Nonostante il pericolo dazi - disinnescato solo due giorni fa dalla decisione dello Ustr, che ha salvato ancora una volta vino ed agroalimentare made in Italy dalla lista dei prodotti colpiti dai dazi in seno allo scontro tra Usa e Ue legato agli aiuti pubblici ad Airbus-, la Brexit che porterà la Gran Bretagna definitivamente fuori dal mercato comune europeo e la minaccia che incombe su tutto il mondo di una vera e propria pandemia, quella del Corona virus, che sta rallentando non poco i flussi commerciali verso la Cina, le esportazioni di vino italiano continuano a crescere, e nei primi 11 mesi 2019 il fatturato del vino all’estero tocca i 5,92 miliardi di euro (+2,8%). Ancora meglio della media fa il Chianti che, come racconta a WineNews il presidente del Consorzio Giovanni Busi da ”Chianti Lovers”, l’anteprima dell’annata 2019 del Chianti Docg, di scena a Firenze, “ha legato la sua crescita al mercato interno, che vale il 30% del fatturato e che, nel 2019, è cresciuto del 6,3% in volume ed un 7,3% in valore. Numeri importanti, che ci confortano nel lavoro che stiamo portando avanti, perché significa che le aziende, da una parte, sono riuscite a produrre vini che incontrano le richieste del mercato - e quindi il livello qualitativo del Chianti è decisamente aumentato - e, dall’altra parte, che la comunicazione scelta per promuovere le aziende stesse e la denominazione riesce ad arrivare ad un pubblico sempre più ampio e giovane, che si avvicina al mondo del vino venendo catturato dal Chianti”.
Sono proprio i giovani wine lovers di casa, i più difficili da raggiungere e da fidelizzare, così, a guidare l’evoluzione di quella che possiamo definire, nel senso più alto del termine, la denominazione più “popolare” del Belpaese enoico, capace di conquistare i Millennials, attratti da vini “ready to drink”, ma non per questo banali, a prezzi accessibili anche per i più giovani. Alla base, però, c’è una precisa strategia di comunicazione, su cui il Chianti ha iniziato ad investire con “un progetto iniziato dieci anni fa - ricorda ancora il presidente Giovanni Busi - quando ci fermammo a chiederci quali fossero le problematiche del Chianti: da una parte qualità decisamente non idonee per il mercato attuale, dall’altro regole molto rigide ed un’immagine che aveva perso smalto. Siamo partiti dal logo, mettendo in secondo piano la denominazione e sfruttando la parola “Chianti”, che è diventato il nostro logo: la “C”, girandola, diventa uno smile, un messaggio rivolto ai giovani - continua Busi - per cercare di riuscire a parlare un linguaggio nuovo, che fosse consono al mondo del vino. È stato il lavoro più grosso che abbiamo fatto, quindi abbiamo spronato le aziende a rinnovare i propri vigneti, ed oggi il 75% del vigneto Chianti è rinnovato, e questo significa avere immediatamente una qualità diversa e migliore rispetto a quella dei vecchi vigneti, riducendo i costi di produzione ed aumentando le potenzialità produttive - conclude il presidente del Consorzio Chianti - potendo così proporsi sui mercati con maggiore facilità”.
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