Proprio come accaduto per l’arte, a distanza di qualche decennio, il vino sta vivendo una stagione di enorme salute sul canale delle aste. Lo raccontano i dati delle grandi case internazionali, come Christie’s, Sotheby’s e Acker Merrall, ma anche il 2020 delle vendite all’incanto - ovviamente online - delle italiane Finarte, Wannenes, Bolaffi e Pandolfini. Fatturati diversi, così come le etichette che finiscono sotto il martello: a Milano, Roma e Firenze, così come a Londra, New York e Hong Kong, sono le grandi griffe del vino francese a catalizzare le attenzioni dei collezionisti. A partire da Romanée-Conti, che è sempre più il Leonardo da vini delle vendite all’incanto enoiche, e se i miti di Bordeaux - Château Haut-Brion, Château Lafite-Rothschild, Château Latour, Château Mouton Rothschild e Château Margaux - spuntano ancora, facendo le ovvie e debite proporzioni, prezzi degni di Picasso, Modigliani, Jean Michel-Basquiat, Francis Bacon e Edvard Munch, dietro ci sono una pletora di etichette, tra cui il top del vino italiano, che si fa sempre più spazio nei cataloghi. A partire, ovviamente, da quelli delle case d’asta del Belpaese, che, nel 2020, dalle vendite all’incanto dedicate al vino hanno raccolto un po’ più di 5 milioni di euro.
Numeri che raccontano una realtà ormai ben al di là della nicchia. Ma anche lo stato di salute di un settore che, mentre il mondo cercava il modo di uscire dalla crisi pandemica, ha continuato ad attrarre investimenti e nuovi appassionati. Alla ricerca di vecchie annate e verticali, dall’ormai mitico Monfortino di Giacomo Conterno al Sassicaia, dall’Ornellaia al Masseto, dai Brunello di Biondi-Santi e Soldera al Tignanello e Solaia di Antinori, le grandi etichette piemontesi di Gaja e Giacosa, con cui arricchire le proprie cantine o, più semplicemente, i propri portafogli. Sì, perché le etichette più pregiate raramente finisco a tavola, più spesso rimangono nei caveau di chi approccia il vino come un bene su cui investire.
Una peculiarità di tutte le aste, ed è così anche in Italia, con una eccezionalità, non da poco, che rende il settore particolarmente interessante: l’interesse crescente, grazie ad un’offerta sempre più “verticale”, di tanti wine lover che, sotto il martello, sanno scovare annate introvabili e produttori di nicchia, a prezzi decisamente accessibili. Certo, non sono i lotti che rendono ricca un’asta, ma hanno il pregio di avvicinare chi ama il vino alle vendite all’incanto, rese decisamente più accessibili proprio dalla necessità di andare online. Come riflesso diretto, nei cataloghi di Finarte, Wannenes, Bolaffi e Pandolfini (che nel 2020 ha raccolto 2,27 milioni di euro) trovano spazio sempre più etichette. E sempre di più, nei prossimi anni, ce ne saranno. Non solo dai territori e dalle denominazioni più quotate - Brunello di Montalcino, Barolo, Barbaresco, Bolgheri, Super Tuscan e Valpolicella - ma anche, per quanto timidamente, dall’Etna e dall’Abruzzo, da dove Valentini e Emidio Pepe si affacciano anche sulle vendite internazionali. Un po’ come i giovani artisti emergenti, che spinti dalla critica e dal mercato lasciano le piccole gallerie e sbarcano nei musei più prestigiosi.
“Per tanta gente il lockdown non ha rappresentato una diminuzione del reddito. L’impressione è che ci sia un sacco di gente con molti soldi da investire, e poi c’è un altro aspetto: il mercato delle aste in Italia era, ed è ancora, sottodimensionato, e non ha ancora raggiunto una categoria che avrebbe molto da dare, quella dei consumatori, chi compra per bere non frequenta le aste, ed è da lì che passa il futuro”, racconta a WineNews Guido Groppi, direttore della sezione vini di Finarte. “Ci sono in catalogo tantissime bottiglie da decine di euro, che potrebbero interessare al wine lover alla ricerca di vecchie annate, senza spendere migliaia di euro. È un segmento dal grande potenziale di espansione”.
