Con le famiglie italiane che nel 2017 hanno speso per mangiare fuori casa oltre 83 miliardi di euro (+3% sul 2016), a fronte di una spesa alimentare in casa che continua a calare (-10,5% pari a una flessione di 15,9 miliardi di euro tra il 2007 e il 2016), la ristorazione in Italia si conferma un settore trainante dell’agroalimentare e motore della ripresa del Belpaese.
Tanto che, se nel periodo 2007-2016 la contrazione dei consumi è stata di circa 40 miliardi di euro, a prezzi costanti, 21 dei quali nel solo comparto dei trasporti e 16 in quello alimentare, controcorrente il settore alberghi e ristoranti ha guadagnato domanda per poco più di 4,4 miliardi di euro e la ristorazione da sola ha sfiorato i 2,5 miliardi di euro. Terzo mercato in Europa dopo Regno Unito e Spagna, i consumi fuoricasa in Italia (ormai attestati sul 36% dei consumi complessivi) stanno dunque tornando ai livelli pre-crisi (a fronte del +1 miliardi di euro in Francia, -11 miliardi di euro in Spagna e -3,7 miliardi nel Regno Unito). È la fotografia scattata dal Rapporto Ristorazione 2017 della Fipe-Federazione Italiana Pubblici Esercizi, presentato oggi a Palazzo Castiglioni a Milano, e dedicato a Gualtiero Marchesi, “intelligenza e umanità della ristorazione italiana”. Emerge un quadro di sostanziale ottimismo anche sul fronte occupazionale, con una crescita del 3,3% sul 2016, per oltre un milione di unità di lavoro (+17% dall’inizio della crisi). Su un totale nazionale di 329.787 imprese, la Lombardia è la prima Regione, con il 15,4% del totale, seguita da Lazio (10,9%) e Campania (9,5%), ma continuano a preoccupare l’elevato numero di aziende che chiudono (nel 2016 hanno avviato l’attività 15.714 imprese, mentre circa 26.500 l’hanno cessata, con un saldo negativo per oltre 10.000 unità, e nei primi 9 mesi del 2017 hanno avviato l’attività 10.835 imprese, mentre 19.235 l’hanno cessata con un saldo negativo pari a 8.400 unità), e un tasso di produttività che resta sotto i livelli pre-crisi e anzi si riduce (6 punti percentuali al di sotto del livello del 2009). I prezzi? Sotto controllo, con incrementi sul 2016 di poco al di sopra dell’1%, e con addirittura il costo di una tazzina di caffè rilevato nelle più importanti città italiane inferiore aun anno fa (0,93 vs 0,95 euro). Forse anche per questo, nella quotidianità, oltre 5 milioni di italiani fanno colazione tutti i giorni al bar e 13 milioni pranzano abitualmente fuori casa. Altro aspetto, sempre al centro del dibattito, l’uso della tecnologia: solo il 40% dei ristoranti utilizza strumenti digitali per la gestione dei processi aziendali, ma quasi tutti leggono le recensioni sui social (81%), pur non avendo nel 41% dei casi alcun account social.
“I numeri del Rapporto dicono che restiamo la componente principale della filiera agroalimentare italiana nella creazione di valore e di occupazione - commenta il presidente Fipe Lino Enrico Stoppani - ma tra imprese che chiudono e basso tasso di produttività è difficile trovare le risorse per investire e fare quelle innovazioni di cui il settore ha grande bisogno. Anche i recenti provvedimenti approvati con la legge di bilancio 2018, in particolare quello sui distretti del cibo, vedono emarginato il ruolo della ristorazione, nonostante i titoli e i numeri che esprime, esclusa dalle utilità e dai contributi inseriti nel provvedimento, con il rischio aggiuntivo di ulteriore dequalificazione, vista l’estensione della somministrazione di cibi alle imprese agricole, anche in forma itinerante”.
