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ECONOMIA

Agroalimentare made in Italy, le “ricette” per il futuro di “The European House - Ambrosetti”

Nel forum di Bormio (17-18 giugno) focus su un settore che è il primo per contributo al Pil nazionale con 65 miliardi di euro di valore aggiunto
AGRICOLTURA, ALIMENTARE, FUTURO, THE EUROPEAN HOUSE AMBROSETTI, Non Solo Vino
Agroalimentare made in Italy, il futuro di “The European House - Ambrosetti”

Favorire la sburocratizzazione del settore per lo sblocco degli investimenti e lo sfruttamento dei fondi Pnrr; sostenere e incentivare, anche fiscalmente, il consolidamento del settore food & beverage per incrementarne la competitività, anche a livello internazionale; combattere il fenomeno dell’italian sounding e promuovere le esportazioni delle eccellenze nazionali; rafforzare le filiere Made in italy per ridurre la dipendenza dall’estero in un’epoca di continui shock esogeni, soprattutro per i settori agricoli con bilancia commerciale negativa; accelerare l’adozione di politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici; implementare politiche di sensibilizzazione ed educazione alimentare nella patria della dieta mediterranea, a partire dalle giovani generazioni. Sono le “6 ricette” per l’agroalimentare made in Italy, contenute nel position paper “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” che ha aperto i lavori del “Forum sul Food & Beverage”, promosso da The European House - Ambrosetti, di scena oggi e domani, a Bormio.
Per fare luce su una filiera agroalimentare che è voce portante dell’economia nazionale. Secondo i dati illustrati al Forum, la filiera agroalimentare è la prima per contributo al Pil nazionale con 65 miliardi di euro di valore aggiunto, genera un fatturato totale di 204,5 miliardi di euro, con un incremento del 3,8% dal 2015, mentre oltreconfine nel 2021 l’export di prodotti agroalimentari ha segnato il record storico raggiungendo la soglia dei 50,1 miliardi di euro (il 10,8% in più rispetto al 2020), permettendo alla bilancia commerciale di registrare un surplus pari a 3,3 miliardi di euro. Il vino si è confermato prodotto italiano più venduto all’estero con una market share sull’export pari al 14,3% e un giro di affari di 7,1 miliardi di euro, mentre la Germania permane il principale paese di approdo assorbendo una quota del 22,4% e generando un fatturato di 8,4 miliardi di euro (+6,6%). Seguono Stati Uniti e Francia, vicini tra loro con una quota rispettiva del 15,1% e del 15%. A livello occupazionale, il settore offre lavoro a 1,4 milioni di persone (di cui 483.000 nell’industria del food & beverage e 925.000 nel comparto agricolo). Un settore quindi senza dubbio florido, come abbiamo detto spesso, ma non privo di criticità. Lo studio di The European House - Ambrosetti ne ha evidenziate alcune. Innanzitutto, se è emerso che il settore è stato quello che, nel 2020, ha mostrato maggiore resilienza nei confronti della pandemia, subendo complessivamente una perdita contenuta del valore aggiunto dell’1,8%, è anche vero che nel 2021 è cresciuto meno degli altri principali comparti e, pur riportando una progressione del 6,2%, è riuscita a fare meglio solo dell’industria farmaceutica (+2,2%). Spostando poi l’attenzione verso l’export, la performance dell’ultimo biennio non si può definire sbalorditiva se analizzata rispetto agli altri settori. Nel 2019-2021 l’incremento del 13,6% colloca l’agroalimentare al terz’ultimo posto nel ranking delle principali filiere italiane. Il Paese è inoltre solo quinto in Unione Europea per valore delle esportazioni alimentari, un valore pari al 65% dell’export tedesco e al 72% di quello francese. La performance del Paese non migliora guardando all’incidenza dell’export agrifood sul totale, pari al 9,7%, metà della quota spagnola e il 70% di quella francese. Se a questo si aggiunge che il settore in questo momento è obbligato a operare in un contesto turbolento e caratterizzato da cinque fattori di rischio che sommati tra loro, secondo The European House - Ambrosetti, determinano una vera e propria “tempesta perfetta”: la pandemia globale, lo scoppio della guerra, l’impennata dell’inflazione, l’esplosione dei costi energetici e di logistica, l’interruzione di alcune filiere di approvvigionamento.
A rallentare e minare il processo evolutivo del comparto spicca, ed è di stretta attualità, la preoccupante e costante ascesa dell’inflazione, mai così alta negli ultimi 30 anni. Paragonando aprile di quest’anno a quello del 2021, il prezzo del grano è incrementato senza freni del 230% e quello del mais del 130%. Inevitabili le conseguenze negative per le tasche delle famiglie italiane, il cui paniere della spesa è aumentato del 2,9%.
Il conflitto russo-ucraino ha contribuito non poco al fenomeno aggiungendo un problema di reperibilità di alcune materie prime di cui il nostro paese è molto carente con nuovi rischi per alcune filiere agroalimentari chiave del Paese: infatti, l’Ucraina è primo fornitore di olio di girasole per l’Italia, primo fornitore di semi e secondo fornitore di mais e elementi nutritivi per le coltivazioni, con pesi sul totale dell’import che vanno dal 15% fino al 63% (è il caso dell’olio di girasole, elemento chiave anche per alcune filiere di trasformazione).
