Il mercato delle aste italiane dei fine wine, un canale fondamentale per il grande mercato secondario dei vini di pregio, chiude un 2022 decisamente positivo, che conferma la bontà del vino come asset su cui investire anche nei momenti di maggiore difficoltà, registrando, però, anche qualche segnale di rallentamento nella corsa senza freni delle quotazioni delle griffe di primissimo piano. Sintomi da non sottovalutare, ma che le case d’asta del Belpaese, sentite da WineNews, hanno ben chiaro come affrontare in un 2023 che si prospetta particolarmente complesso. Il primo dato, che accomuna tutti i player, da Pandolfini a Bolaffi, da Finarte a Gelardini & Romani, da Wannenes a Il Ponte, è la sicurezza che si può riporre in quel circolo ristretto di etichette capaci di rappresentare un vero e proprio bene rifugio.
Dai grandi di Borgogna, come Romanée-Conti, Rousseau e Jayer, alle granitiche certezze del Belpaese, come Sassicaia, Masseto, Tignanello (Antinori), Case Basse (Soldera), Giacomo Conterno, Bruno Giacosa, Bartolo Mascarello, i vini di Gaja: sono i vini che hanno guidato i fatturati del 2022, e che difficilmente abdicheranno nel 2023. Occhio, però, a quanto già sottolineato dall’ultimo report del Liv-ex: le quotazioni di certe etichette, a partire da Romanée-Conti, hanno raggiunto livelli talmente alti da rendere assai difficoltosa una loro ulteriore valorizzazione, e di questo anche le case d’asta dovranno tenere conto.
Specie perché più i prezzi sono alti e meno sono i collezionisti disposti a pagarli. Non è un caso, allora, che almeno in Italia si guardi con grande attenzione a quella grande fetta di appassionati, non necessariamente benestanti, disposti però ad investire anche piccole somme nel vino. Sia in una logica speculativa, che con l’obiettivo ben più concreto di investire in un bene di cui godere realmente, portando a tavola bottiglie importanti.
Una strada già imboccata, con aste, soprattutto online, fatte di centinaia di lotti assolutamente accessibili, e vini che, piano piano, si sono costruiti una credibilità di caratura internazionale, perché capaci di garantire una enorme costanza qualitativa, il giusto prezzo di uscita, e di conseguenza la capacità di garantire, agli investitori, margini interessanti. È il solco dentro al quale, ad esempio, troviamo vini come Le Pergole Torte di Montevertine e il San Leonardo, protagonisti assoluti del 2022 delle aste del vino italiane, al fianco dei “soliti” mostri sacri.
In termini di fatturato, valore relativo, perché dato dal numero delle aste e ovviamente dal valore dei lotti battuti, l’unica casa d’aste a superare i 3 milioni di euro è stata Pandolfini, con le due aste online e, soprattutto, le aste in presenza di aprile (che raccolse 1,47 milioni di euro di aggiudicazioni, con una sei litri di Masseto 2007 battuta a 11.250 euro, ndr), e novembre, che ben raccontano l’andamento dell’anno. “L’asta di aprile ha raggiunto prezzi folli, mentre quella di novembre, che comunque è andata bene, ha mostrato una certa stanchezza della Borgogna, che potrebbe aver raggiunto, con i nomi più importanti, l’apice. Il 60% degli investimenti arrivano dall’Italia, il 40% dall’estero, specie Europa, poi Usa e Hong Kong”, dice a WineNews Francesco Tanzi, capo dipartimento vini pregiati e whisky e distillati da collezione di Pandolfini, che sottolinea poi come si siano fermati “gli investimenti da Oriente, da cui dipenda in buona misura la crescita ulteriore delle etichette top”.
“C’è stato qualche segnale dallo Champagne, rispetto a selezioni e formati particolari, come la cassa di Salon aggiudicata a 9.000 euro, e performa sempre molto bene Pétrus, anche se Bordeaux, in generale, ha due limiti: tante bottiglie prodotte e prezzi già alti in partenza. L’Italia, invece, garantisce ancora prezzi accattivanti, che permettono grandi margini, da Pergole Torte a Sassicaia, da Monfortino a Soldera, un club esclusivo in cui si sta facendo largo San Leonardo. Le aste, per le aziende, sono un punto di arrivo, alle spalle ci vuole una storia importante o investimenti sostenuti, come nel caso di Masseto e Ornellaia, mentre in altri casi, come quello del Monfortino, il merito è delle quotazioni basate sul mercato secondario”. Guardando al 2023, “non credo ci siano in vista flessioni o problemi per le aste italiane. È difficile immaginare una ulteriore valorizzazione delle etichette di Borgogna, perché hanno raggiunto cifre difficili da superare. Ci sono poi da valutare le dinamiche economiche mondiali, che impattano anche sugli investimenti nei fine wines. La cosa importante - ricorda ancora Francesco Tanzi - è che la Cina riparta, ma ci attendiamo che sarà così”.
