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IL QUADRO

Più attenti a salute, origine, sostenibilità e spreco: gli italiani ed il cibo in pandemia

Il rapporto Coldiretti/Censis. 1 su 3 ha ancora paura di andare al ristorante, il 25% teme che il cibo finisca. Mentre i rincari pesano nel carrello

La pandemia che ha cambiato tante cose, ha cambiato anche il rapporto degli italiani con il cibo. Oltre l’82% mangia solo quello che conosce, ricercando a tavola soprattutto sicurezza e salute. 9 su 10 sono pronti a pagare di più per cibi “green” o a chilometri zero, ed il 79% ha cercato di instaurare un rapporto diretto con contadini e agricoltori per garantirsi l’accesso a cibi più sani e genuini. E cresce anche l’attenzione ad evitare gli sprechi, tema sensibile per il 94% degli italiani, con 6 su 10 che tornano anche a portarsi la gavetta in ufficio. Ma gli effetti del Covid e gli allarmi che ancora non cessano, hanno generato anche tante paure: un italiano su tre (ed oltre il 50% tra gli over 65) ha ancora paura di andare al ristorante per timore dei contagi, il 25% teme che possa bloccarsi la filiera di approvvigionamento al cibo (che in realtà non si è mai fermata neanche nelle fasi più dure della pandemia, ndr). Non di meno, tra con le fiammate inflazionistiche nel carrello, dovute al rincaro di materie prime, energia e trasporti, sono almeno 4,8 milioni gli italiani a rischio di povertà alimentare nei prossimi mesi, persone che hanno tenuto in pandemia bilanciando i tagli tra entrate e spese e che oggi hanno un budget dagli equilibri precari e risicati. Nonostante questo, il cibo made in Italy, con un valore di 575 miliardi nel 2021 (+7% sul 2020) è diventato la prima ricchezza del Paese, e vale quasi un quarto del Pil nazionale. Con il comparto agroalimentare sempre più vicino al record di 52 miliardi di euro di export, con un valore dei cibi italiani esportati che in 25 anni è praticamente triplicato, passando da 0,65 euro al chilo a 1,88 euro. Anche grazie ad una qualità e ad una ricchezza varietale immensa, raccontata da 5.333 prodotti tipici storicizzati censiti. È il quadro che emerge dal Rapporto Coldiretti/Censis n. 1 sulle abitudini alimentari degli italiani, nel post Covid, presentato nel Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, organizzato dalla Coldiretti, con la collaborazione dello studio “The European House - Ambrosetti”, a Roma.
Come detto, il primo dato che emerge dalla ricerca è che la pandemia ha spinto La pandemia ha spinto oltre otto italiani su dieci (82%) a mangiare solo quel che conosce, cercando informazioni sulle caratteristiche degli alimenti da portare in tavola e verificando attentamente gli ingredienti in etichetta. “I cittadini sono sempre a caccia delle informazioni che rendono possibile per un determinato prodotto alimentare avere trasparenza su provenienze e connotati dei processi produttivi e distributivi. Abitudini ormai entrate nel quotidiano della grande maggioranza degli italiani, con valori che restano trasversali ad età, condizioni di reddito, titolo di studio. Non a caso il 62% dei consumatori si dichiara disposto a pagare fino al 10% in più del prezzo pur di garantirsi la tracciabilità di quanto porta in tavola, mentre il 21% pagherebbe anche oltre il 10% in più”, secondo Coldiretti/Censis.
La trasparenza, assicurata soprattutto dall’origine in etichetta, sottolinea ancora il rapporto, è cercata per avere la certezza di portare in tavola cibo made in Italy. La dieta italiana è, infatti, sinonimo di cibo salutare: una verità elementare confermatissima anche nel dopo pandemia. Infatti, l’81% degli italiani è molto attento alle conseguenze che cibi e bevande hanno sulla sua salute e l’85% cerca di mangiare secondo la buona dieta tricolore (pasta, olio d’oliva ecc.).
Al netto dei cambiamenti avvenuti durante i periodi più difficili della pandemia, secondo il rapporto Coldiretti/Censis le abitudini alimentari degli italiani, nel breve come nel medio lungo periodo, si svolgeranno dunque nei binari del modello alimentare tipicamente italiano: infatti, i trend prevalenti dicono senza ambiguità che i suoi pilastri costitutivi sono usciti rinforzati dalla tremenda esperienza pandemica.