La carenza di materie prime agricole, in particolare, è un gap che nel 2021 si è ulteriormente ampliato. Un dato di fatto confermato dai numeri diffusi da The European House - Ambrosetti, secondo i quali, lo scorso anno, l’Italia ha aumentato di 1 miliardo di ruro ulteriore la sua dipendenza da materie prime agricole, raggiungendo un deficit commerciale complessivo di 8,5 miliardi di Euro nel 2021. In generale, analizzando l’andamento dal 2010 al 2021, il nostro paese ha “perso” oltre 85 miliardi di Pil proprio a causa di questa situazione che lo vede costretto ad acquistare da paesi terzi i prodotti necessari in ambito di produzione agricola. Spicca soprattutto la scarsità di cereali reperibile a livello nazionale, che comporta un deficit della bilancia commerciale di quasi 5 miliardi di euro, ma si bussa alla porta di fornitori stranieri anche per il pesce lavorato (-4,4 mld) e i prodotti ittici (-1,2 mld), la carne lavorata (-3,6) e gli oli e i grassi (-2,7), molti di questi proprio provenienti da Ucraina e Russia. E su questo aspetto, The European House - Ambrosetti, si focalizza su due motivi: ad indebolire la competitività della filiera agroalimentare italiana interviene, da un lato, la frammentazione delle imprese della nostra Penisola (il 92,8% fatturano meno di 10 milioni di euro), e, dall’altro, il fenomeno dilagante dell’Italian Sounding (al centro della giornata di domani). Ma se è certo che cambieranno i consumi ed i modelli distributivi, come sottolineato, tra gli altri, da Marco Pedroni, presidente Coop e Adm Associazione Distribuzione Moderna, e Francesco Avanzini, dg Conad, è emerso anche come accelerare il processo di transizione ecologica sia una priorità per la filiera agroalimentare. Il punto di partenza è stata la ricerca “La(R)evoluzione Sostenibile della filiera agroalimentare italiana” presentata da Benedetta Brioschi, Responsabile Scenario Food & Retail & Sustainability di The European House - Ambrosetti, che ha coordinato il dibattito successivo tra Giovanni Battista Valsecchi, DG, Generale Conserve (Asdomar), Eugenio Sapora, Country Manager Italia, Too Good To Go, Katja Seidenschnur, Sustainability Director Europe, Nestlè, in videoconferenza, Davide Franzetti, Country Sales Director, Coca-Cola HBC Italy, Pompeo Farchioni, Presidente, Farchioni Olii. Un’analisi approfondita dalla quale sono emersi parecchi indicatori utili, che evidenziano come la filiera debba rispondere alle mutate esigenze dei consumatori, confrontandosi con uno scenario caratterizzato da elementi di criticità che coesistono con lo sviluppo di risposte tecnologicamente innovative. Il maggior rispetto per l’ambiente è un tema molto sentito per il 70% dei cittadini nel 2021 (+22 punti percentuali rispetto al 2015). In Italia le pratiche più richieste sono la riduzione del consumo di plastica (90%) e la transizione a packaging sostenibile (89%). Ancora, i lavori del Forum evidenziano come trasparenza e tracciabilità siano due concetti molto richiesti e soluzioni tecnologiche come la Blockchain e lo Smart Label stanno andando incontro a queste crescenti esigenze, grazie a un sempre più costante tracciamento e accumulo di dati. Ma l’innovazione impatta su tutte le fasi della filiera e il nostro Paese si dimostra all’avanguardia nell’adozione di nuove tecniche e strumenti: ad esempio l’Italia è al quarto posto nel mondo per densità di robot attivi nella produzione alimentare e, ancora, le 210 startup FoodTech costituiscono il 17% del totale europeo. Numeri che legittimano l’attesa che l’agroalimentare, anche per l’importanza strategica che riveste nell’economia italia, possa assumersi la guida per il Sistema Paese verso quella sostenibilità che, nell’approccio di The European House - Ambrosetti coinvolge la dimensione economica, sociale e ambientale. Tuttavia non si potrà prescindere dagli allarmi derivanti dalla situazione ambientale del nostro Paese. Ed emergono cinque sfide preminenti per la filiera agroalimentare (ma non solo). Innanzitutto, un aumento della popolazione mondiale: nell’ultimo trentennio la produzione mondiale di cibo è aumentata del 91%, il doppio di quanto sia aumentata la popolazione (+45%) oggi giunta a 8 miliardi. Tale situazione porta a un maggiore impatto della filiera agroalimentare sugli ecosistemi ambientali e, come si dice nella ricerca, è fondamentale fare ricorso ad un’Agricoltura 4.0 per conseguire un risparmio di circa il 30% degli input necessari per l’attività agricola e una crescita del 20% della sua produttività. Il terzo elemento critico si lega alle condizioni meteorologiche che danneggiano la filiera agroalimentare. Il 21% del territorio italiano è infatti a rischio desertificazione e allo stesso tempo il numero di eventi estremi cresce del 25% ogni anno. In Italia, tale situazione causa un danno stimato di 1 miliardo di euro a livello annuale. Nel 2021 le avversità climatiche hanno determinato una perdita di produzione media del 27% della frutta, del 10% del riso e del 9% del vino. Gli impatti più severi sono stati raggiunti nella produzione di miele, quasi totalmente scomparsa nell’anno (-95%), delle pere (-69%) e delle pesche (-48%). Non irrilevante poi l’imbarazzante problema dello spreco alimentare che, nel mondo, pesa per il 17% del cibo prodotto e ammonta a quasi 1 miliardo di tonnellate all’anno. In questo contesto, l’Italia rientra tra i primi 10 Paesi europei per spreco alimentare, buttando via e non consumando mediamente 89 kg pro-capite all’anno di cibo, pari a 5,3 milioni di tonnellate.

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