La Toscana, brand tra i più forti al mondo, terra dove Rinascimento, Medioevo e modernità si mescolano tra città e campagna, deve gran parte della sua fama moderna al mondo del vino. Con il Granducato che è assoluto protagonista enoico a livello nazionale ed internazionale.
Un valore alla produzione, quello del vino di Toscana, che supera 1 miliardo di euro, con una grandissima quota, dovuta ai vini Dop (ben 56), che valgono da soli, secondo le stime, 793 milioni di euro. Un vino alfiere della bellezza diffusa dei tanti territori, ricchezza che nasce da 59.000 ettari di vigneti dove nascono vini tra i più celebri al mondo (il 95,8% Docg o Doc, molto al di sopra della media nazionale ferma al 62%), per una produzione, nel 2019 di quasi 2,6 milioni di ettolitri (dati Ismea), ed un export che se, nel 2018, ha sfiorato il miliardo di euro in valore, tra gennaio e settembre 2019 è cresciuto del 6,6%, attestandosi, nei soli primi 9 mesi dell’anno, a 734 milioni di euro (dati Istat).
Con 1 bottiglia su 2 che finisce all’estero, soprattutto in Usa e Germania, che valgono da soli la metà dell’export del vino di Toscana. Da questa solidità di oggi, figlia di un grande passato e di grandi investimenti dei produttori, ma anche delle Istituzioni (178 milioni di euro di fondi Ocm erogati dalla Regione in 10 anni per la ristrutturazione e riconversione dei vigneti) la Toscana del vino può progettare un grande futuro. Che è fatto di investimenti per la crescita ulteriore della qualità e del posizionamento dei prezzi dei vini di toscana, da investimenti sull’enoturismo, ma anche sulla ricerca. E proprio la “Vision 2030” della Toscana enoica ha dato il via alla “Settimana delle Anteprime”, aperta oggi a Firenze, dove si respira grande ottimismo, anche per la notizia arrivata dagli Usa, che, almeno per ora, non introdurranno dazi sul vino italiano.
“Ho chiesto io a Trump di aspettare fino ad oggi a dare la notizia - ha scherzato l’Assessore all’Agricoltura della Regione Toscana, Marco Remaschi - ma è una cosa davvero importante, gli Usa sono il primo mercato per l’Italia e anche per la Toscana. Il nostro sistema vino è in salute, anche se c’è qualche ombra, come questo allarmismo, che io ritengo eccessivo, sul Coronavirus e sull’Asia, che per noi è u mercato importantissimo sia come export di vino, che come incoming turistico nei nostri territori. Ma sono convinto che con la collaborazione virtuosa tra istituzioni, consorzi e produttori si possa crescere ancora tanto. Puntando, per esempio, sull’enoturismo: la Toscana è stata la prima Regione a fare una legge in materia, perchè è importantissimo far toccare al mondo da dove nasce la qualità dei nostri prodotti. Che dobbiamo valorizzare di più. Ed è un segnale importante che, ad eccezione della denominazione di Bolgheri, piccola ma importantissima, che ha chiesto ed ottenuto una crescita di 180 ettari dei vigneti iscritti alla Doc, tutte le altre denominazioni abbiano voluto tenere chiusi gli albi dei propri vigneti. Vuol dire che c’è la consapevolezza diffusa che la crescita deve passare dall’aumento della qualità e del valore, non delle quantità. Noi come Regione siamo da sempre a fianco delle imprese: in 10 anni abbiamo messo in campo, attraverso l’Ocm, 75 milioni di euro per la promozione nei Paesi terzi, e altre risorse per i mercati Ue, attraverso i Psr. E contribuito con 230 milioni di euro alla ristrutturazione degli vigneti messa in campo dalle aziende. Continuando su questa strada, sono convinto che cresceremo ancora, nei mercati del mondo. Abbiamo grandi prospettive soprattutto in Asia e Medio Oriente, ma dobbiamo promuoverci come Toscana, uniti. Da molti consorzi arriva la proposta di inserire in etichetta “Toscana” (come già fatto dal Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano), perchè è un brand che ha una grande valore aggiunto. E poi insieme siamo tutti più forti”.
“La Toscana del vino è effettivamente in buona salute, e l’export dei soli vini Dop a fine anno, secondo le nostre stime, dovrebbe crescere in volume e tenere il passo in valore. Mentre, per esempio, dalle nostre stime, emerge che la Toscana del vino è cresciuta negli acquisti del 6,3%, il doppio della media nazionale che ha segnato il +3,2%”, ha sottolineato il direttore di Ismea Fabio del Bravo.