“L’agroalimentare made in Italy anche nella pandemia ha dimostrato la capacità di guardare al futuro” afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “dalla transizione ecologica a quella digitale, siamo consapevoli del ruolo e della responsabilità che ogni agricoltore ha davanti a sé per soddisfare la domanda di trasparenza, qualità e legame con territorio che viene dalla società italiana”.
Ma cresce anche l’attenzione al tema della sostenibilità, tanto che l’88% degli italiani è disposto a pagare di più per il cibo sostenibile che non inquina, prodotto con logica da economia circolare, l’83% lo farebbe per avere prodotti tracciabili e il 73% per acquistare una specialità proveniente da un determinato territorio. E anche per questo, dai mercati contadini fino al web, la pandemia ha spinto quasi 8 italiani su 10 (79%) a cercare di instaurare un rapporto stabile con un agricoltore per garantirsi cibo sicuro, sano e di qualità. Il risultato è che il valore della vendita diretta dagli agricoltori è salito a 6,5 miliardi di euro e coinvolge ormai oltre un’azienda agricola su cinque. Un fenomeno reso possibile dal fatto che l’Italia - spiega Coldiretti - è il Paese della Ue con la più estesa rete organizzata di mercati contadini con 12.000 agricoltori coinvolti in 1.200 farmers market di “Campagna Amica”. Un’esperienza che ha fatto da base alla nascita della prima Coalizione Mondiale dei Farmers Market, promossa proprio per rispondere alla richiesta di cibi sani e locali da parte dei consumatori e alla necessità di garantire gli approvvigionamenti alimentari in tutto il mondo (con il supporto della Fao). A livello globale già un Paese su cinque (20%) può contare su sistemi di vendita diretta che possono trovare nella nuova “World Farmers Market Coalition” un punto di riferimento per crescere. Tra i promotori della Coalizione Mondiale dei Farmers Markets, insieme all’Italia ci sono Usa, Norvegia, Australia, Danimarca, Giappone, Canada, Cile, Ghana, Sud Africa, Georgia, Inghilterra e altri hanno già dichiarato il loro interesse ad aderire.
“Nonostante campagne di marketing aggressive che cercano di far passare come green alimenti ipertecnologici - spiegano Coldiretti/Censis - in tempo di pandemia gli italiani continuano ad identificare il cibo sostenibile con quello tipicamente italiano. Non a caso, nella scelta degli acquisti la social reputation delle aziende produttrici è importante per il 90% dei consumatori, e per il 50% di questi decisiva, con la componente essenziale della buona reputazione che viene identificata nella sua territorialità. E il legame con un determinato territorio si lega inestricabilmente alla tutela della salute, ovvero all’idea che certi cibi, per modalità con cui sono prodotti e distribuiti oltre che per caratteristiche organolettiche, sono più funzionali alla buona salute. La tipicità territoriale non è un sovranismo a più bassa intensità, ma è la modalità molto pragmatica attraverso cui gli italiani riconoscono il cibo buono, sicuro, salutare, rispettoso di codici etici e di tutela ambientale”.
I consumatori italiani possono contare sull’agricoltura nazionale che è diventata la più green d’Europa con la leadership Ue nel biologico con 80.000 operatori, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (316), 526 vini Dop/Igp e 5.333 prodotti alimentari tradizionali e la più ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori con “Campagna Amica”. L’agricoltura italiana è leader per la sostenibilità con appena il 7,2% di tutte le emissioni di gas serra prodotte a livello nazionale, contro il 44,7% dell’industria e il 24,5% dei trasporti nel 2020, secondo l’analisi Coldiretti sul nuovo Rapporto Greenitaly. Un risultato che vede l’agricoltura italiana leader anche a livello europeo con emissioni pari a 30 milioni di tonnellate di CO2, la metà della Francia (76 milioni di tonnellate) e largamente sotto i 66 milioni di tonnellate della Germania, i 41 milioni del Regno Unito e i 39 milioni della Spagna. A spingere la svolta green spinta - conclude la Coldiretti - è stata la possibilità di diversificare le attività a livello aziendale, valorizzando i residui e i sottoprodotti di origine agricola, oltre a far fronte a costi crescenti per raggiungere l’autosufficienza energetica.
