Una produzione in crescita rispetto allo scorso anno ma nettamente inferiore alle aspettative e alle potenzialità, con i soliti fattori climatici - le gelate primaverili, la siccità estiva e la frequente alternanza di caldo freddo - che non hanno favorito l’ottimale sviluppo vegetativo degli oliveti. Emerge dalle ultime ricognizioni di Ismea e Unaprol sulla campagna olivicola italiana in corso, in attesa che si entri nel vivo della produzione in Puglia e Calabria, che si rivelano in linea con le prime stime diffuse a settembre. Stimata una produzione di 315.000 tonnellate (+15% su un 2020 particolarmente scarso), trainata dal Mezzogiorno e in particolare la Puglia (+38%), che non soddisfa comunque i produttori.
Nelle province settentrionali la raccolta è partita in ritardo rispetto allo scorso anno ed è per questo che ancora sussiste un buon grado di incertezza soprattutto rispetto alle rese che, nelle prime moliture, sono apparse inferiori alle medie. A fare la differenza è stata soprattutto la possibilità di irrigare perché solo a ottobre e nelle prime settimane di novembre le piogge sono intervenute a riequilibrare la situazione e a favorire lo sviluppo delle drupe. Discorso diverso al sud dove la situazione resta difficile nelle aree colpite da Xylella nonostante l’entrata in produzione di alcuni nuovi impianti. Intanto le operazioni di raccolta stanno subendo dei ritardi anche di due o tre settimane per il posticipo della maturazione. In alcune aree anche le continue piogge impediscono di entrare in campo. In Calabria (+9%) si stima un segno positivo sebbene più contenuto rispetto a quello pugliese. Si prospetta una buona annata anche in Sicilia dove la maggior produzione è da imputare alla normale alternanza e al clima favorevole durante l’allegagione. Le attese sono state un po’ ridimensionate dalla siccità accompagnata al persistere di alte temperature arginate, laddove possibile, dalle irrigazioni di soccorso. Le precipitazioni di settembre e ottobre sono risultate quindi provvidenziali anche se hanno inciso negativamente sulle rese in olio. Anche in Abruzzo le piogge autunnali hanno ridato vigore alle olive che si stimano in quantità superiore allo scorso anno così come in Basilicata e Molise. Rispetto al resto del Sud, la Campania ha una produzione stimata inferiore all’anno passato.
Male il Centro dove per Toscana, Umbria e Marche, si attendono riduzioni importanti. Il Lazio sembra essere la Regione di quest’area che ha resistito meglio, mentre al Nord l’annata è da considerarsi pessima sotto il profilo quantitativo. In Liguria si stima, infatti, un calo del 30% ma in altre Regioni la produzione sembra più che dimezzata rispetto allo scorso anno. Guardando i risultati degli ultimi 10 anni, si osserva un’estrema variabilità produttiva da un anno all’altro e una graduale riduzione della produttività anche negli anni considerati di carica: dalle 506.000 tonnellate del 2012, livello più alto del decennio, alle due pessime annate del 2014 e 2018 (con una produzione rispettivamente di 222.000 e 175.000 tonnellate), passando per recuperi produttivi deludenti anche negli anni di carica. Negli ultimi anni, in particolare, le oscillazioni produttive sono andate oltre la fisiologica alternanza scontando eventi climatici avversi e fitopatie a cui non sempre si è fatto fronte in modo efficace. L’eccessiva variabilità produttiva crea scompensi nel mercato perché da un lato mina la stabilità del reddito dei produttori, dall’altro rende difficile, ad esempio, la programmazione degli acquisti di prodotto italiano da parte dell’industria di imbottigliamento esponendo il settore al ricorso sempre più massiccio alle importazioni. Da considerare anche il tema dell’aumento dei costi che non è sempre andato di pari passo a quello dei ricavi comprimendo sempre più il reddito dei produttori. A livello mondiale, le prime stime produttive attestano i volumi della campagna 2021-22 a 3,1 milioni di tonnellate, sintesi della flessione della produzione comunitaria (-3%), determinata dalla riduzione attesa in Spagna (-7%) e Grecia (-14%), e della contestuale crescita fuori dai confini della Ue, trainata dalla Tunisia (+71%), oltre che dalla Turchia (+9%) e dal Marocco (+25%).
Il 2021 è un anno segnato complessivamente da importanti incrementi dei listini dovuti a una scarsa produzione 2020. Nei primi 11 mesi dell’anno, sono stati toccati incrementi medi dei prezzi del 27% per l’olio extravergine italiano a cui si sono aggiunti aumenti ancora più elevati sia in Spagna sia in Tunisia. Nello specifico del mercato iberico, a settembre 2021, quindi a fine campagna 2020/2021, sono stati raggiunti i 3,77 euro/kg, prezzo che non si registrava dal 2017. A sostenere le quotazioni sono intervenuti anche strumenti comunitari quali il magazzinaggio privato. L’autunno, però, ha invertito la tendenza soprattutto in Italia a seguito delle prime stime che, pur essendo inferiori alle aspettative, indicano comunque un aumento dei volumi. Settembre e ottobre, in particolare, sono stati due mesi sostanzialmente di stallo con gli imbottigliatori che avevano fatto scorte abbondanti in attesa del prodotto nuovo e nel frattempo i listini alla produzione hanno avuto dei leggeri cali, ma senza subire particolari scossoni. Solo con le ultime settimane di novembre si è avuta una maggior consapevolezza della flessione dei listini in concomitanza con l’immissione sul mercato del prodotto pugliese sebbene i ritardi nella raccolta faranno slittare oltre metà di dicembre la piena produzione regionale.
