propria opinione, dando i voti online a ristoranti, trattorie o altri locali, con il 47% della popolazione adulta che ha scritto nell’ultimo anno recensioni sul web sui pranzi o le cene consumati. Cresce anche la richiesta di benessere a tavola, che spinge gli chef ad acquistare direttamente dagli agricoltori, che diventano nel 2017 il primo canale di fornitura dei ristoranti, con il 39% dei locali che si rivolge alle aziende agricole contro un 34% che si rifornisce da grossisti e un 21% che va nei mercati. Tra gli aspetti negativi della ristorazione italiana, invece, le storture di cui è vittima la cucina italiana: nel 35% dei ristoranti di Bologna, ad esempio, vengono serviti gli spaghetti alla bolognese che sono un piatto del tutto sconosciuto nella città emiliana, mentre nel 26% dei locali la cotoletta alla milanese è preparata erroneamente anche con carne di maiale o di pollo e nel 24% dei posti alla carbonara viene aggiunta la panna non prevista nella ricetta storica. Ecco lo stato dell’arte della gastronomia italiana ed il suo rapporto con i consumatori, emerso dal Rapporto Coldiretti/Censis sulla ristorazione in Italia, presentato oggi al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, organizzato dalla Coldiretti, di scena a Cernobbio.
I campioni del pranzo o cena al ristorante sono i Millennials, che in 11 milioni hanno mangiato fuori casa, di cui 6,9 milioni regolarmente, a conferma del fatto che si tratta di un fenomeno destinato a crescere nel futuro. Tra i locali scelti, spiega la Coldiretti, 48,6 milioni di italiani hanno frequentato ristoranti, osterie, trattorie di cucina italiana o regionale, mentre 28,7 milioni si sono recati in ristoranti etnici (cinese, indiano, giapponese), 36,1 milioni hanno mangiato negli agriturismi, 30,8 milioni in pub e paninoteche, 26,7 milioni in wine bar ed eno-pub, 37,9 milioni in bar, caffè, pasticcerie per pranzo o cena, 31,5 milioni di italiani nei fast food, 16,5 milioni nei ristoranti vegetariani/vegani. Ineludibile per il successo è comunque la capacità di far mangiare bene il cliente.
Per il 74% degli italiani la buona riuscita di un piatto dipende dalla qualità delle materie prime, mentre per il 17% è legata alla capacità dello chef. In particolare, l’eccellenza nella ristorazione deriva per i cittadini dalla qualità delle materie prime usate per preparare le pietanze (84,2%), dalla loro origine italiana (72,4%), dall’indicazione sul menù della provenienza delle materie prime e degli ingredienti (66,4%). Sono questi i tre elementi fondamentali per una cucina di eccellenza per la ristorazione, spiega ancora la Coldiretti, che evidenziano il ruolo decisivo della filiera agroalimentare italiana, con i prodotti dell’agricoltura italiana considerati la base del buon mangiare, garantendo agli occhi dei clienti cibo di qualità, genuino e sicuro. Non a caso, l’utilizzo di materie prime al 100% italiane viene giudicato un moltiplicatore di attrattività per un locale dal 93,5% degli intervistati.
Ma le abitudini alimentari degli italiani sono tutt’altro che immutabili, e se l’home restaurant “cattura” regolarmente 3,3 milioni di persone, dice la Coldiretti, e altre 8,8 occasionalmente, il social eating (privati che organizzano in casa propria pranzi o cene come fossero ristoranti) è praticato abitualmente da 3,1 milioni di italiani, mentre ulteriori 6 milioni lo fanno di tanto in tanto. Novità che hanno ampliato la gamma delle opportunità senza entrare in conflitto diretto, almeno per ora, con le forme più tradizionali del mangiare fuori casa. Altro fenomeno in crescita è quello della ristorazione digitale, con 4,1 milioni di italiani che ordinano regolarmente cibo a domicilio online, tramite sito web oppure app (più altri 8,8 che lo praticano saltuariamente), mentre sono 11 milioni quelli che usano il telefono in maniera costante, per farsi portare a casa piatti e pietanze direttamente da ristorante e/o pizzeria (17,5 milioni quelli che lo fanno occasionalmente). Nuove modalità di consumo che, spiega la Coldiretti, fanno saltare anche il tradizionale divario tra mangiare in casa e mangiare fuori casa.
Un rapporto con il web che non si esaurisce nella prenotazione o nell’acquisto, ma che continua anche dopo il consumo, con giudizi e voti postati sulle maggiori piattaforma del web. Analizzando i giudizi postati, rileva la Coldiretti, il 58,2% degli italiani definisce di eccellenza la propria esperienza, il 36,8% buona o sufficiente e il 5% insufficiente. Tra le motivazioni più frequenti alla base dei commenti negativi ci sono locali angusti, eccessivamente affollati o troppo rumorosi, tempi di attesa dei piatti eccessivamente lunghi, scortesia o scarsa attenzione del personale anche al momento dell’accoglienza nel locale. Meno frequenti i giudizi molto negativi sulla qualità del cibo e sull’inadeguatezza della preparazione del piatto.