Di pari passo, però, la pandemia ha reso gli italiani più sensibili agli sprechi, con ben il 94% che è diventato attento a evitare di buttare nella spazzatura gli alimenti che acquista. “L’attenzione a non gettare il cibo sembra rientrare tra le abitudini emergenziali destinate a rimanere - sottolineano Coldiretti/Censis - a partire dall’usanza di portare la gavetta in ufficio, magari utilizzando gli avanzi della sera prima. Il 57% degli italiani continua a portarsi il pranzo da casa per consumarlo sul posto di lavoro a distanza di sicurezza dai colleghi”.
Al contrario, paiono rientrare alcune consuetudini alimentari che i lunghi periodi di lockdown e le misure di restrizione avevano spinto, come la preparazione fai da te dei piatti. Lo testimonia il crollo degli acquisti di due prodotti simbolo delle chiusure in casa come la farina e le uova, gli ingredienti base utilizzati per le preparazioni in casa, che nei primi sei mesi del 2021 calano rispettivamente del 26% e del 13%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Ismea. Arretrano anche i prodotti confezionati che in piena pandemia avevano fatto segnare un incremento dell’8%. Al contrario, decolla il fresco, ad esempio l’ittico (+27% nel primo semestre 2021), a testimonianza quindi di un primo ritorno alle vecchie abitudini. Ma crescono anche i “prodotti ricompensa”, soprattutto nel comparto delle bevande, dove la spesa è ulteriormente cresciuta (rispetto al 2020) del 7,7%.
Ma l’impatto del Covid si è fatto sentire anche in negativo, seminando incertezza e paure. Nonostante la voglia di tornare nei luoghi in cui ci si diverte e si sta insieme a tavola, infatti, quasi un italiano su 3 (32%) ha ancora paura di mangiare al ristorante con la risalita dei contagi e il rischio che molte regioni finiscano in zona gialla. Il riaggravarsi della pandemia tiene ancora lontana una discreta fetta di cittadini da pranzi e cene fuori che sono diventati il simbolo del ripristino della socialità cibocentrica dopo le restrizioni legate alla pandemia, pur con una netta diversificazione tra le varie fasce dì età. Se tra i giovani tra i 18 e i 34 anni la percentuale di “timorosi” scende al 18%, tra gli over 65 sale addirittura al 50%, stando all’analisi Coldiretti/Censis. Resta la diffidenza anche a prendere parte ad altre iniziative con al centro il cibo, a partire dalle sagre dove stenta a tornare il 38% degli italiani, secondo Coldiretti/Censis, mentre le gite enogastronomiche sui territori non convincono ancora il 45% dei cittadini e ancor meno se la sentono di partecipare a degustazioni (51%).
“Nonostante ciò, l’avanzare della campagna di vaccinazione sembra per ora smentire il rischio di una società italiana destinata anche nelle scelte a tavola a ripiegarsi su se stessa - aggiungono Coldiretti/Censis - attaccata alle piattaforme di food delivery come esito della scoperta di comodità e convenienza dell’economia della doppia D, digitale e domiciliare. Al netto dei timori per la risalita dei contagi, la calamita del fuori casa resta, infatti, per gli italiani più potente di ogni nuova socialità da entertaiment nelle abitazioni. Nonostante la crescita degli ultimi anni le piattaforme food delivery non sono dunque l’epicentro di un modello alimentare alternativo a quello classico, ma semplicemente un canale in più, utilizzabile a casa (diventata per molti luogo di lavoro e di studio), sul posto di lavoro o anche nei luoghi pubblici”.
E nonostante la filiera della produzione della distribuzione di alimenti non si sia mai fermata, neanche nelle fasi più acute con i lock-down, quasi un italiano su quattro (24%) ha paura che con un riaggravarsi dell’emergenza pandemica possa finire il cibo nei punti vendita.
“Se grazie agli agricoltori italiani che hanno continuato a lavorare anche in piena emergenza non si è assistito alle scene di accaparramento di massa viste negli Stati Uniti o nel Regno Unito - ricordano Coldiretti/Censis - la paura della carenza di generi alimentari di un quarto degli italiani indica che la filiera del cibo è strategica e come tale va trattata. I cittadini vogliono esser certi di non restare mai senza i prodotti principali. Per questo chiedono sia potenziata e tutelata l’agricoltura nostrana nella quale vedono una garanzia per la fornitura regolare degli scaffali ma anche per la propria sicurezza”.
