“L’interesse per la storia dell’alimentazione è antico e risale a prima dell’Ottocento. Per molto tempo è stato legato più alle curiosità del grande banchetto o alla tavola vuota dei contadini affamati che sono esistiti ovviamente nella storia, ma che sono anche un topos storiografico, mentre il suo rapporto con l’ambiente è mancato. È proprio questa la novità degli ultimi 50-60 anni: avvicinarsi al tema dell’alimentazione guardando a tutto il percorso che dalla terra porta alla tavola. E la terra vuol dire l’ambiente e tutto ciò che l’uomo riesce ad ottenere dall’ambiente, realizzando che può offrire risorse importanti, o creando lui stesso un ambiente per produrre cibo con le attività di coltivazione e di allevamento. Inizialmente il momento del reperimento delle risorse è rimasto quindi un po’ in ombra a livello storiografico, ma, da un paio di generazioni, lo stiamo sviluppando in maniera molto forte, senza dimenticare altri aspetti del rapporto con il cibo che sono quelli mentali, intellettuali, culturali e religiosi, e che si vanno poi ad incrociare con quelli economici. Il bello dello studiare la storia dell’alimentazione è il rendersi conto di come gli aspetti materiali e mentali della storia sono strettamente connessi: non ci sono cose senza idee, ripeto spesso, e non ci sono idee senza cose”. Lo ha detto a tu per tu, con WineNews, Massimo Montanari, tra i più importanti storici dell’alimentazione al mondo, spiegando perché la storia dell’ambiente è un ambito relativamente giovane della storiografia generale, guidandoci in un vero e proprio “excursus” storico del rapporto tra uomo, cibo e ambiente, dal Medioevo ad oggi.
Da sempre attento, pionieristicamente, all’ambiente, ai suoi cambiamenti ed alle risorse alimentari che i diversi paesaggi mettono a disposizione delle comunità determinandone i rapporti sociali e le abitudini alimentari, Montanari ricorda che “nel Medioevo, che noi chiamiamo con questo nome, ma che è un’epoca molto lunga perché mille anni sono tanti anche in tempi in cui le cose andavano più lentamente di oggi, il rapporto tra l’uomo e l’ambiente è cambiato. Nell’Alto Medioevo l’utilizzo delle risorse naturali, del selvatico, del bosco, del pascolo e delle acque, era molto presente e molto importante, grazie anche al fatto che ce lo si poteva permettere perché gli uomini erano pochi rispetto alle risorse del territorio e non c’era bisogno di modificarlo più di tanto: c’era un bosco e lo utilizzavano per allevare maiali, c’era un pascolo e lo utilizzavano per allevare pecore, raccoglievano piante selvatiche, cacciavano la selvaggina e pescavano il pesce. Un aspetto del rapporto con l’ambiente in quell’epoca che una volta veniva raccontato in termini di decadenza ambientale, perché, con il declino dell’Impero Romano, iniziava un Medioevo in cui prevaleva l’incolto. Da tempo ormai, questo non lo diciamo più e io stesso, sulla scorta degli studi del mio maestro Vito Fumagalli, ho molto insistito sul rapporto positivo tra l’ambiente selvatico e l’uomo che lo utilizzava perché lo sa fare, costruendosi gli attrezzi e mettendo a frutto le proprie conoscenze”.
“Tutto questo un po’ alla volta cambia - prosegue il professore - dal pieno Medioevo in poi, dal IX-X secolo in avanti, quando il rapporto dell’uomo con l’ambiente diventa legato all’idea della colonizzazione, cioè della trasformazione agricola del territorio, che da un lato produce più cibo, dall’altro diminuisce la varietà delle risorse, pagando in termini di varietà quello che si ottiene in quantità. Con problemi, perché la maggiore quantità di cibo consente agli uomini di moltiplicarsi, ma anche di averne più bisogno. Ma non è solo un problema di demografia, c’è anche una spinta da parte dei ceti dominanti e dei signori per mettere a coltura il territorio e ottenere risorse che si possono capitalizzare meglio trasformandole in denaro attraverso il mercato. C’è quindi una spinta dall’alto e un bisogno dal basso, e molti boschi dell’Alto Medioevo vengono messi a coltura, molti fiumi a regime e canalizzati, e il rapporto con l’ambiente cambia. Citando ancora il mio maestro, tutti i fiumi rischiano di esondare quando piove molto, ma un conto è esondare su spazi incolti e un conto su campi coltivati, e questa tensione molto forte verso l’agrizzazione del territorio comporta rischi oltre che vantaggi”.
Un trend, che ricorda Montanari, “durerà per tutta l’Età Moderna, con i contadini sempre più legati alla terra e al cibo che viene dalla terra, dal grano ai legumi, dai cereali alle patate, con un tipo di alimentazione che diventa con il tempo sempre più monotona. Un punto forte di questa monotonia alimentare si raggiugerà tra Settecento e Ottocento, quando nel frattempo sarà arrivato anche il mais dall’America diventando in certe zone d’Italia il cereale per eccellenza del contadino e la polenta il suo cibo per eccellenza, con tragedie sanitarie come quella della pellagra legata al monofagismo maidico. Quando si parla di fame si pensa sempre al Medioevo, ma io ripeto spesso che se c’è stato un secolo della fame in Italia ed Europa è stato il Settecento. Dal quale si è usciti con grande fatica, perché anche l’Ottocento è stato un secolo di grosse difficoltà economiche e sociali. Poi la storia prenderà altre vie, con l’industrializzazione”.
Fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui boschi e spazi incolti si sono così ridotti, che tante aziende, anche del vino, nei loro progetti di sostenibilità inseriscono il rimboschimento piantando nuovi alberi. Ma la domanda sorge spontanea: il nostro Paese ne ha davvero bisogno, o non sarebbe meglio prendersi cura delle fonti naturali di biodiversità e ricchezza anche economica che già abbiamo e come facevamo un tempo? “Ripartire dal Medioevo è ovviamente impossibile - sorride Montanari - perché non ci sono più le condizioni. È possibile invece ripartire dal rispetto per l’ambiente anche se il rapporto che la cultura contemporanea ha con l’ambiente e con i boschi, per esempio, è cambiato, e si tende a vedere questi spazi come luoghi di rispetto di un qualcosa che esiste al di fuori della vita dell’uomo, come succede in certi Parchi naturali che, nelle decisioni più estreme, vengono lasciati come sono senza intervenire neppure se cade un albero o muore un animale. Questa forma di alterità che gli spazi incolti hanno riconquistato da parte dell’uomo in realtà non c’è mai stata perché gli uomini hanno sempre interagito con questi spazi. La differenza sta qui, nel pensare all’uomo come parte dell’ambiente e come qualcuno che al di fuori dell’ambiente guarda quanto è bello, e questa prospettiva ecologica dove l’ambiente funziona da una parte e l’uomo dall’altra non è mai esistita. Il rispetto dell’ambiente nel Medioevo non era il rispetto per un mondo estraneo, ma che l’uomo utilizzava e, ovviamente, aveva tutto l’interesse a non deturpare e a conservare nelle sue risorse. È proprio questa simbiosi tra uomo e ambiente che è venuta a cambiare nella modernità. Oggi questo tentativo di recupero di un rapporto più sano e rispettoso dell’ambiente è positivo, ma va ricostruito in uno scenario storico totalmente modificato”.
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