Prima di creare false speranze nei viticoltori del Belpaese, è bene ribadire che sul fronte delle autorizzazioni all’impianto non c’è alcuna novità. E con ogni probabilità, per non dire con certezza, niente cambierà per almeno altri due anni, il tempo cioè di rinnovare le istituzioni europee, dal Parlamento alla Commissione. Quando ciò accadrà, nel 2020, si potrà pensare ad un approccio diverso da parte dell’Europa al settore vino, rimasto uno dei pochi comparti dell’agroalimentare in un certo senso “sotto tutela”, vista la liberalizzazione di quasi tutte le altre filiere. Non è detto, però, che sia la strada giusta: la crescita dell’1% annuo del vigneto Italia è, nel suo complesso, una misura sufficiente, almeno a guardare l’andamento degli ultimi 15 anni, certo è che una gestione regionale, e che non tiene in conto le possibilità di crescita e le aspirazioni di grandi aziende e singoli territori in ascesa, rende la normativa imperfetta. A bilanciare questi limiti, potrebbe essere quella riserva ancora tutta da utilizzare di 22.000 ettari del vecchio regime di diritti, convertiti in autorizzazioni, per la stragrande maggioranza in mano alle aziende, che non possono trasferirli, e che entro la fine del 2020 dovranno decidere cosa farne (ma ci sarà tempo fino al 2023 per piantare nuove viti). Quindi, se investire in nuovi impianti o se lasciarli “scadere”, aprendo un fronte del tutto nuovo, che potrebbe vedere i vecchi diritti andare a “gonfiare” la quota dell’1%. Del resto, le critiche dell’Italia enoica sono le stesse della Francia, dove però l’equilibrio produttivo tra i diversi territori è maggiore, e dove la gestione delle autorizzazioni è in mano ad un’istituzione come AgriMer. Oltralpe lo stock di autorizzazioni all’impianto ereditato dai vecchi diritti è ancora di 30.000 ettari vitati (sui 60.000 ereditati nel 2015), ma 5.000 di questi ettari, se non saranno utilizzati entro il 31 luglio, andranno persi. Così come sono andati persi, finora, altri 6.000 ettari, mentre tra il 2015 ed il 2018 sono già 24.000 i nuovi ettari vitati, che hanno dato nuova linfa al vigneto Francia, rimasto però essenzialmente immutato, in termini complessivi, dal 2010 ad oggi, a quota 770.000 ettari. Insomma, pare che i grandi Paesi produttori abbiano trovato un loro equilibrio, almeno complessivo, per cui il limite dell’1%, se per qualche azienda è una gabbia, forse non è sbagliato in assoluto. E se la soluzione passasse, essenzialmente, per una gestione interna diversa e migliore?
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