Quella che sta entrando nel vivo in tutta Italia è una vendemmia impegnativa, in cui ad essere importanti non sono tanto le percentuali dei cali in sé, quanto la necessità di trovare soluzioni ai cambiamenti climatici e alle difficoltà. Perché sono fenomeni non più occasionali, ma, ormai, regolari. Come spiega Rosario Di Lorenzo, presidente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, che, tra i propri membri, annovera docenti universitari, il meglio dei ricercatori italiani in campo vitivinicolo, i titolari delle maggiori imprese del settore e gran parte di coloro che, sotto diversi aspetti, contribuiscono alla esaltazione nell’ambito sociale, artistico e letterario delle denominazioni e dei vini di alta qualità, “è un’annata certamente difficile e complicata, con cali a macchia di leopardo. Si può parlare di una riduzione del quantitativo globale, con differenze anche tra territori della stessa Regione, dove talvolta i cali sono significativi e riconducibili soprattutto alla Peronospora, che in alcune zone è stata molto incisiva, soprattutto nell’Italia del Centro e del Sud”. Dunque, tecnologia e ricerca diventano determinanti, perché, continua Di Lorenzo, “queste problematiche andranno certamente a verificarsi con maggiore frequenza, e quindi sarà fondamentale che il vigneto Italia si prepari con i tecnici che ormai hanno tutti gli elementi per cercare di affrontare queste problematiche”.
Oltre che con le fitopatie, c’è anche da fare i conti con gli effetti dei cambiamenti climatici, che non hanno comunque una distribuzione uniforme. Si è rivelata molto importante la tecnica colturale, e l’irrigazione si è dimostrata un elemento importante per gestire queste problematiche. Per Paolo Storchi, dirigente di ricerca del Crea - Centro Viticoltura ed Enologia,“il 2023 ha presentato varie problematiche, dovute soprattutto all’andamento climatico. Tra il mese di aprile e maggio abbiamo avuto oltre 30 giorni di pioggia, che vuol dire notevole difficoltà per le aziende che, a seconda della gestione dei vigneti, avranno rese diverse, con una stima delle perdite che vanno da un minimo del 10-20% al 70-80% della produzione. Sono dati che ci restituiscono la dimensione di quanto sia importante porre attenzione alla gestione della difesa della vite. Dove la gestione è stata basata su modelli previsionali e sull’uso dei prodotti adeguati, i danni sono contenuti. Un’annata come questa è importante proprio perché ci darà delle indicazioni anche per il futuro”.
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