L’Osteria Francescana di Massimo Bottura (2016, 2018), El Bulli di Ferran Adrià (2002, 2006-2009), The French Laundry di Thomas Keller (2003-2004), The Fat Duck di Heston Blumenthal (2005), il Noma di René Redzepi (2010-2012, 2014), El Celler de Can Roca dei Fratelli Roca (2013, 2015) e l’Eleven Madison Park di Daniel Humm (2017): sono i vincitori delle passate edizioni della “The World’s 50 Best Restaurants”, i “Best of the Best” che, dall’edizione n. 2019, per la prima volta in Asia, a Singapore, non potranno più correre per lo scettro di miglior ristorante del mondo. È una vera e propria rivoluzione quella della più prestigiosa ed attesa classifica del mondo della ristorazione che, così, punta a fare emergere chef giovani e di talento che, dietro ai mostri sacri, scalpitano per conquistare la vetta.
Ridefiniti anche i criteri di composizione dell’Academy, in un vero e proprio “Manifesto”: sarà composta ancora da 1.000 giudici, provenienti da tutto il mondo, con un assoluto equilibrio tra i generi. Per il 34% sono chef e ristoratori, per il 33% food writer e per il 33% gourmet giramondo. Ognuno di loro ha a disposizione 10 voti, di cui un massimo di 6 a ristoranti di una stessa Regione geografica (in tutto, sono 26), ed ogni zona è rappresentata da un massimo di 40 elettori. Fissata anche una quota minima di ricambio degli elettori, che dovranno rinnovarsi ogni anno per il 25% del totale. I ristoranti votati (non gli chef o i proprietari...) andranno messi in ordine di preferenza, e la visita deve essere avvenuta, e certificata, entro gli ultimi 18 mesi, senza alcuna restrizione o obbligo sulla tipologia di locale. A confermare la regolarità del voto sarà la Deloitte, la più importante agenzia di revisione al mondo.
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