Anche se, almeno per ora, a fare i grandi numeri “sono sempre le stesse etichette: i Super Tuscan, i Brunelli, i Baroli e i Bolgheri più importanti, un paio di Amaroni. Guardando avanti, però, arriveranno nelle aste anche l’Etna e il Nord del Piemonte, oltre a qualche nome emergente della Valpolicella. Il problema è che per spuntare valori importanti in asta ci vogliono vini celebrati e produzioni di piccole dimensioni. Anche l’area dell’Aglianico, ossia Taurasi e Vulture, potrebbero avere delle chance un domani. La sensazione, in questo momento, è che i grandi facciano già numeri importanti, mentre le tante altre etichette in asta abbiano ancora bisogno della consacrazione internazionale per raggiungere rialzi importanti”
Con una peculiarità che, fa notare Guido Groppi, da punto di forza rischia di rivelarsi una debolezza. “La varietà del vino italiano, in questo senso, non aiuta. Abbiamo griffe buonissime in tutto il Paese, ma per diventare un Tignanello ce ne vuole. È difficile a volte da raccontare tutta questa varietà: Barolo e Brunello vendono da sé, ma usare l’asta come leva di marketing per gli altri è difficile. L’asta funziona veramente se si raggiungono rialzi clamorosi, che solo i vini più conosciuti riescono, solitamente, a raggiungere”. Un percorso che, ancora oggi, passa principalmente per la critica internazionale, ossia per “Wine Advocate, James Suckling e Wine Spectator, le valutazioni non italiane su vini italiani, da cui siamo ancora dipendenti. L’unica guida italiana che riesce ad avere una dimensione extra italiana è il Gambero Rosso, che comunque non influisce così tanto sulle valutazioni dei vini in asta”, conclude il direttore della Sezione Vini di Finarte.
Una casa d’aste che si è affacciata di recente al mondo del vino è Wannenes, che “nell’anno del Covid ha portato in scena una sola asta”, dice - sempre a WineNews - Alessio Leonardi, alla guida del Dipartimento Vino, insieme a Gelasio Gaetani Lovatelli. “Il 2020, così come il 2021, è stato un anno scoppiettante e interessante. Le aste online sono state definitivamente sdoganate, e hanno semplificato le cose e avvicinato molta più gente alle aste del vino. In Italia, a differenza di quanto fanno Christie’s e Sotheby’s in giro per il mondo, non possiamo pensare di fare milioni di euro di fatturato con poche centinaia di lotti, perlopiù francesi, ma dobbiamo ampliare l’offerta a bottiglie più accessibili, così da coinvolgere appassionati di vino e giovani. Non ci sono solo i top lot e le bottiglie rare, come i grandissimi formati: se si allarga la base di acquirenti di fascia bassa e media, arriveranno anche quelli di fascia media e alta”.
Alla fine dei giochi, comunque, al centro c’è la bottiglia. “L’asta la fa il prodotto, è lui che attira il compratore”, continua Alessio Leonardi. “Chiunque può mettere sotto al martello 100 magnum di Masseto, a patto di avere una certa credibilità. In tutto questo, il panorama delle aste è cambiato molto negli anni. I collezionisti sempre più spesso acquistano per rivendere, mentre i wine lover che puntano su bottiglie più accessibili danno vita a scambi che ricordano quelli che fanno i ragazzi con le figurine. Ecco perché l’asta va fatta su tutti i livelli, dai lotti più importanti di Romanée-Conti, Bordeaux e Sassicaia, a colte anche solo per il valore storico della bottiglia, alle etichette più accessibili. Per costruire un brand capace di stare sul mercato delle aste, però, ci vuol del tempo, lo stesso che servirà, ad esempio, all’Etna, che tra una decina di anni potrebbe crescere nei prezzi”.