Tra i punti di maggiore interesse evidenziati dal Rapporto, l’impatto della crisi sui consumi alimentari in casa ha fatto in modo che il peso della ristorazione sul totale dei consumi alimentari guadagnasse ancora qualche posizione, rafforzando la tesi che vede gli italiani come un popolo a cui piace stare fuori casa. In particolare la sola ristorazione ha guadagnato una domanda di 2,5 miliardi di euro. Nel terzo trimestre 2017 cresce del +14% il clima di fiducia delle imprese di ristorazione sullo stesso trimestre 2016 e consolida il trend positivo degli ultimi tre trimestri.
Passando al tema della produttività, l’Italia sconta un tasso di crescita in sostanziale stagnazione da circa un decennio. In questo contesto lo stato della ristorazione appare ancor più problematico: fatto cento il valore aggiunto per unità di lavoro riferito all’intera economia, alberghi e ristoranti si attestano al 63, ovvero il 37% al di sotto del valore medio. Nessun problema sul versante inflazione.
Focus - Rapporto Ristorazione Fipe 2017 in pillole: il mercato della ristorazione in Italia e in Europa
Nel periodo 2007-2016 la contrazione dei consumi è stata di circa 40 miliardi di euro, a prezzi costanti, 21 dei quali nel solo comparto dei trasporti e 16 in quello alimentare. Il settore alberghi e ristoranti ha guadagnato domanda per poco più di 4,4 miliardi di euro e la ristorazione da sola ha sfiorato i 2,5 miliardi di euro. La spesa delle famiglie in servizi di ristorazione è stata nel 2016 di 80.254 milioni di euro (la stima per il 2017 è di 83 miliardi) in valore e di 73.141 milioni in volume con un incremento reale sull’anno precedente pari al 3%. L’impatto della crisi sui consumi alimentari in casa (-10,5% pari a una flessione di 15,9 miliardi di euro tra il 2007 e il 2016) ha fatto in modo che il peso della ristorazione sul totale dei consumi alimentari guadagnasse ancora qualche posizione, rafforzando la tesi che vede gli italiani come un popolo a cui piace stare fuori casa. Il fuoricasa vale ormai oltre il 35% (36% nel 2017) del totale dei consumi alimentari delle famiglie con un trend di moderata ma costante crescita.
In Europa i consumi alimentari valgono 1.522 miliardi di euro per il 63,1% nel canale domestico e per il restante 36,9% nella ristorazione. Ma tra i Paesi la variabilità è significativa. In Germania la ristorazione pesa meno del 30% sul totale dei consumi alimentari, il 47,6% nel Regno Unito, il 53,6% in Spagna e addirittura il 59% in Irlanda. In Italia la quota si attesta al 35%, sei punti percentuali al di sopra della Francia. Dal punto di vista dei valori assoluti l’Italia è il terzo mercato della ristorazione in Europa dopo Regno Unito e Spagna. Sempre in Europa tra il 2007 e il 2016 la contrazione dei consumi alimentari è stata di circa 8 miliardi di euro, quasi totalmente ascrivibile alla ristorazione. Una dinamica esattamente opposta a quella registrata in Italia, dove la contrazione degli alimentari è quasi totalmente riconducibile al canale domestico. Tra il 2007 e il 2016 la ristorazione in Spagna e Regno Unito ha perso rispettivamente 11 e 3,7 miliardi di euro.
Chi sono gli avventori dei pubblici esercizi in Italia
L’indicatore dei consumi fuori casa (Iceo) aumenta nel 2017 dello 0,3% passando da 41,8% a 42,1%. Sono oltre 39 milioni le persone che consumano pasti fuori casa così segmentate: 13 milioni di heavy consumer, coloro che consumano 4-5 pasti fuori casa a settimana., per lo più uomini di età compresa tra i 35 e i 44 anni e residenti al Nord Ovest; 9,7 milioni di average consumer, quelli che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa a settimana, in prevalenza uomini di età compresa tra i 18 e i 24 anni e residenti nel Centro Italia; 16,5 milioni di low consumer, che consumano pasti fuori casa 2-3 volte al mese, sono in prevalenza donne di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia.
