Prima le bollicine, poi i bianchi, quindi i rosati, a chiudere il climax vendemmiale dei primi colpi di forbice tra i filari del Belpaese. In Puglia, da Leone de Castris, i primi grappoli di Negroamaro sono già in cantina, sono quelli per le basi spumante, ma i prossimi, da lunedì, sono destinati a rinnovare una delle storie più affascinanti del vino italiano, quella del “Five Roses”, il rosato specchio della griffe salentina nel mondo, che veleggia verso gli ottant’anni, vino antesignano di una moda esplosa da poco, proprio sull’asse Italia-Stati Uniti.
Sì, perché, come ricorda, a WineNews, Piernicola Leone de Castris, ultima generazione alla guida dell’azienda, la nascita del “Five Roses”, “risale ad un momento assai complesso: siamo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, quando mio nonno (Don Piero Leone de Castris, ndr), aveva prodotto un rosato, al quale non aveva però dato un nome, per distinguersi dalle produzioni di rosso che da sempre caratterizzavano l’azienda. Fortuitamente, ci fu l’incontro con un importante ufficiale americano, Charles Poletti, che era di stanza a Brindisi”.
Tutto succede “alla la festa di compleanno di mio padre, a gennaio del 1944, mio nonno offrì questo rosato in caraffa. In quell’anno, l’Italia era divisa in due, con i tedeschi e la Repubblica di Salò al Nord e le truppe americane al Sud, ed era impossibile comprare le bottiglie di vetro prodotte nel Settentrione. Quel vino piacque talmente al generale americano che ne volle ordinare qualche decina di migliaia di bottiglie: il problema della mancanza delle bottiglie fu risolto riciclando le bottiglie di birra vuote delle truppe americane che erano a Brindisi, che furono sterilizzate e riempite di rosato. Il 1943 è così la prima vendemmia del primo rosato italiano, imbottigliata nelle bottiglie di birra, ma tappate con il sughero”.
Salta subito all’occhio, evidente, come il nome non abbia proprio nulla di pugliese, e neanche di italiano. “Si decise di chiamarlo “Five Roses” perché le uve provenivano dalla tenuta “Cinque Rose”, chiamata così perché per molte generazioni la famiglia aveva avuto sempre cinque figli, e così era nel caso della generazione di mio padre: il nome fu tradotto in inglese, perché il primo cliente, come detto, era americano. C’è anche del marketing, senza dubbio, ed è singolare che si sia imposto prima negli Stati Uniti che in Italia. Oggi è uno dei nostri vini più significativi e rappresentativi”.
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