Decisamente positivo anche il 2022 di Bolaffi, che come ricorda la specialist dipartimento Vini pregiati e distillati di Aste Bolaffi, Luisa Bianconi, ha chiuso l’anno con un realizzo complessivo di 2,45 milioni di euro ed una media del 98% dei lotti venduti. Tra i top lot dell’anno, le 42 bottiglie di Masseto (tre per ogni annata dalla 2005 alla 2018), che hanno totalizzato 28.800 euro, le 9 bottiglie di Barolo Monfortino Riserva 2010 di Giacomo Conterno (20.150 euro), le 6 magnum di Barolo Monfortino Riserva 2010 di Giacomo Conterno (17.280 euro), le 12 bottiglie di Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno, tre per ogni annata (2010, 2013, 2014 e 2015), battute a 15.800 euro, e altre 6 magnum Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno (2005, 2008, 2010, 203, 2014 e 2015), a 10.000 euro.
“Si confermano protagonisti delle aste i produttori più blasonati di Piemonte (Giacomo Conterno, Bruno Giacosa e Bartolo Mascarello) e Toscana (Sassicaia, Masseto, Le Pergole Torte). Per la Francia spuntano costantemente importanti rialzi i Bordeaux, anche nelle vecchie annate, e i prestigiosi Domaine di Borgogna, soprattutto Romanée Conti, Rousseau, Jayer. Nonostante la situazione politica internazionale e la crisi energetica ed economica che stiamo attraversando, il mercato dei fine wine sta rispondendo in modo molto positivo. Il trend non solo non è negativo, ma addirittura è in crescita e questo lo avevamo già appurato in tempo di pandemia. Il settore vino si dimostra solido e un ottimo segmento su cui investire”, commenta Luisa Bianconi.
Dimensioni diverse, ma anche aspettative diverse, hanno accompagnato il 2022 di Finarte, in cui, racconta Guido Groppi, capo dipartimento di vini e distillati, “la crescita è stata del 10%, ma avevamo aspettative più alte. L’aspetto più positivo riguarda l’asta “pop”, “dedicata ad appassionati e collezionisti: coinvolgerli nel circuito delle aste è uno dei nostri obietti sin dal 2019, e l’abbiamo raggiunto puntando su bottiglie a prezzi accessibili grazie alle quali abbiamo visto per la prima volta la sala piena. Un altro momento importante, per noi, è rappresentato dall’asta monografica di Borgogno, venduta al 90%. Ci ha insegnato che un Barolo di qualità ha un valore di mercato rilevante anche a prezzi mediamente buoni”, commenta Guido Groppi.
“Il mercato, quando si guarda all’Italia, è sempre Piemonte e Toscana, specie con etichette come Sassicaia, Masseto e Tignanello. Bene anche il Brunello di Montalcino, con Biondi-Santi e Soldera al top dal punto di vista degli scambi, seguiti da Salvioni, mentre il marchio giovane è Casanova di Neri, che fa delle performance sempre di alto livello. Vedremo se i risultati di Wine Spectator porteranno qualche effetto, pensando ovviamente a Fattoria dei Barbi. Il panorama è più variegato in Piemonte, con Monfortino, Gaja, Giuseppe Rinaldi e Bartolo Mascarello, vero e proprio culto, specie con certe etichette e con annate molto vecchie, tra i Barolo, mentre tra i Barbaresco, sicuramente Roagna è il produttore da tenere d’occhio. La terza zona è quella dell’Amarone, che ha vissuto un ottimo 2022. Fuori da queste tre aree ci sono le icone come Valentini, con quotazioni rilevanti, superiori a molti Barolo, o Emidio Pepe, e poi dal Friuli Miani e Gravner, e alcune sorprese, come San Leonardo e Pergole Torte, che hanno messo a segno ottime escalation di prezzo, diventando marchi di culto e da investimento, e occhio in futuro a Testamatta”, continua il capo dipartimento di vini e distillati di Finarte.
“Per anticipare il mercato, bisogna capire il valore di un vino oltre il suo valore commerciale: la costruzione di un marchio, salvo rare eccezioni, è un processo lungo, il cui presupposto è sempre la qualità nel tempo. Per il 2023 le aspettative sono buone, perché se è vero che Champagne e Borgogna sono a livelli troppo alti per avere possibilità di rivalutazione importanti, si aprono possibilità per il vino italiano. La zona su cui investirei - aspettando l’Etna, diventato imprescindibile per tutti i produttori siciliani, con Tenuta delle Terre Nere e Passopisciaro a fare il prezzo - è invece il Nord del Piemonte, zona di Nebbiolo dalla grandissima tradizione. La produzione è completamente cambiata dai tempi di Cavour, e il potenziale è enorme, basti pensare all’acquisizione di Nervi da parte di Conterno: è la zona cui guardare”, conclude Guido Groppi.