Una Toscana enoica, dunque, amata nel mondo e amata in patria, come sottolineato anche da Francesco Mazzei, presidente Avito, l’associazione di tutti i Consorzi del Vino di Toscana. “Ci sono indicatori interessanti, le nostre etichette di punta sono presenti con costanza ai vertici delle classifiche più importanti come quella di “Wine Spectator”, siamo la seconda regione d’Italia in termini di esportazione, ben distribuiti nel mondo. E cresciamo anche nel mercato secondario, come rileva il Liv-Ex. Una crescita che potrà continuare, non da aumenti quantitativi, ma lavorando su valore aggiunto, qualità, biodiversità, immagine. Dobbiamo cresce anche nella fascia media, perchè in questo segmento abbiamo posizionamenti ancora non adeguati, e non in linea con altri territori importanti del mondo. Non dobbiamo fermarci mai sulla promozione, e serve maggiore concertazione tra consorzi, motivo per cui è nata Avito, e istituzioni. E poi dobbiamo fare più ricerca per guardare al futuro, investire di più: mediamente la Toscana produce 300.000 milioni di bottiglie all’anno, un centesimo a bottiglia vorrebbe dire 3 milioni di euro all’anno da destinare alla ricerca. Su cui serve anche l’impegno delle istituzioni”.
Innovazione e promozione, dunque, per far crescere la Toscana del vino. O, in altre parole, ricerca e racconto. Quelle che hanno portato la storia del vino Nesos a catturare, dall’Isola d’Elba, l’attenzione del mondo, come spiegato dal professor Attilio Scienza, dell’Università di Milano, che ha curato il progetto insieme al produttore Antonio Arrighi, recuperando la pratica dell’immersione delle uve in mare, come nell’Antica Grecia si faceva a Chio, da cui veniva il vino definito “dei ricchi”.
“È una storia affascinante, il vino di Chio aveva un segreto, un aroma che i vini trasportati allora via nave non avevano. All’epoca i vini - spiega Scienza - avevano un grado alcolico elevato, caratteri grossolani, la tecnica di Esiodo prevedeva di appassire l’uva per 3 settimane al sole, che chiaramente concentrava gli zuccheri ma distruggeva gli aromi. A Chio avevano scoperto che mettendo queste uve nel mare l’appassimento si accelerava perchè toglieva la cera dalla buccia dell’acino, e quindi si manteneva meglio il corredo aromatico. E poi fecero disegnare l'anfora da Prassitele, artista all’epoca importantissimo, e fu un’intuizione di marketing straordinaria. Era un vino di grande successo, e le navi che lo portavano dalla Grecia in Europa, ritornavano cariche di metalli, e spesso si formavano all’Isola d’Elba. Qualche anno fa gli archeologi si imbattono in queste anfore di Chio, che erano tantissime, tanto che iniziarono a dubitare dell’origine. Ed in effetti si è scoperto che gli Etruschi riproducevano le anfore, e di fatto, in qualche modo, sofisticavano il vino. In ogni caso, da lì è partita un’altra ricerca per scoprire il vitigno che usavano a Chio, e si è scoperto che era l’Ansonica. Un bellissimo esempio di archeologia sperimentale. Così Arrighi mi avvicina e decidiamo di mettere in campo il progetto, abbiamo trovato queste ceste che servono per la cattura delle aragoste, poi immerso l’uva nel mare, poi sui graticci, poi l’abbiamo vinificata in anfora e fatto il primo vino. E pensavamo che fosse finita così, e invece questo progetto ha innescato una curiosità internazionale incredibile. E ho capito che nel mondo c’è una richiesta di storie che è colossale, ma c’è anche una mancanza di storie raccontate da parte nostre, anche se abbiamo sotto i piedi un materiale incredibile da raccontare. Dobbiamo produrre storie, dobbiamo imparare la capacità di raccontare. Le storie che sono nel mondo accademico sono tantissime, vanno portate fuori, e avremo conquistato anche i giovani, è l’anima di quel vino, non ci si può fermare ai profili sensoriali”.
E la narrazione del bello e del buono è anche al centro della “cantinette parlanti” realizzate dal Consorzio Orcia Doc, come raccontato dalla presidente Donatella Cinelli Colombini, “un piccolo Consorzio fatto di piccole cantine che però è nel territorio più bello del mondo, quella Val d’Orcia che è stato il primo territorio agricolo riconosciuto dall’Unesco. Ed ora, con queste cantinette che si troveranno nei ristoranti del territorio, che terranno i vini a temperatura ideale ma che soprattutto mostreranno la bellezza del territorio negli schermi, in una sorta di “cartolina liquida” per dire a chi assaggia i vini, a quei milioni di turisti ed escursionisti che visitano la Val d’Orcia, che stanno bevendo il territorio più bello del mondo”.
Messaggi, spunti e storie che arrivano da PrimAnteprima, che vede nel calice i vini di Carmignano, Chianti Rufina, Colline Lucchesi, Maremma Toscana, Montecucco, Orcia, Terre di Pisa e Valdarno di Sopra, e che lancia la “Settimana delle Anteprime”, che proseguirà con “Chianti Lovers”, a cura del Consorzio Vino Chianti e Morellino di Scansano (16 febbraio, Fortezza da Basso), “Chianti Classico Collection”, a cura del Consorzio Vino Chianti Classico (17-18, Stazione Leopolda di Firenze), Anteprima Vernaccia di San Gimignano, a cura del Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano (19 febbraio, San Gimignano), Anteprima Vino Nobile di Montepulciano, a cura del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano (20 febbraio, Montepulciano), “Benvenuto Brunello” 2020, a cura del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino (21 e 22 febbraio, Montalcino).
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