Con la pandemia da Covid - continua la Coldiretti - si è aperto, infatti, uno scenario di riduzione degli scambi commerciali, accaparramenti, speculazioni e incertezza per gli effetti dei cambiamenti climatici, con le quotazioni delle materie prime alimentari che hanno raggiunto a livello mondiale il massimo da oltre dieci anni, trainati dai forti aumenti per oli vegetali, zucchero e cereali, mentre si sono impennati i costi. Un problema grave per un Paese come l’Italia che deve ancora colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti dalla carne al latte, dai cereali fino alle colture proteiche necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti. Nel Belpaese è infatti necessario recuperare il deficit del 64% del frumento tenero e del 40% per il frumento duro destinato alla produzione di pasta, mentre copre appena la metà (53%) delle fabbisogno di mais, fondamentale per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop. Un trend negativo che riguarda anche la soia nazionale che soddisfa meno di 1/3(31%) dei consumi domestici, secondo dati Ismea. In Italia - precisa Coldiretti - si munge nelle stalle nazionali il 75% del latte consumato e si produce il 55% della carne necessari ai consumi nazionali con l’eccezione positiva per la carne di pollo e per le uova per le quali l’Italia ha raggiunto l’autosufficienza e non ha bisogno delle importazioni dall’estero.
“L’Unione Europea e l’Italia devono puntare all’autosufficienza alimentare per stabilizzare le quotazioni e garantirsi adeguati approvvigionamenti di fronte alla situazione di instabilità che caratterizza i mercati dopo la pandemia” ha dichiarato il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “il giusto prezzo e il contrasto alle pratiche sleali e agli abusi di potere lungo la filiera sono questioni di democrazia, giustizia e libertà. Se il prezzo del cibo diventa un campo di speculazione a perdere saranno sempre gli agricoltori e i consumatori”.
Intanto, però, al di là delle paure, si sentono effetti concreti e nefasti. I rincari delle materie prime, dell’energia, dei costi di produzione e di trasporto, infatti, stanno causando fiammate inflazionistiche nel carrello, al punto che sono almeno 4,8 milioni gli italiani a rischio di povertà alimentare nei prossimi mesi, persone che hanno tenuto in pandemia bilanciando i tagli tra entrate e spese e che oggi hanno un budget dagli equilibri precari e risicati. “In una situazione resa difficile dalla pandemia basta un rialzo dei prezzi beni alimentari a rendere a una larga fascia della popolazione molto difficile garantire i pasti sempre e comunque. A questi - continuano Coldiretti/Censis - si aggiunge peraltro un 17,4% di italiani già consapevole che dovrà restare ancorato alle sole spese di base, tra casa e alimentazione, per la paura di non farcela”.
Un esito nuovo imprevisto della pandemia, con la società italiana che, dopo aver tenuto grazie agli effetti dell’intreccio tra sussidi statuali e solidarietà da parte delle reti famiglia e di comunità, a partire dal mondo rurale, si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con l’effetto valanga determinato sul carrello dall’impennata dei costi energetici. Un balzo che spinge l’inflazione trasferendosi sui costi di produzione e sui bilanci delle imprese, dai carburanti ai fertilizzanti, dalle macchine agli imballaggi fino ai mangimi per alimentare il bestiame. Ma i rincari dell’energia si abbattono pure sui costi di produzione come quello per gli imballaggi, dalla plastica per i vasetti dei fiori all’acciaio per i barattoli, dal vetro per i vasetti fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi. “Dinanzi a una situazione inedita serve responsabilità della intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore per salvare aziende agricole e stalle” ha sottolineato il presidente Coldiretti Ettore Prandini.
Non di meno, la pandemia ha dimostrato la forza della filiera. Tanto che nel 2021 il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia, per un valore di 575 miliardi di euro con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente, nonostante le difficoltà. Con made in Italy a tavola che vale oggi quasi un quarto del Pil nazionale, e dal campo alla tavola vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740.000 aziende agricole, 70.000 industrie alimentari, oltre 330.000 realtà della ristorazione e 230.000 punti vendita al dettaglio. Una rete diffusa lungo tutto il territorio che - spiega la Coldiretti - viene quotidianamente rifornita dalle campagne italiane dove stalle, serre e aziende hanno continuato a produrre nonostante le difficoltà legate al Covid, garantendo le forniture di prodotti alimentari sulle tavole degli italiani e di tutto il mondo. Non a caso l’alimentare made in Italy fa registrare il record storico nelle esportazioni raggiungendo quota 52 miliardi, mai registrata nella storia dell’Italia, se il trend di aumento del 12% sarà mantenuto, secondo proiezioni di Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nei primi nove mesi del 2021.

