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LA RIFLESSIONE

Il futuro dello Champagne, tra sostenibilità ed innovazione, secondo Moët & Chandon

A WineNews, Benoît Gouez, chef de cave della realtà leader delle bollicine francesi. Che guarda oltre la crisi Covid, partendo dai propri vigneti

Con il mondo in pandemia che ha avuto ben pochi motivi per festeggiare, negli ultimi mesi il vino delle celebrazioni per eccellenza, lo Champagne, ha sentito eccome il colpo della pandemia. Secondo le stime del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne e riportate dall’agenzia Reuters, le vendite di champagne sono crollate del 75% ad aprile e maggio 2020, dimezzate, nei primi 4 mesi 2020, dopo una partenza sprint soprattutto per la corsa all’approvvigionamento in Usa e Uk per la paura degli effetti di di dazi e Brexit. Tanto che le possibili perdite sono stimate in 1,7 milioni di euro da qui alla fine dell’anno per la Regione più celebre delle bollicine francesi, che, in vista della vendemmia, avrebbe deciso di ritardare l’ingresso sul mercato di parte della produzione 2020 addirittura fino al 2022. Ed allora, però, con la solidità di una storia di successo sui mercati antichissima, meglio guardare alla vigna, che va avanti noncurante del Covid, come racconta, a WineNews, Benoît Gouez, “chef de cave” di Moët & Chandon, realtà leader dello Champagne, il più grande dei Domaine, con oltre 1.000 ettari di vigneti, da cui ogni anno escono 24 milioni di bottiglie che da Epernay riempiono i calici in ogni angolo del mondo.
“Le viti in Champagne non hanno conosciuto la crisi da Covid-19 e hanno continuato a crescere e svilupparsi come al solito. Non si può confinare la natura. Negli ultimi 3 mesi, i nostri viticoltori - spiega Gouez - hanno continuato a prendersi cura delle viti, anche perchè è facile mantenere le distanze sociali nei vigneti, lavorando il terreno, potando e sostenendo il ciclo di vita primaverile delle piante. Nelle nostre cantine di Epernay, alcuni dipendenti hanno continuato le operazioni di assemblaggio e imbottigliamento per svuotare i serbatoi e prepararsi per la prossima vendemmia”.
Insomma, al netto di un’emergenza mondiale che tutti si augurano passi il prima possibile, in Champagne si continua a lavorare ed a pensare al futuro più a lungo termine. Con la grande sfida del miglior rapporto possibile tra produzione e natura, guardando al grande tema del cambiamento, di cui tra i filari della Champagne si ragiona da tempo, esplorando anche le potenzialità di vitigni antichi e non più utilizzati, ma anche di nuove varietà resistenti. Tanto che viene da chiedersi se è davvero pensabile uno Champagne del futuro fatto con uve diverse da Pinot Nero, Meunier e Chardonnay.
“È chiaro che il cambiamento climatico ha un impatto sulla qualità dei nostri Champagne. È sempre più facile raggiungere un alto livello di maturità dell’uva. Pertanto, tendiamo a vendemmiare più rapidamente - spiega lo chef de cave di Moët & Chandon - per preservare un po’ di freschezza delle uve. Quest’anno prevediamo un altro raccolto precoce da metà a fine agosto e sarà la quinta volta dal 2003. Per i vitigni, i tre cépage di Pinot Noir, Meunier e Chardonnay non sono sempre stati presenti. In passato c’erano altri vitigni come il Gamay, e oggi ce ne sono quattro, meno conosciuti, che sono stati autorizzati alla coltivazione dal Civc (Arbanne, Petit Meslier, Pinot Blanc e Pinot Gris). Forse queste antiche varietà potrebbero avere un futuro. Un’altra opzione è quella di valutare i cloni diversi di un vitigno. In Moët & Chandon abbiamo la possibilità di avere due collezioni di cloni piantati 30 anni fa, uno di Pinot Nero e uno di Chardonnay. Abbiamo iniziato a microvinificarli due anni fa. Ultima opzione, possiamo testare altre varietà esistenti, ma questo viene fatto a livello del Civc. Ma tutte queste opzioni richiederanno molto tempo”.
Un’altra grande tematica che in Champagne è presente da sempre, è quella della convivenza di una filiera articolata, fatta da tanti piccoli produttori di uva, da piccole maison che producono uva e imbottigliano il loro vino, grandi cooperative e grandi maison. Un modello che viene costantemente messo alla prova dai cambiamenti del mondo, di mercato e non solo.
“Moët & Chandon - sottolinea Benoît Gouez - possiede il più grande domaine di Champagne, composto da 1.180 ettari di vigneti, di cui il 50% costituiti dei Grands Crus più votati e 25% dei Premier Cru. Essere il principale proprietario terriero dello Champagne impone una grande responsabilità: quella della cura del suolo e del suo ecosistema naturale. La cura del suolo va ben oltre quella delle nostre terre, poiché lavoriamo a stretto contatto con una comunità di 2.000 viticoltori e partner locali a beneficio della biodiversità dell’intera regione, e per aggiungere ricchezza e diversità ai nostri Champagne. Integriamo il nostro raccolto con uve fornite da coltivatori locali da 288 dei 319 villaggi vitivinicoli della Champange. A testimonianza del nostro impegno nei confronti dei nostri partner - che ci supportano per 2/3 delle nostre necessità - il nostro obiettivo oggi è aiutare i viticoltori più piccoli ad ottenere le certificazioni di sostenibilità che abbiamo raggiunto dal 2014, sia per viticoltura sostenibile e alto valore ambientale. Dobbiamo lavorare insieme, per consentire all’eccezionale terroir di Champagne di essere preservato per tutti, per i secoli a venire”.