Quello che sembra certo, è che non basta il territorio di origine per costruire la propria fortuna, ci vuole la forza della griffe. “L’asta, attualmente, la fanno i prezzi di mercato, non c’è niente da fare. Si può creare un mito, ma non dall’oggi e domani, come dimostrano ad esempio gli exploit di Valentini ed Emidio Pepe dall’Abruzzo, una Regione del tutto estranea a certe dinamiche”, sottolinea il responsabile del dipartimento vino di Wannenes. “Del resto, dalla Francia ci dividono decenni di storia, ma a fare le regole è sempre il mercato: quando si arriva ad un certo livello, però, va mantenuto e sostenuto con gli investimenti giusti”.
Chi, del mondo delle aste in Italia, e non solo del vino, ha scritto un pezzo importante, è Bolaffi, guidata dall’amministratore delegato Filippo Bolaffi, che, nel 2020, tra online ed asta fisica, ha raccolto quasi 1,7 milioni di euro, portando sotto al martello la bottiglia più cara in Italia, la doppia magnum di Romanée-Conti Grand Cru 1990, aggiudicata a 100.000 euro. “L’online ha dimostrato di essere efficace, il vino si presta molto all’acquisto online, come dimostra l’exploit sia dei siti di e-commerce che delle case d’aste. Il problema del lockdown è stato reperire le bottiglie, per questo il 2020 è stato un anno difficile per andare in giro per cantine, di privati e aziende. La seconda considerazione è che il vino all’asta, storicamente, è sempre stato appannaggio delle grandi bottiglie e dei grandi collezionisti, con cataloghi fatti di lotti molto selezionati. Ultimamente, invece, abbiamo visto che si riescono a vendere bene anche bottiglie con prezzi medi più bassi”, continua Filippo Bolaffi.
Si parla di bottiglie “buonissime da essere bevute, che una volta non sarebbero mai finite sotto al martello, ma che ancora non hanno raggiunto quotazioni al livello dei vini più prestigiosi. Si sono vendute bene nelle ultime aste, ad un pubblico diverso dal solito, fatto di appassionati e consumatori, che non possono raggiungere budget importanti, come quelli che ci vogliono, restando in Italia, per Monfortino e Sassicaia. In asta, comunque, finiscono solo i vini che hanno già una certa fama e popolarità - dice Filippo Bolaffi - o etichette di nicchia che, quando circolano, hanno prezzi degni delle grandi bottiglie. È un po’ come per un giovane artista che vuole essere lanciato tra il grande pubblico: difficilmente sarà la casa d’aste a costruire la sua fortuna, semmai a certificarla, ma prima ci vuole il lavoro del gallerista e la fama. Nel vino funziona allo stesso modo, non sono le aste a costruire la fama di un’etichetta”.
Il mercato, comunque, “ha preso consapevolezza che non ha senso il divario esistente, ad esempio, tra Borgogna e Langhe. Lo raccontano i prezzi spuntati dal Monfortino di Giacomo Conterno, ma anche quelli di Bruno Giacosa. Il mercato sta iniziando a capire che i vini buoni sono tanti, e molti di questi sono italiani. Interessante, in questo senso, è il lavoro che sta facendo Ceretto, che sta aumentando di molto la qualità di molte bottiglie, come certificano i giudizi della critica, che oggi spuntano prezzi interessanti, ed in prospettiva potrebbero anche raccogliere un certo successo sul mercato delle aste”, aggiunge l’amministratore delegato di Bolaffi. “Per capire il successo potenziale di un territorio, l’unica domanda da porsi è: qualcuno comprerebbe un lotto di questo territorio? La risposta, se si parla di Piemonte e Toscana è sì, se si parla di Etna, ancora no. Se per assurdo l’Etna dovesse spopolare, noi vedremmo le bottiglie in catalogo tra almeno cinque anni, il tempo che il mercato recepisca e consolidi il successo di un nuovo territorio”, conclude Filippo Bolaffi.
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