Nobile francese con il vino nel Dna, figlia di intellettuali e vignerons, una volta lasciata la Francia per Firenze e il suo sposo, controcorrente rispetto alle gentildonne del suo tempo, ai Palazzi del potere e alla vita aristocratica fiorentina preferì quella campagna toscana irta e faticosa, già famosa fin dal Rinascimento per la produzione di vino grazie ai Medici. Le ricordava la sua amata Francia ed in particolar modo le grandi zone allora già molto affermate per i loro vini come Bordeaux e la Borgogna. È qui che divenne una pioniera, artefice di una vera e propria rivoluzione agricola ed enologica, trasformando l’antica villa di famiglia in una “moderna” cantina dove produrre vino alla maniera francese, chiamando maestranze borgognone e realizzando persino una prima “zonazione”. È la curiosa storia di Marie de Labrugière Gondi, raccontata da WineNews, imprenditrice del vino nel Chianti Rufina dell’Ottocento, esponente di una delle più antiche famiglie fiorentine, produttori di vino in Toscana da secoli, grazie anche alle sue idee illuminate. Una Maria dei Medici all’inverso, antenata di quei cavalieri di Carlo Magno annoverati da Dante in Paradiso, commercianti, banchieri e consiglieri di Lorenzo il Magnifico, con legami italo-francesi da sempre, custodi della dote della regina di Francia Caterina de’ Medici e degli interessi della corona francese, protagonisti dell’incoronazione della stessa Maria quando l’arcivescovo di Parigi era un Gondi, sepolti nella cappella di famiglia in ciò che resta dell’abside della Cattedrale di Notre-Dame.
Ma è nella famiglia d’origine che nascono l’interesse e la passione enoica che Marie de Labrugière esporterà in Italia, nata nel 1846 ad Avignone, da una famiglia che produceva vino nella vicina Châteauneuf-du-Pape nella proprietà di Château Fortia, famosa per il suo Syrah. Nel 1865 sposa Francesco di Giuseppe Gondi e si trasferisce a Firenze nel nobile Palazzo Gondi, costruito nel Quattrocento all’ombra di Palazzo Vecchio con l’aiuto dell’architetto Giuliano da Sangallo. Rimasta vedova e non trovandosi più a suo agio nella società fiorentina gli preferisce la Tenuta di Bossi, proprietà della famiglia fin dal Cinquecento nel cuore del Chianti Rufina, a Pontassieve, intravedendo nel territorio, il più alto del Chianti e grazie al terreno ed alle forti escursioni termiche - inserito nel Bando dei Vini edito nel 1716 dal Granduca Cosimo III de’ Medici assieme alla zona di Greve (l’odierno Chianti Classico), al Carmignano ed al Valdarno Superiore - un grande potenziale per produrre vini di grande eleganza e longevità, grazie alla sua passione e al suo know how.
Avendo due figli ancora piccoli, si rimbocca le maniche per gestire la proprietà di famiglia, dando inizio ad una serie di lavori di ampliamento per rendere la villa da residenza di campagna in una residenza abitabile tutto l’anno, ma anche ampliando la cantina costruendone un parte sotto il giardino e assumendo cantinieri borgognoni. Con il loro aiuto realizzò una prima zonazione delle proprietà reimpiantando i vigneti con una visione moderna e iniziando il passaggio da un’agricoltura promiscua ad una più specializzata, suddividendo i ruoli dei mezzadri in cantina e nel vigneto. Introdusse i tini di cemento - scoperto appena 20 anni prima - per la fermentazione e l’affinamento in botti per più tempo, iniziò ad utilizzare altre forme di bottiglie oltre il fiasco (come la bottiglia “Italica”, la bordolese) e a produrre vini alla francese, da un bianco in stile Sauternes ad un rosso in stile Borgogna, tra le prime Riserve di Chianti.
Il Chianti Rufina Riserva Villa Bossi, oggi prodotto dai suoi stessi discendenti nella stessa Tenuta - 19 ettari per una produzione di 900 ettolitri di vino, tra cui Chianti Rufina, SuperTuscan e Vin Santo - ha come antenato proprio quel rosso voluto da Marie, prodotto dal vigneto Poggio Diamante, scoperto dall’antenata francese e così chiamato per la sua forma, con le diverse sfaccettature che donano al Sangiovese un’eleganza unica. Dalla sua morte, nel 1885, Marie de Labrugière Gondi è rircordata come una delle prime “donne del vino” ante litteram.
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