Moët & Chandon è uno dei nomi più importanti della Champagne, la sua immagine è da sempre associata al glamour e all’esclusività. Ma oggi, anche concetti come la sostenibilità, ambientale, ma anche sociale, sono sempre più importanti per ogni tipo di impresa, anche sul fronte della comunicazione, e vale anche per la maison.
“Glamour ed eleganza sono da sempre associati a Moët & Chandon: dal XVIII secolo, quando i nostri Champagne erano serviti nelle corti reali - e la nostra prima ambasciatrice è stata la favorita di re Luigi XV, la marchesa de Pompadour - fino alle stelle di Hollywood del XX secolo. Ma alla nostra Maison si lega pure la parola generosità, anche se non tutti lo sanno. È la generosità che ha animato le personalità di Moët & Chandon, che si sono impegnate a sostenere le comunità locali di Epernay, cercando di migliorare le loro condizioni. Ad esempio, nel 1868, la Maison ha sviluppato il primo programma di impegno sociale - assistenza medica gratuita per tutti i dipendenti e le loro famiglie - messo in atto 25 anni prima che tali disposizioni fossero emanate in Francia.
La qualità dei nostri Champagne - sottolinea Gouez - deve molto al prezioso terreno che nutre le sue viti. Ci impegniamo a preservare quell’ambiente naturale attraverso pratiche sostenibili da oltre 2 decenni. Moët & Chandon ha ottenuto la certificazione Iso 14001 per tutti i siti e le attività e nel 2014 tutti i nostri vigneti sono stati certificati sia per la viticoltura sostenibile che per l’alto valore ambientale. Nell’ultimo decennio abbiamo ridotto del 98% l’uso di erbicidi nei nostri vigneti. Quest’anno abbiamo annunciato la decisione di rendere la nostra viticoltura completamente priva di erbicidi entro il 2020. L’attributo più prezioso dello Champagne è la natura: è nostra responsabilità proteggere la natura e la biodiversità delle nostre terre, riducendo al contempo la nostra impronta ambientale”.
Alle realtà leader spetta anche il compito di tracciare la rotta per il futuro. E in quello di Moët & Chandon, c’è, come avviene da sempre, anche l’innovazione. “Dal 1743, la Maison ha unito tradizione e innovazione nel tentativo di produrre Champagne eccezionali. L’innovazione è stata sempre nella mente di Jean-Remy Moët, nipote del fondatore della Maison: è merito suo, ad esempio, l’ampliamento (nel XVII secolo) delle cantine scavate nei terreni calcarei di Epernay per la produzione e lo conservazione del vino. Ma siamo stati innovatori anche nel secolo scorso quando, negli anni Sessanta, siamo diventati i primi produttori di Champagne ad investire in tini di acciaio inossidabile per migliorare i processi di fermentazione del vino. Siamo sempre stati orientati al futuro: abbiamo inaugurato nel 2012 una nuova location per la vinificazione, ponendo tecniche all’avanguardia al centro della nostra produzione. Situata nel villaggio di Oiry vicino a Epernay, questa “cuverie” ultramoderna, di nome Mont-Aigu, è stata progettata nel massimo rispetto dell’ambiente e al passo con le moderne norme di efficienza energetica. È diventato il primo sito francese premiato per la sua “Alta qualità ambientale”.
Dal punto di vista enologico, dopo aver introdotto champagne rivoluzionari come Ice Impérial nel 2011 e MCIII nel 2015, ora siamo concentrati su nuove innovazioni rivoluzionarie, ma non possiamo dire molto altro ad oggi. Dovrete rimanere sintonizzati: in Champagne, si deve lasciare tempo al tempo per dare vita a delle meraviglie”.
Intanto, però, Moët & Chandon ha puntato anche sul rosè, e non perchè da qualche anno la versione rosa del vino è di tendenza: lo produce almeno dal 1794, quando era chiamato “rozé”, e gli archivi raccontano che Napoleone Bonaparte con la madre Letizia ne ordinò 100 bottiglie, come raccontano anche dei documenti di acquisto. Letizia che era nata in Corsica, isola francese da sempre vicina all’Italia, fisicamente, ovviamente, ma anche idealmente, anche per la sua dipendenza dalla Repubblica Marinara di Pisa tra il 1050 ed il 1295 prima. Un legame, quello tra Francia e Toscana, che WineNews ha voluto suggerire a Gouez in un abbinamento insolito, quello tra i crostini con i fegatini, tra i piatti simbolo del territorio, e i due alfieri “in rosa” più pregiati della maison Moet & Chandon, il Rosé Impérial 1996 ed il Grand Vintage Rosé 2012, vini i assoluto livello, assolutamente gastronomici, ed “emozionali”, come li ha definiti lo stesso Gouez, presentati, nei giorni scorsi, in una degustazione on line di altissimo livello (con bicchieri Riedel, glacette, manuale di degustazione, pubblicazione sullo Champagne, taccuino, tovaglietta, e, dulcis in fundo ... fragoline recapitate a domicilio da Ortobra Superfreschi srl di Alba). Un dettaglio, che conferma ancora una volta come la maison di Épernay sia icona del “savoir-fête”, del saper festeggiare e stare bene, anche in tempi di Covid, prima che del savoir-faire.

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