Uno spaccato, come sempre, molto peculiare, è quello che arriva dalle parole di Raimondo Romani, fondatore, insieme al socio storico Flaviano Gelardini, della Gelardini & Romani Wine Auction, casa d’aste dedicata ai fine wines, nata a Roma ma ormai da qualche anno di stanza ad Hong Kong, porta d’accesso al grande mercato asiatico e, ovviamente cinese. Quello di Raimondo Romani è un osservatorio privilegiato su un’area di enorme rilevanza per il settore delle aste, e non solo di vino. Un mondo che, dallo scoppio della pandemia nel 2020, si è inesorabilmente allontanato, ma non quanto si potrebbe immaginare da qui. “Ci siamo spaventati di fronte al Covid, ma in realtà ha portato una grande effervescenza sul mercato dei fine wines. Superata la fase emergenziale, in Asia stiamo vivendo un cambiamento radicale, in cui le grandi aziende commerciali puntano sulla disintermediazione, puntando direttamente sul cliente finale. Il lavoro sul cliente privato, perciò, diventerà centrale: in Cina e ad Hong Kong è già così, mentre mercati meno maturi rappresentano ancora ottime opportunità per il trade, pur con le difficoltà legate a dogane e operatori ancora acerbi, e con cui è difficile lavorare dall’Europa”, racconta Raimondo Romani, che con la Gelardini & Romani Wine Auction, nel 2022, ha fatturato 2 milioni di euro, con il 50%, per la prima volta, generato dal canale retail, per un totale di 1,5 milioni di euro di vino italiano venduto tra Cina ed Hong Kong.
“Dal punto di vista delle aste, in questo momento di incertezza anche il vino ne risente: la Borgogna cresce, ma ha toccato i suoi massimi, va molto forte il Piemonte, mentre con Bordeaux non si guadagna più. Se tanti italiani vanno sulla Place è perché c’è una grande richiesta e garantiscono ampi margini. Ci sono diverse nicchie con ancora capacità di crescita, come Barolo e Barbaresco, ma vanno benissimo anche Brunello ed Etna, e poi icone come Valentini e Pepe. Con la Francia, ormai, non c’è più la competizione di qualche anno fa: si lavora in sinergia, anche per superare le difficoltà degli inglesi, che pagano lo scotto della Brexit anche e soprattutto in Asia, dove certe bottiglie, a prezzi ormai fuori controllo, non si vendono più, tanto meno in Cina, che vive addirittura un momento di deflazione”, spiega Romani.
“In vini hanno sempre avuto un loro valore standard nei secoli, ma dagli anni Ottanta la corsa è stata eccezionale, seguendo perlomeno il valore dell’annata. Oggi, i prezzi crescono e basta, arrivando ad una saturazione, perché la crescita non può essere infinita. Bisogna tornare a ragionare su target price sostenibili, perché le etichette top, quando arrivano intorno ai 1.000 euro a bottiglia, sono al limite: anche il miliardario, prima di aprire una bottiglia da 1.000 euro, ci pensa due volte. I prezzi di tante etichette si stanno ormai consolidando, e adesso a guadagnare è il produttore, come è giusto che sia. Ci sono casi di vigneron che avversano questa dinamica, mettendo sul mercato bottiglie a costi decisamente inferiori al valore reale, ma così facendo ottengono il risultato opposto, perché è esattamente così che si alimenta il mercato della speculazione”, mette in guardia Romani.
L’obiettivo, per riportare in equilibrio il mercato, “è quello di un prezzo intermedio alla cantina che permetta una rivalutazione di due volte e mezzo sul mercato secondario, garantendo al contempo sia il giusto profitto per l’azienda che un effetto moltiplicatore per il mercato degli investimenti. È quello che vediamo, ad esempio, con etichette come Sassicaia o Pergole Torte di Montevertine. Al contrario, Solaia e Ornellaia, al momento, non lo consentono, perdendo appeal, così come il Masseto, tanto che in percentuale cresce molto di più il Massetino. Quelli asiatici sono mercati che richiedono pianificazioni a lungo termine, in un’area che vive dinamiche geopolitiche di ampio respiro, non certo sul quotidiano, ci vogliono 4-5 anni affinché un’etichetta possa avere successo in Asia, qui è tutto molto lento, ma volto all’efficienza assoluta”, conclude Raimondo Romani.