La giornata degli italiani, dalla colazione alla cena
Il Rapporto Fipe passa in analisi la ripartizione dei consumi fuori casa durante l’arco della giornata. Per quanto riguarda la colazione, il 63,8% degli italiani consuma, con diversa intensità, la colazione fuori casa: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Il bar/caffè è il luogo deputato alla colazione per eccellenza, senza alcuna distinzione di genere, età e area geografica. A seguire il bar pasticceria, preferito dalle donne (64,1% contro il 58,2% degli uomini) e nel Nord Est (64,9%). Le alternative restano esigue, come ad esempio i distributori automatici verso i quali si indirizza il 16,4% dei consumatori. La spesa media per la colazione fuori casa è tra i 2 e i 3 euro. Solo l’1,3% spende meno di un euro, e nel caso si tratta quasi sempre di heavy consumer. Passando al pranzo, le relative caratteristiche dipendono molto dai giorni della settimana. Al 67,1% degli italiani, pari a poco meno di 34 milioni, capita di consumare il pranzo fuori casa durante la settimana. Per 12,7 milioni si tratta di un’occasione abituale, almeno 3-4 volte alla settimana. La spesa durante la settimana è prevalentemente concentrata nella fascia 5-10 euro (il 48,7%). Nei fine settimana i luoghi del pranzo, i prodotti consumati e la spesa cambiano in modo significativo. Un aspetto particolarmente interessante riguarda la percezione del pranzo fuori casa da parte di chi lavora. Per un lavoratore su due è la qualità del cibo il punto di forza del pubblico esercizio dove consumare il pranzo. Sono molto importanti poi la vicinanza al luogo di lavoro, la rapidità del servizio e l’attenzione al portafogli. Risulta curiosa la percentuale di appena l’8,4% di chi ritiene importante la presenza di un Pos all’interno del bar. Più significativa la segnalazione dell’uso dei buoni pasto (23,6%). A proposito di buoni pasto si rileva che il 43,2% dei lavoratori dipendenti del campione (il 58% del totale) li riceve dal proprio datore di lavoro. Come si vede sono ancora molti i dipendenti che non hanno a disposizione il servizio sostitutivo di mensa.
In generale il pranzo si paga per di più in contanti (69,3%), ma oltre un quarto dei lavoratori intervistati privilegia la moneta virtuale. Venendo alla cena, il 60,9% degli intervistati ha consumato almeno una cena fuori casa con riferimento ad un mese tipo. Si sceglie principalmente la trattoria o la pizzeria. La fascia di prezzo per una cena tipo è tra i 10 e i 20 euro, anche se più di un terzo degli italiani riserva ad una singola cena dai 21 ai 30 euro. Solo un intervistato su cento è disposto a pagare più di 50 euro per consumare l’ultimo pasto della giornata.
La “demografia” dei pubblici esercizi
Secondo le ultime rilevazioni di Fipe negli archivi delle Camere di Commercio Italiane risultano attive 329.787 imprese di ristorazione. La Lombardia è la prima regione per presenza di imprese del settore, con una quota sul totale pari al 15,4%, seguita da Lazio (10,9%) e Campania (9,5%). La rete dei pubblici esercizi è dunque ampia e articolata sull’intero territorio nazionale, nei piccoli come nei grandi centri urbani. La ditta individuale resta la forma giuridica prevalente, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno dove la quota sul totale raggiunge soglie che arrivano ad oltre il 70% del numero complessivo delle imprese attive (è il caso della Calabria). Le società di persone si confermano invece opzione diffusa di organizzazione imprenditoriale nelle aree settentrionali del Paese. Il 32,4% delle imprese è attiva come società di persone, mentre la quota delle società di capitale è di poco al di sopra del 12%. In tale contesto merita una segnalazione il 12,3% della Lombardia al Nord, il 26% del Lazio al Centro e il 14,7% della Campania al Sud. Alle altre forme giuridiche che ricomprendono, ad esempio, le cooperative va la quota residua dell’1,2%. I ristoranti in particolare ammontano a 177.241 unità. Il consolidato sorpasso dei ristoranti sul bar è il risultato di un’evoluzione del mercato che si è accompagnata al cambiamento del sistema delle regole grazie ai quali gli imprenditori privilegiano di qualificarsi come ristoranti, anziché bar, per disporre di meno vincoli nello svolgimento dell’attività.
