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ATTUALITÀ

La ripresa della ristorazione italiana tra occupazione in risalita e investimenti per il futuro

Il Rapporto 2023 by Fipe: stabili le imprese, consumi a 92 miliardi di euro, ma anche prezzi in aumento ed abitudini che cambiano
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Il 2023 ha segnato la ripresa della ristorazione in Italia

Più di un milione di lavoratori dipendenti, consumi a 92 miliardi di euro, prezzi al consumo in rialzo (comunque inferiori ad altri Paesi), ma anche investimenti in aumento per le attrezzature e la digitalizzazione. Ed ancora, un’offerta in linea con quella del 2022, un valore aggiunto della ristorazione che si attesta sui 54 miliardi di euro, il ritorno ai fasti del pre-Covid, ma con delle abitudini che si stanno ormai consolidando come la crescita dell’aperitivo e il calo del dopo cena. Sono alcuni numeri e trend del Rapporto della Ristorazione by Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi riferiti al 2023, anno in cui vengono contate 331.888 imprese attive nei servizi di ristorazione (-1,2%): di queste, 132.004 svolgono attività di bar (-3%), 195.471 sono ristoranti e attività di ristorazione mobile (+0,1%), e 3.703 fanno attività di banqueting, fornitura di pasti preparati e ristorazione collettiva (+2,3%).
Ma quando si parla di imprese che erogano servizi alla persona è importante considerare anche il complesso delle unità locali (esercizi o punti di consumo), e il panorama dell’offerta cresce quindi significativamente arrivando a superare la soglia di 453.000 unità, in linea con il 2022. Da sottolineare la crescita della ristorazione in catena non solo per lo sviluppo dei grandi player del mercato, ma anche per l’affermarsi di tanti piccoli operatori che nella strategia delle aperture multiple esplicitano la loro visione imprenditoriale.
Le imprese gestite da donne sono 95.870 (il 28,9% del totale), con una più alta incidenza nel canale bar (33,1%). Le imprese giovanili, under 35, sono 42.652 (il 12,9% del totale), concentrate principalmente nel comparto dei ristoranti (60,3%), mentre quelle con “titolari” stranieri superano le 50.000 (circa il 14% del totale). Resta elevato, nel 2023, il turn over imprenditoriale (le nuove imprese sono 10.319, quelle cessate 28.012) anche se si è verificato un incremento delle nuove imprese (+6,5% sul 2022) che lascia ben sperare a fronte degli insuccessi imprenditoriali che caratterizzano la ristorazione italiana. Non a caso il tasso di sopravvivenza delle imprese indica che ad appena cinque anni dalla nascita cessano l’attività 4,6 imprese su 10 e non c’è differenza tra ristoranti e bar.
Il valore aggiunto della ristorazione è stimato, nel 2023, in oltre 54 miliardi di euro a prezzi correnti, con un incremento sul 2022 ma anche sul livello pre-pandemia (+3,9%) e una buona notizia arriva anche dalla ripresa dell’occupazione. Nel 2023 l’input di lavoro, misurato in unità di lavoro standard, ha superato la soglia di 1,2 milioni di unità, con un incremento dell’8% sull’anno precedente e del 2,3% sul 2019. Focalizzando l’attenzione sul solo lavoro dipendente, nel 2023 le oltre 165.000 aziende con almeno un dipendente hanno impiegato, in media d’anno, 1.070.839 lavoratori (6,4 unità per azienda), superando dell’8,1% il livello pre-pandemia (80.000 unità in termini assoluti). Si è dunque totalmente riassorbita l’emorragia dei contratti a tempo indeterminato, cresciuti di oltre 11.000 unità sul 2019 ed ampio appare il loro utilizzo nel settore (58,5%), quasi doppio rispetto ai contratti a tempo determinato (31,9%), mentre sono marginali i contratti stagionali (9,6%). Al di sotto della media nazionale è la produttività delle imprese di ristorazione: infatti, fatto cento il valore riferito all’intera economia, quello della ristorazione è pari a 59. Un gap che è spiegato, seppure in parte, da un duplice fattore e quindi il robusto utilizzo di manodopera da parte delle imprese del settore e la struttura produttiva fondata sulla micro e piccola impresa. A ciò va aggiunta, spiega ancora il Rapporto, la progressiva perdita di produttività di questi ultimi dieci anni: fatto cento il valore relativo al 2012, il dato per l’anno 2023 risulta inferiore di otto punti percentuali anche se fa ben sperare l’ulteriore recupero di tre punti avvenuto proprio nel 2023.
