Al centro del Moio-pensiero c’è l’“uva perfetta”, quella con una composizione naturalmente equilibrata, condizione per esercitare quella che il neopresidente Oiv definisce una “enologia leggera”. Ovvero pratiche di cantina riconducibili ad una assistenza di processo, escludendo gli interventi correttivi. Questo punto di partenza evidenzia il cardine su cui si basa una viticoltura di qualità: la vocazionalità dell’area di coltivazione. È questo il filo rosso che ha guidato la lectio magistralis di Luigi Moio, uno dei più affermati scienziati del vino (e produttore in Campania con la cantina Quintodecimo) nella sua prima uscita da presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (Oiv), andata in scena al Cirve (Centro Intedipartimentale per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia) dell’Università di Padova, all’evento organizzato a Conegliano da Eugenio Pomarici, già collega alla Federico II di Napoli e all’Oiv e “responsabile” dell’ingresso di Moio nell’organismo intergovernativo.
Una lectio in cui il professor Luigi Moio ha tracciato la direzione scientifica che intende imprimere nel suo mandato, indicando le linee guida future della ricerca viticolo-enologica orientate alla sostenibilità, per far fronte alle attuali emergenze, climatica e ambientale, e a permettere alla vite di rimanere negli areali dei Paesi che hanno fatto la storia del vino.“L’uva è il frutto perfetto per fare il vino, unica bevanda alcolica monoingrediente - ha esordito Moio - a condizione che le componenti siano in perfetto equilibrio, cosa che si verifica se la pianta è in sintonia con il contesto ambientale, e ciò permette all’enologo di limitarsi a sovrintendere ai processi fondamentali della trasformazione in vino. Nascono solo così i vini di grande longevità, non raggiungibile se si interviene enologicamente per aggiustare questo o quel parametro”.
Una condizione sempre più rara a fronte del riscaldamento globale che mette a rischio, in particolare nei Paesi tradizionalmente produttori, l’espressione del terroir. Con l’innalzamento delle temperature, infatti, le zone climatiche si sovrappongono, le differenze tra i vini divengono sempre più labili con conseguente perdita di identità e di fascino. Alcune varietà idonee al contesto pedoclimatico preesistente stanno già soffrendo: su Merlot, Cabernet, Chardonnay, tra le più diffuse al mondo, si sono verificati crolli di acidità e innalzamenti del pH. Questo rende difficile gestire la vinificazione senza correzioni.
“Da un lato - ha sottolineato Moio - dobbiamo rallentare fortemente il cambiamento climatico, di cui siamo largamente responsabili, perseguendo gli obiettivi posti a livello internazionale circa la transizione ecologica, e dall’altro rilanciare e finanziare la ricerca per produrre nuove varietà, anche resistenti alla malattie per ridurre interventi di difesa e impatto ambientale. I tempi sono stretti e un ritardo sarebbe imperdonabile. È necessario intervenire sulla vite, così come in passato, con il miglioramento genetico per adattare le piante alle nuove condizioni. Disponiamo di una grande variabilità genetica e di nuovi strumenti, come il genoma editing, per “fissare” i caratteri interessanti e accelerare in questa direzione”.
Una indicazione in linea con i compiti dell’Oiv che, come ha tra l’altro ricordato Mario Fregoni, presidente Oiv per il triennio 1985-87, “ha natura di istituzione scientifica”. In questo scenario, per l’Italia, “ciò che in passato appariva come una debolezza si può trasformare in un punto di forza” ha spiegato Moio. Il riferimento è alla grande ricchezza di vitigni storici dell’Italia, da spingere ulteriormente, e alla diversità di situazioni pedoclimatiche e orografiche nell’intera Penisola. La maggior parte di essi, peraltro, è ciclo a lungo e soffre meno essendo in sintonia con i vari contesti pedoclimatici. “Per questo - ha continuato - l’Italia del vino diventa un modello planetario di diversità e biodiversità senza concorrenti. Basta confrontare la piattaforma ampelografica italiana con quella francese basata su 20-30 vitigni che, invece, noi contiamo per regione. Abbiamo vitigni maggiori e minori, ancora da studiare, fonte di geni potenzialmente chiave per risolvere problemi esistenti nei primi”. Una diversità viticola quella italiana che si traduce, e deve continuare a tradursi, in differenti identità dei vini di territorio. Una sfida che si vince anche riducendo le correzioni enologiche - quali quella dell’acidità e del grado alcolico - che rischiano di divenire sempre più necessarie a fronte del cambiamento climatico. Ecco che il miglioramento genetico dei microrganismi protagonisti delle fermentazioni del vino può avere un impatto molto positivo nella direzione di una maggior sostenibilità ambientale ed economica.