L’uso della tecnologia nei pubblici esercizi
Il pubblico esercizio risulta un settore forte sul prodotto (scelta e preparazione delle materie prime) ma molto debole sulla gestione, il marketing e l’innovazione, sia nel back office che nel front office. Solo il 40% delle imprese di ristorazione utilizza strumenti di gestione dei processi interni. Si tratta prevalentemente di applicazioni per la gestione delle comande (17%) o di soluzioni per la fatturazione elettronica (13%). Appena il 7% ricorre alle tecniche del cosiddetto menu engineering e il 6% ad applicazioni per la gestione on line delle prenotazioni. Per quanto riguarda la tecnologia di relazione con il cliente risulta evidente come l’attività in cui i ristoratori risultino più digitali, sia quella che ha a che fare con le recensioni. L’81% legge le recensioni sui siti e il 27%, pochi per la verità, spinge i clienti a scrivere recensioni. Il 41% dei ristoranti non ha alcun account social.
L’occupazione
I pubblici esercizi contano oltre un milione di unità di lavoro. D’altra parte il lavoro resta la componente essenziale per la produzione dei servizi di ristorazione. L’input di lavoro del 2016 è superiore del 3,3% rispetto all’anno precedente. L’80% delle unità di lavoro dell’intero settore alberghi e pubblici esercizi è impiegato nelle imprese della ristorazione, un dato in crescita nel corso di questi ultimi anni.
Produttività e valore aggiunto
La produttività delle imprese della ristorazione non soltanto è bassa, ma anziché crescere si riduce.
Attualmente è al di sotto di quasi sei punti percentuali rispetto al livello raggiunto nel 2009. Nei prossimi anni la ristorazione dovrà imboccare con decisione la strada di un forte recupero di produttività: a questo proposito potrebbe risultare interessante l’implementazione di processi interni in grado di generare maggiore efficienza del sistema negli approvvigionamenti delle materie prime, nell’utilizzo delle risorse umane, nel marketing, nelle tecniche di vendita e nell’uso della tecnologia sia nel back office che nel front office. Il valore aggiunto dei servizi di ristorazione è stimato nel 2016 in oltre 41 miliardi di euro. Dall’avvio della crisi la ricchezza prodotta dalle imprese del settore ha assunto un profilo dapprima di stagnazione e in seguito di contrazione. Tra il 2011 e il 2013 la contrazione è stata di cinque punti percentuali, ma negli ultimi tre anni l’aggregato ha ripreso un profilo di crescita, tornando al di sopra dei livelli pre-crisi.
I prezzi
I prezzi dei servizi di ristorazione commerciale fanno registrare a dicembre 2017 una variazione dello 0,1% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto allo stesso mese di un anno fa. Per la ristorazione collettiva l’incremento invece è dello 0,7%. L’inflazione media annua si attesta a +1,1% per l’intero settore, valore identico per la sola ristorazione commerciale (bar, ristoranti, fast food). Entrando nello specifico dei diversi canali, al bar la variazione media annua della caffetteria è dell’1,2%. Più vivace, al contrario, la dinamica dei prezzi degli snack (+1,8%) e dei prodotti di gelateria e pasticceria sia al bar che altrove (+1,7% e + 2,0%). Ristoranti tradizionali e pizzerie registrano aumenti medi sul 2016 rispettivamente di +0,9% e +1,3%. Meno vivaci i prezzi della ristorazione veloce +0,6%. Il self service fa segnare un +1,0%.
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