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LE NUOVE SFIDE

Climate change e il futuro della viticoltura: la tappa di Alba de “L’alfabeto del futuro”

Le case history di sostenibilità di aziende come Gaja e Ceretto. E Carlin Petrini ricorda: “Col cambiare delle colture, cambia la cultura”
CLIMATE CHANGE, SOSTENIBILITA, Italia
Ambiente, viticoltura e climate change al centro di “L’alfabeto del futuro”, ad Alba

Creare un distretto bio sulle colline del Barolo e del Barbaresco e piantare milioni e milioni di alberi: sono due dei desideri espressi ieri pomeriggio nell’incontro promosso dal Gruppo Gedi-La Stampa, in un’affollatissima Fondazione Ferrero di Alba. “L’alfabeto del futuro” è un tour in Italia in cui si parlerà di innovazione. Sulle colline Unesco del vino, si è scelto di parlare di ambiente e di cambiamenti climatici. Lo spunto iniziale lo lancia Luca Ubaldeschi, direttore de “Il Secolo XIX”: “come abbiamo fatto ad essere così ottusi da non capire che non possiamo perseguire i nostri obiettivi senza tener conto della natura? Cosa possiamo fare per riequilibrare il rapporto tra uomo e natura?”. La parola a Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, intervistato da Maurizio Molinari, direttore de “La Stampa”: “il cambiamento climatico genera cambi di colture di 100-200 chilometri più a nord e quindi di cultura. Nel sud del mondo, nell’Africa subsahariana, milioni di ettari stanno diventando aridi: non si possono più allevare animali, coltivare i campi. È il problema centrale a livello globale: questo territorio è coinvolto come ogni angolo del pianeta. E a rimetterci, sono ovviamente le popolazioni, costrette a migrare dove si può coltivare, e quindi sopravvivere. Le Nazioni Unite parlano di 250 milioni di migranti causati dal cambiamento climatico”. Cosa si può fare per gli agricoltori? “C’è una fascia climatica che ne beneficerà: in Russia, in Lituania, in generale nel Nord Europa, ci sarà una nuova realtà agricola ed economica. Pagheranno dazio gli abitanti dell’Africa subsahariana. Non è un caso che anche qui in Italia stiano piantando le uve in Alta Langa, e che lo stiano facendo sempre di più anche in Inghilterra. In Sicilia piantano le banane: stanno cambiando le colture, e di conseguenza la cultura. La situazione è drammatica perché tutti dicono che dobbiamo cambiare stile di vita, ma sono processi lenti e non arriveranno in tempo rispetto ai cambiamenti climatici”. Che fare? “La cosa più importante è piantare alberi, è l’unica speranza che abbiamo per mitigare questo processo. E la nostra proposta di piantare alberi è stata accolta dall’Anci”. A proposito di clima e cambiamenti, cosa pensa Carlo Petrini di Greta Thunberg? “Mi sento totalmente d’accordo con la denuncia di Greta, con le esigenze della sua generazione. Mi fa rabbia vedere che c’è gente che la ridicolizza. Il consumismo ha schiacciato così tanto il pedale che la terra ora ci ferma, è necessario che il ragionamento del profitto come fine unico cambi. Ci vuole un movimento di educazione che parta dalla nuove generazioni”. E su Terra Madre 2020 assicura: “Si parlerà proprio di terra. La terra è più importante del cibo: se non c’è la terra, tutto il resto scompare”.
Altro ospite Antonello Pasini, fisico CNR del clima: “c’è stato un cambiamento climatico senza precedenti negli ultimi 2000 anni: il riscaldamento di oggi è globale, mentre quello che avvenne nel Medioevo era ad aree e quindi legato al clima, non ai gas serra. Quello che abbiamo creato è un inquinamento nuovo, legato al calore. L’agricoltura sarà toccata da grande siccità, soprattutto mais e cereali. Il rischio di desertificazione è altissimo: il deserto si sta mangiando i terreni fertili”.
E il problema, e quindi i danni, non si fermano strettamente all’agricoltura, ma toccano anche la viticoltura: i giornalisti Massimo Mathis, caporedattore “La Stampa - Cuneo”, e Roberto Fiori, responsabile de “La Stampa - Alba”, sollecitano il mondo del vino albese. “I mutamenti climatici degli ultimi anni - dice Rossana Gaja della prestigiosa cantina di Barbaresco Gaja - rappresentano una sfida molto importante per il vino: la vite è un essere sensibile. Quando noi tre fratelli siamo entrati in azienda abbiamo fatto pressioni su papà Angelo per poterci avvalere di importanti scienziati che sappiano aiutarci a lavorare senza diserbi in vigna: oggi seminiamo essenze, leguminacei, graminacee”. Mentre parla, scorrono le foto delle vigne di Barbaresco: “Qualche esempio? L’orzo è un aratro naturale del terreno. Non viene tagliato, ma piegati in modo che lo strato di vegetazione diventi una coperta termica. La semina della senape è un riequilibrante dei terreni e pulisce il terreno, ha un’azione disinfettante, e tiene lontani i parassiti. La facelia attrae le api e le nutre”.
Un’altra storia di viticoltura attenta all’ambiente, nel territorio albese, è quella della griffe Ceretto: Alessandro Ceretto ha convertito 160 ettari dei vigneti di famiglia in bio e biodinamico. “Un distretto bio sulle colline del Barolo e del Barbaresco? È un sogno - ha detto - che vorrei vedere realizzato. Ho iniziato negli anni 2000, quando si parlava più di stile di vinificazione che di terreno. Mi ha aperto gli occhi un manuale di biodinamica dove si sosteneva che l’eccessivo sfruttamento e lavorazione del suolo porta impoverimento, e che la monocultura in convenzionale porta alla desertificazione. Così, ho cominciato a studiare e a capire come poter cambiare approccio. E alla fine abbiamo cambiato tutto, dai porta innesti ai concimi. Tra noi produttori di Cannubi abbiamo fatto un accordo per essere tutti bio. Nelle annate difficili, i costi della gestione del biologico raddoppiano, ad un 20-30% in più. Occorre aprire un ragionamento serio per capire se il biologico è il futuro di queste colline”.

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