Focus - Coldiretti: “censimento da record con 5.333 specialità a tavola”
Sono ben 5.333 le specialità alimentari tradizionali presenti sul territorio nazionale nel 2021 in Italia salvati dalla pandemia grazie agli agricoltori per sostenere la rinascita del Paese. E’ quanto emerge dal nuovo censimento delle specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni, presentato da Coldiretti, al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, a Roma. Ai raggi X tutti i diversi tipi di pane, pasta, formaggi, salumi, conserve, frutta e verdura, dolci e liquori tradizionali che compongono il patrimonio enogastronomico nazionale, classificati per regione e tipologia, con gli esempi più curiosi, più rari, più antichi, più ricchi di proprietà salutistiche nella più ampia esposizione della variegata offerta territoriale mai realizzata prima. Grazie all’opera di intere generazioni di agricoltori impegnati a difendere nel tempo la biodiversità sul territorio e le tradizioni alimentari, il numero delle tipicità regionali che l’Italia può offrire è passato - sottolinea la Coldiretti - dalle iniziali 2.188 del primo censimento nel 2000 alle 5.333 attuali con un aumento del 167% dei prodotti salvati dal rischio di estinzione, accelerato dall’emergenza sanitaria. La Campania si piazza in testa alla classifica delle regioni con più specialità tipiche, ben 569, davanti a Toscana (463) e Lazio (438). A seguire si posizionano l’Emilia-Romagna (398) e il Veneto (384), davanti al Piemonte con 342 specialità e alla Puglia che può contare su 311 prodotti. A ruota tutte le altre Regioni: la Liguria con 300 prodotti tipici censiti, la Calabria (269), la Lombardia (262), la Sicilia (264), la Sardegna (217), il Trentino Alto Adige (207), il Friuli-Venezia Giulia (179), la Basilicata con 163, il Molise (159), le Marche (154), l’Abruzzo (149), l’Umbria con 69 e la Val d’Aosta con 36.
Dall’Abruzzo arriva il Il Caciofiore aquilano un formaggio a pasta molle, tra i pochissimi a utilizzare un caglio vegetale, ottenuto dall’infusione dei fiori di cardo selvatico, e arrotolato in fogli di selce. Nasce invece dalle campagne della Basilicata il “peperone crusco” fatto con un peperone tipico del territorio che viene sottoposto a una particolare preparazione che lo rende irresistibilmente crusco, ovvero croccante. In Calabria, avvicinandosi il Natale, si prepara la pitta ‘mpigliata (o pitta ‘nchiusa) che si presenta come roselline in pasta sfoglia al vino bianco. Dalla Campania vengono i Fagioli di cera, chiamati così proprio per l’aspetto lucido che presenta una volta maturo, prodotto di una coltivazione antica fatta completamente a mano. Viene pescata direttamente nella Valle del Delta del Po durante la stagione autunnale l’angullla marinata di Comacchio, frutto di una ricetta tradizionale. E’, invece, un vero e proprio simbolo antispreco il Formadi frant perché realizzato in Friuli Venezia Giulia con lo scarto di altre varietà di formaggi mentre tra le specialità del Lazio si può trovare il tarlo dell’aglio rosso di Proceno, conservato sott’olio e ideale come sfiziosità per gli antipasti. Dal latte di una particolare razra di pecora arriva la Toma di pecora Brigasca frutto di una lavorazione molto antica che in Liguria viene tramandata da diverse generazioni di padre in figlio. Tipico della Lombardia è il salame d’oca - continua la Coldiretti - è un salume cotto a base di carne d’oca e maiale, mentre nelle Marche è caratteristica la lonza di fico, fatta da un impasto di frutta secca e avvolta nelle foglie di fico per dargli la forma di “lonzetta”. Un vero e proprio capolavoro è la Treccia di Santa Croce di Magliano, un formaggio che in Molise viene letteralmente intessuto fino a sembrare una sciarpa o, appunto, una treccia di capelli. Ha la forma di un quadrato, al contrario, il peperone di Carmagnola, tipicità del Piemonte che viene usata anche nella preparazione della Bagnacauda. Nell’olio extravergine d’oliva vengono “infusi” i lampascioni, caratteristici della Puglia, mentre in Sardegna spicca la Panada di Cugliera, un raviolo di pasta violada (semola rimacinata), ripiena di carne di maiale e vitella, lardo fresco, carciofi, fave, piselli, olive snocciolate, pomodoro secco, aglio, prezzemolo, zafferano, noce moscata, e