Venendo ai consumi e al commercio con l’estero, i primi 11 mesi del 2021 hanno fatto registrare una flessione generalizzata degli acquisti di olio di oliva nei format della Gdo. Sebbene si continuino a sentire pesantemente le conseguenze delle limitazioni dovute alla pandemia, quest’anno c’è stato un minor ricorso alla spesa nella grande distribuzione organizzata. La riapertura della ristorazione ha favorito quindi la riduzione alla corsa agli acquisti che, invece, si era registrata lo scorso anno. Sembra esserci in corso un ritorno alla normalità perché nel complesso la Gdo ha realizzato vendite in volume in linea con quelle dello stesso periodo del 2019. Peraltro, tutti i segmenti del comparto olio e grassi vegetali nel 2021 hanno subito la stessa sorte dell’olio d’oliva. Da sottolineare che la variazione in valore è costantemente inferiore a quella in volume a causa dell’aumento dei costi di approvvigionamento da parte della Gdo. Aumenti non sempre accettati di buon grado e che da qualche mese devono fare i conti anche con i maggiori costi che le aziende imbottigliatrici stanno subendo a causa dei rincari dell’energia, del vetro e di altri fattori produttivi. Sarà quindi interessante monitorare i prossimi mesi e vedere come si combineranno nella fase della vendita al consumo le attuali flessioni dei listini con gli altri aumenti dei costi di produzioni soprattutto nella trasformazione. Anche il commercio con l’estero registra un netto ridimensionamento in termini quantitativi rispetto al medesimo periodo del 2020. Nei primi nove mesi del 2021, infatti, i volumi importati sono scesi del 10% a fronte, però, di un incremento della spesa del 20% dovuta alla dinamica dei prezzi internazionali. L’export, intanto, è sceso del 6% in volume accompagnato, però, da un incremento dei prezzi del 4%. Il saldo in valore della bilancia commerciale resta quindi negativo, anche se il gap si sta assottigliando rispetto ai primi mesi dell’anno.
Infine, per le esportazioni italiane di olio di oliva e sansa, la flessione delle richieste di prodotto italiano si è sentita a soprattutto negli Stati Uniti (-14% in volume e -4% in valore) dove si scontano anche i problemi legati alla logistica. A questa riduzione si aggiungono perdite in volume sempre a due cifre, in Canada, Giappone e Regno Unito. In questi due ultimi Paesi, però, il valore mostra il segno positivo. In aumento, invece, sia in volume che in valore le esportazioni verso la Germania e la Svizzera e Russia. Altro discorso è nella parte passiva della bilancia commerciale. Limitatamente ai primi nove mesi del 2021, infatti, gli acquisti fuori dai confini nazionali hanno raggiunto le 436.000 tonnellate con un vistoso rallentamento rispetto ai primi mesi dell’anno quando erano state fatte importanti scorte dalle imprese imbottigliatrici. Nel complesso, dalla Spagna - primo paese fornitore italiano - sono arrivate 272.000 tonnellate, in linea con lo stesso periodo dello scorso anno, per un valore cresciuto del 30% in relazione al forte incremento dei prezzi. Parallelamente sono calate del 5% le importazioni dalla Grecia, come è consuetudine quando si importa così tanto dalla Spagna. Nel frattempo, sono crollati gli arrivi dalla Tunisia (la cui produzione 2020 è stata scarsa): in volume la flessione è stata del 39% accompagnata da un -14% in valore. Da tener conto che le 38.000 tonnellate importate dalla Tunisia rappresentano appena il 9% del totale importato dall’Italia.
Focus: le prospettive secondo il rapporto Ismea-Unaprol
L’indice Ismea relativo al clima di fiducia dell’industria olearia continua ad essere positivo e sostanzialmente in linea con quello dell’agroalimentare nel complesso. Le buone aspettative si basano sul fatto che le disponibilità saranno ancora abbondanti grazie alla buona combinazione delle scorte e della nuova produzione. Anche la domanda sembra tenere e quindi restano buone le aspettative sugli ordini. In tema di consumi, la riapertura completa dell’horeca già da alcuni mesi aveva cominciato a far ben sperare il mondo produttivo che continua a confidare in una ripartenza della domanda soprattutto per i prodotti di qualità.
Il Covid-19, infatti, potrebbe aver cambiato in modo importante le abitudini di consumo alzando l’asticella della qualità richiesta. Chiaramente, tutto ciò passa dalle disponibilità a pagare dei consumatori e, quindi, dalla capacità di ripartenza dell’economia in generale. Restano, comunque, i timori legati anche alle nuove chiusure, sebbene parziali, a cui si sta assistendo. Questo vale anche per la domanda estera a cui sono legate le esportazioni che, peraltro, stanno scontando tutte le problematiche legate alla logistica e al lievitare dei prezzi dei container e alla difficoltà di consegnare i prodotti soprattutto in alcuni porti statunitensi. A questo si aggiunge anche l’aumento dei costi legati all’energia, alle difficoltà nel reperimento del vetro e ad altri fattori produttivi. L’industria di imbottigliamento, in questo contesto, sta acquistando solo per piccole partite e attende gli sviluppi della produzione quando a metà dicembre si entrerà nel vivo della raccolta non solo nelle principali regioni italiane ma, soprattutto, in Andalusia.
Restano, inoltre, sul tavolo tutte le tematiche legate alla nuova riforma della Pac e alle nuove opportunità che potrebbero venire sia dai fondi del Pnrr, soprattutto sul fronte frantoi, sia dai fondi destinati ai produttori olivicoli associati ad Organizzazioni di produttori che prevede lo stanziamento di 30 milioni di euro, a valere sul fondo filiere: 10 milioni di euro sono destinati al sostegno di investimenti in nuovi impianti e 20 milioni di euro per ammodernare gli impianti esistenti.
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