Un anno dove i prezzi dei servizi di ristorazione sono cresciuti in media del 5,8%, un decimo di punto al di sopra del tasso d’inflazione generale, anche se, tra i 27 Paesi dell’Unione, l’Italia ha avuto uno dei più contenuti aumenti dei prezzi nella ristorazione. E poi gli investimenti, fondamentali per stare al passo con le trasformazioni in atto sospinte dalle transizioni energetica, ambientale e dall’innovazione digitale e tecnologica. Nel 2023, un imprenditore su due ha effettuato almeno un investimento rivolto prevalentemente al rinnovo del parco attrezzature e al potenziamento degli strumenti digitali. Quasi la totalità di bar e ristoranti hanno adottato misure concrete per il controllo dei consumi energetici (tra gli altri, l’utilizzo di lampade al led, apparecchiature ad alta efficienza energetica) ed il rispetto dell’ambiente (alcuni esempi sono l’attenzione alla gestione dei rifiuti, utilizzo di prodotti locali e di stagione, lotta allo spreco alimentare). Più dell’80% delle imprese ha introdotto uno o più strumenti digitali (è il caso, per citarne alcuni, di rete wi-fi aperta, registratori di cassa evoluti, Pos di ultima generazione, software gestionali). Anche se consapevoli delle opportunità offerte dal digitale, il tempo dei robot, in sostituzione o accanto al personale di sala, non è ancora arrivato per gli operatori di questo mondo. Solo per il 19,3% degli imprenditori del canale dei ristoranti tale soluzione migliorerebbe l’immagine del locale e susciterebbe curiosità, facendo vivere al cliente un’esperienza di ristorazione innovativa; il 17,9% ritiene che migliorerebbe la velocità del servizio e ridurrebbe i tempi di attesa; residuale è la quota di imprenditori secondo cui, memorizzando i dati del cliente, verrebbe offerto un servizio più personalizzato (14,1%). In prospettiva, la metà degli imprenditori del canale bar e il 60% di quelli del segmento ristoranti dichiarano di avere in programma almeno un investimento nel 2024.
Nel complesso, i consumi alimentari in Italia sono stati (nel 2023) pari a 287 miliardi di euro, 195 miliardi di euro in casa e 92 miliardi di euro fuori casa. Un anno che ha segnato, quindi, la definitiva ripresa del mercato dei consumi fuori casa con una crescita nominale del +7% sul 2019. A prezzi costanti, tuttavia, questi consumi sono ancora sotto al livello del 2019 di sei punti percentuali. Di fronte all’inflazione, i consumatori non hanno ridotto i consumi fuori casa, ma hanno modificato le proprie abitudini cercando soluzioni più value for money o occasioni più di gratificazione che funzionali. Al contempo, sul mercato away from home, incidono la ripresa del turismo e la persistenza del fenomeno dello smart working. I dati rilevati nell’analisi continuativa Afh Consumer Tracking di TradeLab mostrano come nel 2023 siano state complessivamente realizzate 8 miliardi di visite nei luoghi del fuori casa: in particolare, nel confronto con il 2022, crescono gli aperitivi pre-pranzo (+7%) e serali (+5%), la colazione (+5%) e il pranzo (+3%). Rimane sostanzialmente stabile il numero di visite per cena (+1%), pausa mattutina (+1%) e pomeridiana (-1%), ma sono in calo quelle per il dopocena (-12%). Per l’occasione del pranzo incide quindi il recupero della componente lavoro e una parziale riduzione del fenomeno dello smart working; l’aperitivo ha tradizionalmente una valenza esperienziale e segna un recupero dei momenti di socialità, soprattutto per la generazione dei Millennials; la colazione è quella che ha subito meno l’impatto della pandemia, mentre il dopocena è ancora in difficoltà e soffre la mancanza di un target di frequentatori più giovani che, probabilmente, con la pandemia, ha cambiato in modo sensibile le proprie abitudini di consumo. Il processo di riduzione dell’inflazione è senz’altro la variabile macro-economica che segnerà maggiormente il 2024, condizionando anche il mercato della ristorazione. Gli operatori si troveranno di fronte alla scelta di mantenere i prezzi costanti, aumentando i margini, o diminuire i prezzi, puntando sui volumi.