“In questo ambito - ha affermato Moio - la ricerca va indirizzata verso lieviti che fermentino bene anche a 7-8 °C per condurre fermentazioni corrette in luoghi freddi senza dover riscaldare le cantine o, viceversa, non doverle raffrescare disponendo di microrganismi che fermentano correttamente anche a 30 °C. Così per i batteri che per completare la malolattica nel caso dei vini rossi hanno necessità di 22-25 °C. Come pure la riduzione di SO2 passa per la disponibilità di lieviti che non producano molecole che si legano all’anidride solforosa, riducendo quella libera disponibile come antiossidante”.
Parlando di etichettatura, invece, sul tavolo ci sono due temi: quello degli ingredienti e quello delle calorie, su cui diversi Paesi membri dell’Oiv spingono.“Quando sento parlare di ingredienti non reagisco bene, perché il vino dovrebbe essere una bevanda “mono ingrediente” - ha specificato Moio. È stato fatto un grande lavoro in seno all’Oiv per differenziare i coaudiuvanti (ndr: questi non rimangono nel prodotto finito) dagli additivi usati in caso di correzioni dell’acidità o su altre variabili, che peraltro è possibile eliminare con processi chimici. È chiaro che questi non sono ingredienti. Peraltro esistono sistemi fisici per evitarne l’uso (filtrazioni, stabilizzazioni a freddo, sistemi di scambi ionici). L’unico additivo che rimane comunque nel vino è la solforosa, ma è segnalata in etichetta da una quarantina di anni (ndr: contiene solfiti). Per essere trasparenti verso il consumatore ritengo si potrebbe riportare in etichetta un codice che indirizzi al loro elenco sul sito aziendale. L’esplicitazione delle calorie in etichetta, poi, sarebbe fuorviante perché non ha alcun senso scegliere un vino in base all’apporto calorico dell’alcol che è pressoché lo stesso in tutti i vini del mondo e varia da 83 a 99 chilocalorie per 125 millilitri nel caso di un vino a 12 gradi senza zuccheri residui. I criteri per la scelta del vino sono altri, legati a un territorio, a una vigna, agli uomini che lo hanno prodotto, alla storia, alla cultura, alla bellezza del paesaggio. Quindi se si dovesse andare in tale direzione credo che il vino non ne soffrirebbe. L’informazione corretta dovrebbe casomai riguardare l’alcol e i problemi che la sua assunzione comporta”.
La lectio di Moio ha solennizzato la nuova presidenza italiana all’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (Oiv), a 40 anni dalla precedente, a sancire l’eccellenza delle competenze della delegazione italiana negli anni, di cui Moio, ordinario di enologia nell’Ateneo partenopeo, ha fatto parte per molti anni con numerosi colleghi ricoprendo ruoli apicali (presidente del gruppo di esperti di tecnologia, della Commissione enologia, vicepresidente dell’Organizzazione e presidente del Comitato Tecnico Scientifico). L’elezione di Moio alla presidenza - senza dubbio per indiscussi meriti - ha richiesto un notevole impegno istituzionale e diplomatico, come ricostruito da Michele Alessi del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e da Nico Frandi della Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Organizzazioni internazionali a Parigi. La presidenza dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (Oiv) - per quanto il ruolo pretenda una posizione super partes - sarà importante per l’Italia. Federico Castellucci, direttore generale Oiv dal 2004 al 2013, ha rimarcato a questo proposito il peso politico dell’Organizzazione - le cui risoluzioni prese all’unanimità diventano automaticamente leggi nei Paesi aderenti - e l’importanza del lavoro della delegazione italiana negli anni, sottolineando in particolare il lavoro della Commissione economica sotto la presidenza di Eugenio Pomarici, la prima a portare all’attenzione del Comitato Tecnico Scientifico il tema della sostenibilità.
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