Tra gli ultimi player delle aste a puntare sui fine wines, Wannenes, con il dipartimento vini e distillati nato solo nel 2018, e la prima asta nel 2019, poco prima della pandemia. “Dal 2021, però, siamo riusciti a fare sempre 2-3 aste l’anno”, ricorda Alessio Leonardi, alla guida del dipartimento Wine e Spirits. “Abbiamo una media di venduto del 70%, per un fatturato, nel 2022, di 350.000 euro, cui aggiungere le vendite post asta, decisamente rilevanti. La nostra peculiarità è quella di proporre non solo vini da investimento, ma anche da portare fisicamente a tavola. Ad esempio, la nostra ultima asta, andata in scena solo online, era divisa in due parti: collezioni importanti, dal Sassicaia 1968 alla prima annata del Tignanello, da un lato, e lotti più accessibili e divertenti dall’altro. I risultati ci dicono che i lotti che possiamo definire “da bere” hanno la capacità di attrarre i wine lovers ed i collezionisti più giovani, perché il mercato non può reggersi solo sulle grandissime etichette, che del resto trattiamo anche noi. La doppia magnum di Amarone Riserva 1990 di Quintarelli, battuta a 5.000 euro, o la verticale di 12 annate di Ornellaia a più di 3.000 euro, però, non sono per tutti”, sottolinea Alessio Leonardi.
Le aste, in questo senso, non sono più il luogo esclusivo della speculazione, al contrario, diventano un’occasione, perché “con i prezzi di tante etichette in continua crescita già dalla cantina, sotto il martello si trovano occasioni interessanti, con vini che hanno già qualche anno sulle spalle, ma a costi assolutamente ragionevoli. In generale, comunque, gli ultimi 4-5 anni hanno visto un incremento enorme dei prezzi di tantissime etichette, con il rischio di trovarsi di fronte tante piccole bolle, pronte ad esplodere. Bisogna puntare su bottiglie a prezzi giusti, commerciabili, per la soddisfazione di tutti, produttori e investitori. Un ottimo esempio arriva da Lungarotti, che piano piano nel nostro catalogo ha dato risultati interessanti, o lo Chardonnay di Ca’ del Bosco, o il Vintage Tunina di Jermann”.
Guardando al 2023, “ci sono Regioni come Abruzzo e Sicilia che sono destinate a crescere, con i vini di Emidio Pepe e Valentini, ma anche Passopisciaro e Arianna Occhipinti. Guardando all’estero, gli Champagne non moriranno mai, hanno una storia enorme alle spalle, nonostante la speculazione, perché è, essenzialmente, un prodotto insostituibile. La bolla della Borgogna, invece, merita un’analisi approfondita, ma non è detto che le griffe di Piemonte e Toscana sarebbero felici di vivere ritmi di crescita del genere, perché il risultato è inevitabilmente lo stesso, l’esplosione della bolla”, conclude Alessio Leonardi.
Infine, l’ultima arrivata, Il Ponte Casa d’Aste che, come ricorda Enrico Incisa, “ha battuto la sua prima asta giusto qualche settimana fa”. Con risultati decisamente incoraggianti: l’88% di lotti venduti e il 133% di rivalutazione dei prezzi base. E sotto il martello lotti importanti, come le due bottiglie di Richebourg Grand Cru 1993 (battute a 4.125 euro), le dodici bottiglie di Château Palmer 1990 (2.250 euro), la bottiglia di Château Margaux 1990 (1.000 euro) e il La Tache Grand Cru 1960 di Domaine Romanée Conti (1.125 euro). Ciò che rende differente l’approccio de Il Ponte al mondo delle aste enoiche, è “il rapporto con i nostri clienti: è con le loro collezioni che costruiamo i nostri cataloghi. Cercando, ovviamente, di costruire un’offerta equilibrata, che garantisca la bontà dell’investimento ma senza rincorrere bolle speculative”.
Con ampio spazio alle griffe del Belpaese, che incarnano al meglio questi principi. Partendo “dal Sassicaia di Tenuta San Guido e dal Tignanello di Antinori, ma anche Gaja e Ornellaia. Rivolgendoci a collezionisti essenzialmente italiani, abbiamo puntato, e punteremo, non solo su lotti da investimento, ma anche su etichette accessibili, destinate al consumo, un aspetto quasi dimenticato nel mondo dei fine wines. Stiamo muovendo i nostri primi passi, consapevoli che è un mercato capace di regalare grandi soddisfazioni. Dobbiamo saper cogliere le opportunità che ci si presenteranno, ma di certo è un settore, come molti altri da investimento, che non può prescindere da quel ristretto numero di etichette che muove buona parte del mercato”, aggiunge Enrico Incisa.
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