Italia e Francia vengono raccontate quasi sempre in antitesi. In ogni campo, da quello di calcio alla cucina. Un’avversità storica, come succede spesso tra vicini. Ma che nasconde, o sottostima, quanto di buono c’è e c’è stato nel rapporto tra i due Paesi. Protagonisti di un interscambio culturale necessario e inevitabile, anche e soprattutto tra i fornelli. Ha “cominciato” l’Italia, nel XVI secolo, quando Caterina de’ Medici, destinata a diventare regina di Francia, portò da Firenze ricette mai viste prima, presto diventate grandi classici della gastronomia francese. La Francia, in cambio, ci ha “restituito” il più grande chef della storia moderna: Gualtiero Marchesi. Che al fianco dei più grandi chef francesi, ha appreso ed affinato quelle tecniche che, negli anni Ottanta del Novecento, gli hanno permesso di attualizzare e rilanciare una cucina ricca ma stantia. Oggi, anche grazie al lavoro di Marchesi, ma anche degli chef della generazione successiva, da Massimo Bottura a Niko Romito, solo per citare due tra i più influenti, la cucina italiana è tornata prepotentemente al centro della scena. E lo dimostra il fatto che tanti giovani cuochi, anche dalla Francia, scelgono le cucine del Belpaese per conoscere prodotti e piatti unici. Sono gli argomenti al centro di “Italia | Francia”, il primo quaderno della Fondazione Gualtiero Marchesi, presentato al primo martedì di Bonvesin del la Riva, appuntamento settimanale pensato per dare continuità alla lezione di Marchesi, incentrato sul rapporto d’influenza e scambio culturale fra la cucina italiana e la francese negli ultimi decenni, come hanno raccontato il professor Alberto Capatti, storico dell’alimentazione e Presidente della Fondazione Gualtiero Maerchesi, lo chef tristellato Pierre Gagnaire, il professor Silvano Serventi, anche lui storico dell’alimentazione, e da Aldo Colonnetti, filosofo e storico del designer. Secondo il professor Alberto Capatti, Marchesi, “nella sua geniale esperienza professionale, è stato capace di affrancare la cucina italiana (cucina “di casa” per eccellenza) da una pur qualitativa ma ormai stanca tradizione proprio grazie all’apporto tecnico appreso nei suoi anni vissuti in Francia, alla corte di alcuni chef di riferimento. Il risultato è stato quello di salvare l’essenza della cucina nostrana e di rilanciarla in una versione nuova e contemporanea che, dagli anni Ottanta è diventata il modello di riferimento per tutta una nuova generazioni di giovanissimi cuochi”.
Capatti ha continuato rilevando che, “negli ultimi anni, proprio grazie a ciò, si è assistito a una sorta d’inversione di tendenza, tanto che oggi, l’innata creatività italiana di molto nuovi cuochi, unita a una preparazione altamente professionale, sta divenendo riferimento per i francesi e non solo, in un rapporto di osmosi sempre più intenso”. Il celebre chef tristellato Pierre Gagnaire ha confermato, senza scendere nel rischio di un antagonismo fra le due scuole, questa diversa natura, anche umana, dei giovani chef italiani. La tesi di Capatti è stata poi ripresa e confermata da professor Silvano Serventi, che ha puntualizzato come Marchesi “abbia esaltato ed estremizzato la semplicità della cucina italiana portandola al livello di alta cucina”. La singolare personalità di Marchesi è stata poi sostanziata dal profossor Aldo Colonnetti, che si è soffermato sulla natura del grande cuoco, vocazionalmente attratto dalla musica e dalla pittura, entrambi elementi che, ecletticamente, sono stati da lui trasfusi nella concezione della sua cucina. Che ha formato tanti degli chef di oggi, tra cui Davide Oldani, Andrea Berton, Simone Contafio, tutti allievi di Marchesi, intervenuti alla presentazione di “Italia | Francia”.
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