Prodotto “umile” ed effimero, profondamente legato alla terra, e a questa Terra, il vino “può aiutare a guardare in alto e alla fine essere santo”. Aspettando che faccia la sua comparsa, da protagonista, sulla tavola delle Feste di Natale, il perché lo ricorda nei giorni scorsi Gian Paolo Dotto sull’“Osservatore Romano”. Irripetibile ed unico ad ogni sorso, come la vita, ha in sé un germe di eternità. Con il vino Gesù ha compiuto il primo miracolo, portando festa ed allegria, al banchetto delle nozze di Cana, e così oggi in tante tavolate, “seme di gioia e di speranza”.
Ma c’è di più: la santità del vino sta nella sua stessa formula. Molecole di acqua e di etanolo, atomi di idrogeno, ossigeno e carbonio in cerchi e lunghe catene, “che sono alla base della struttura e dinamicità di ogni forma di vita”, dalle cellule al Dna. “È nel cervello che l’etanolo sprigiona la sua forza, arrivando velocemente ai centri del pensiero e del linguaggio che scioglie e lascia correre, abbassando le barriere. Al tempo stesso stimola i centri del benessere, del buon umore e del sentirsi bene insieme. Alla fine porta anche il sonno e con sé la sospensione di ansietà e dolore”.
“Ma il segreto del vino non si riduce qui, la sua complessità è altrove”. La produzione e la cultura del vino sono da sempre argomento affascinante, a partire proprio dalla sua diversità, capace di rispecchiare nel calice “non solo il tipo di uva, ma la terra e il pendio in cui è cresciuta, e l’anno e il sole sotto il quale è maturata”. Caratteristiche note agli esperti, ma secondo Dotto lo stesso non si può dire fino in fondo della sua santità, studiata nei secoli dai teologi, a partire “dalla tramutazione del vino in sangue di Cristo, ogni volta che se ne celebra il sacrificio sull’altare”. Per l’eternità.
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