Il rapporto Coldiretti/Censis prende quindi in esame le recensioni postate dai clienti stranieri, che si rivelano meno severi di quelli italiani. Qui il 66% dei commenti esprime, infatti, un giudizio eccellente sulla propria esperienza di ristorazione in un preciso locale, il 30,3% ha scritto una recensione buona o sufficiente e solo il 3,7% ha espresso una valutazione negativa. Se si analizzano, però, le recensioni per locale solo il 5,6% dei ristoranti valutati rientra nella categoria top, cioè hanno saputo garantire ai clienti una esperienza di assoluta eccellenza in tutte le dimensioni considerate, dalla qualità del cibo alle caratteristiche del locale fino al servizio al personale. Il 28,2% ha ottenuto una valutazione molto buona, il 36,3% buona, il 19,3% media e il 10,6% negativa. Un fenomeno di cui la ristorazione, continua la Coldiretti, si trova oggi costretta a tenere sempre più conto. La social reputation, e nello specifico la web reputation è, infatti, diventata fattore ineludibile del successo o insuccesso di un locale. La capacità del ristoratore di offrire un’esperienza positiva al cliente influisce anche sull’abitudine a lasciare mance, abituale tra gli stranieri.
Americani, tedeschi ed inglesi salgono nell’ordine sul podio della generosità al ristorante, e si classificano tra i clienti stranieri che lasciano le mance più grosse. A seguire ci sono russi, francesi e spagnoli, mentre in fondo alla classifica cinesi e giapponesi. A tanta munificenza, sottolinea la Coldiretti, corrisponde, però, anche una certa ingordigia tanto che i clienti dagli Usa e dalla Germania sono quelli che, secondo i ristoratori italiani, mangiano di più mentre i più parchi sono i cinesi. Russi e francesi, conclude la Coldiretti, si pongono invece alla testa dei clienti stranieri più esigenti.
E se americani e tedeschi sono i più ingordi, gli italiani si riscoprono ogni giorno più salutisti, anche a tavola, con gli chef che ormai hanno negli agricoltori i principali fornitori. Un fenomeno, spiega la Coldiretti, legato al fatto che la qualità riconosciuta delle materie prime e la loro tracciabile provenienza italiana sono diventati ormai un fattore strategico di successo per il settore. I ristoranti di cucina regionale, quelli specializzati in carne e le pizzerie sono le tipologie di locali a più alta intensità di acquisto di prodotti nelle aziende agricole; i grossisti, il mercato all’ingrosso sono, invece, particolarmente utilizzati da ristoranti specializzati in pesce.
I prodotti più acquistati dagli agricoltori sono l’olio, comprato dal 70% dagli chef, mentre il 68% compera vino, il 62% verdura e frutta, il 56% formaggi, il 54% carne. E il trend non sembra destinato ad esaurirsi visto che quasi un ristoratore su 2 (43%) ritiene che l’interesse per i prodotti a km zero sia destinato addirittura ad aumentare nei prossimi anni, mentre un altro 43% pensa che rimarrà comunque costante e appena il 4% crede che andrà a scemare. Oltre alla scelta dei canali di acquisto, precisa la Coldiretti, la svolta salutista condiziona anche i menu, con il 58% dei ristoranti che offre ricette gluten free, il 44% che prepara piatti a chilometro zero, ed il 42% che nel menu propone anche piatti vegani. E si registra anche una tendenza alla specializzazione con la diffusione ormai capillare di ristoranti, trattorie, pizzerie bar, gelaterie che incontrano i nuovi orientamenti con un aumento del 34% di locali vegani in un anno, mentre sono saliti a 4.000 i ristoranti, pizzerie, alberghi, gelaterie e laboratori che, in tutta Italia, hanno seguito un percorso di formazione da parte dall’Associazione Italiana Celiachia.
Se c’è un aspetto negativo, quello è nei menu “acchiappaturisti”, che rischiano di dequalificare l’offerta enogastronomica made in Italy. Tra le specialità più “tradite” ci sono anche la pasta al pesto proposta con mandorle, noci o pistacchi al posto dei pinoli e con il formaggio comune che sostituisce l’immancabile parmigiano reggiano e il pecorino romano (23%), la pasta alla Norma con un formaggio diverso dalla ricotta salata (19%) e il Tiramisù, che è forse il più conosciuto dolce italiano all’estero, che viene spesso tradito nelle sue componenti caratteristiche, savoiardi, mascarpone e marsala (19%). A preoccupare è anche il fatto che in quasi 1 ristorante su 4 (22%) ci siano oliere fuorilegge che non rispettano l’obbligo del tappo antirabbocco entrato in vigore 3 anni fa. Ancora peggiore la situazione dei menu, dove non vige alcun obbligo di una corretta informazione sulla provenienza degli ingredienti.
“Con un terzo dei consumi alimentari che si concentra ormai fuori casa - commenta il presidente Coldiretti, Roberto Moncalvo - occorre estendere allora la domanda di trasparenza dagli scaffali dei supermercato ai menu dei ristoranti con l’indicazione dell’origine dei prodotti utilizzati nella preparazione dei piatti serviti. Al di là della buona volontà dei ristoratori, oggi non esiste nessuna garanzia per i clienti sulla reale provenienza, ad esempio, del pesce o della carne, ma anche del formaggio per condire la pasta con un utilizzo molto diffuso di imitazioni straniere del Parmigiano reggiano e del Grano padano, senza dimenticare i piatti di salumi affettati. Solo con la trasparenza sarà possibile evitare il rischio - conclude Moncalvo - di ritrovarsi nel piatto pietanze made in Italy di nome ma non di fatto, un italian sounding di casa nostra che rappresenta l’altra faccia di quelle ricette sfregiate che già causano un danno d’immagine considerevole alle specialità tricolori”.
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