vino bianco. Abbina giusto e colore il cavolfiore violetto “natalino” è una particolare varietà di cavolfiore della Sicilia caratterizzato da un’infiorescenza di colore lilla intenso. Una forma particolare contraddistingue il Pomodoro Borsa di Montone, quasi estinto e tornato sulle tavole grazie all’impegno degli agricoltori della Toscana. Ha radici antiche anche il Sedano rapa della Val di Gresta, specialità del Trentino Alto Adige, dal sapore delicato e dalle proprietà ipocaloriche e depurative. Tradizionali anche gli strangozzi, tipica pasta umbra protagonista di molte ricette della cucina dell’Umbria, mentre giunge dalla Valle D’Aosta il particolare salume chiamato Boudin e prodotto con patate bollite, pelate a mano e lasciate raffreddare, alle quali vengono aggiunti cubetti di lardo, barbabietole rosse (ottimo conservante naturale), spezie, aromi naturali, vino e sangue bovino o suino. Vino protagonista anche nel Formaggio imbriago ideato dai contadini veneti che, durante la prima guerra mondiale, per sottrarlo alle ruberie dei soldati austro-ungarici, presero l’abitudine di nascondere il formaggio sotto le vinacce, rendendolo più saporito e caratteristico. Per quanto riguarda le varie categorie si tratta - spiega la Coldiretti - di 1.594 diversi tipi di pane, pasta e biscotti, seguiti da 1.520 verdure fresche e lavorate, 813 salami, prosciutti, carni fresche e insaccati di diverso genere, 516 formaggi, 302 piatti composti o prodotti della gastronomia, 171 prodotti di origine animale (miele, lattiero-caseari escluso il burro, ecc.), 165 bevande tra analcoliche, birra, liquori e distillati, 166 preparazioni di pesci, molluschi, crostacei, 49 varietà di olio d’oliva e burro e 37 condimenti. Un’offerta che è stato possibile far tornare sulle tavole degli italiani - rileva Coldiretti - grazie anche alla rete di vendita diretta dei mercati, delle fattorie e degli agriturismi di Campagna Amica.
“Si tratta di un bene comune per l’intera collettività e di un patrimonio anche culturale che il nostro Paese può oggi offrire con orgoglio ai turisti italiani e stranieri” ha affermato il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel ricordare che “il primato nei prodotti tradizionali si aggiunge a quello dei prodotti a denominazione di origine (Dop/Igp) riconosciuti dall’Unione europea, che hanno raggiunto quota 316”.

Focus - Coldiretti/Censis: “il valore cibo made in italy triplicato in 25 anni”
Nello spazio di una generazione (25 anni) il valore medio delle esportazioni agroalimentari Made in Italy è praticamente triplicato, passando da 0,65 euro al chilo a 1,88 euro al chilo, grazie alla capacità della filiera di offrire un prodotto di qualità sempre più elevata ma anche delle norme che hanno consentito di tutelare e valorizzare il vero prodotto italiano. Un trend che ha consentito all’Italia di recuperare spazi anche nel confronto con altri paesi europei. Un esempio è il travolgente successo ottenuto dal vino tricolore che ha raggiunto in 25 anni un valore medio di 3 euro, con un incremento del 129% arrivando a tallonare la Francia che nello stesso periodo ha segnato -15% e oggi vale 4,2 euro, mentre la Spagna è cresciuta solo del 17% con un valore pari a 1,3 euro al litro.
“Il valore creato dai produttori - sottolineano Coldiretti/Censis - va tutelato, però, con opportuni strumenti regolatori che non consentano a chiunque di giocare con brand e confusione o competere slealmente senza regole. L’esempio più clamoroso è quello del falso Made in Italy che nel mondo è arrivato a fatturare oltre 100 miliardi di euro sottraendo risorse e opportunità di lavoro all’Italia, con il paradosso che i più attivi taroccatori del cibo Made in Italy nel mondo sono i paesi ricchi che approfittano della pandemia per sostituire i prodotti tricolori con imitazioni di bassa qualità”.
“Ma per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia Made in Italy serve anche agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo” ha affermato il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “l’Italia può ripartire dai punti di forza con l’agroalimentare che ha dimostrato resilienza di fronte la crisi e può svolgere un ruolo di traino per l’intera economia”.

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