Un altro trend rilevante per il settore è, a livello di offerta, la crescita del peso della ristorazione in catena, quasi raddoppiato nell’ultimo decennio. Le catene di ristorazione sono arrivate ad assorbire l’11% dei consumi delle famiglie in servizi di ristorazione, segnando quasi un raddoppio della loro quota rispetto al 2011. In un settore caratterizzato da elevata frammentazione (il 90% del mercato a valore è rappresentato da operatori indipendenti), le catene riescono a far leva su elevata dimensione e scalabilità per investire in marketing, offrire prezzi competitivi e adottare soluzioni digitali più avanzate rispetto agli operatori indipendenti. La scalabilità e la digitalizzazione offerte dalle catene hanno suscitato l’attenzione di numerosi investitori finanziari.
A livello di domanda, viene rilevata una crescente richiesta di offerte specializzate. La Generazione Z, ad esempio, è vicina a prodotti più semplici al posto di pasti tradizionali, in linea con uno stile di vita che fa della velocità la propria cifra distintiva. Inoltre, con la sostenibilità che è diventata sempre più centrale, cresce anche la domanda di prodotti locali, naturali e rispettosi dell’ambiente, e fornire prodotti “buoni per il pianeta” e salutari può diventare un requisito imprescindibile. Non va poi trascurato l’impatto sul settore determinato dall’evoluzione tecnologica, che continua ad aprire nuove frontiere per migliorare l’efficienza operativa e l’esperienza del cliente, a cominciare dalle possibili applicazioni dell’Intelligenza Artificiale (Ai) anche nelle imprese della ristorazione. Tra gli esempi, la traduzione automatica dei menù o dei siti web in diverse lingue, facilitando il servizio alla clientela internazionale, ma anche nella gestione di ordini, prenotazioni e consegne tramite un centralino intelligente oppure con la creazione di nuovi piatti o menù, favorendo l’innovazione e l’inclusione di nuove tendenze e preferenze alimentari. Nel lungo termine potrà invece essere impiegata per monitorare gli inventari in tempo reale e prevedere la domanda di determinati ingredienti, consentendo ai ristoratori di ottimizzare gli acquisti e ridurre gli sprechi oltre ad analizzare i dati dei clienti per consentire una personalizzazione più accurata dei menù e supportare l’ottimizzazione dei prezzi, utilizzando dati storici sulle vendite e le tendenze di mercato.
Il presidente della Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani, nella prefazione del Rapporto parla di “un bilancio positivo”, ma “se dall’osservare “quanto” consumiamo si passa a guardare con più attenzione “come” consumiamo, è possibile notare un costante e sensibile cambiamento degli stili di vita degli italiani, che si rivelano meno abitudinari che in passato e più consapevoli nelle scelte, che, per convinzione o per necessità, sono maggiormente orientate ad ottenere il cosiddetto “value for money”. Anche perché il “money” mediamente necessario per consumare fuori casa è diventato più alto: pur con molta prudenza (in alcuni casi, persino reticenza) da parte degli operatori, l’aggiustamento dei listini è stata una inevitabile conseguenza dell’aumento dei costi e dell’impennata dell’inflazione. Su tutto il territorio nazionale, si registra una crescita dei modelli più complessi di offerta (come il ristorante), mentre declina il canale bar, tradizionalmente più scelto perché gravato da minori complessità gestionali. Si va verso una strutturazione dell’offerta che vede contrarsi il numero delle imprese sul 2022: non per forza una cattiva notizia se questo significa un rafforzamento delle competenze e un aggiornamento dei format, visto che l’amplissima platea delle 332.000 imprese continua ad avere un tasso di imprenditoria femminile superiore alla media (il 29% del totale) e il 12,3% di giovani che decidono di mettersi in proprio. Certo, il turnover imprenditoriale nel nostro settore continua a rappresentare un punto di domanda rispetto alla qualità e alla professionalità di chi si dedica a questo mestiere e un fenomeno tutto da approfondire rimane quello dell’imprenditoria straniera (che nel settore raggiunge e ormai supera il 14%) ed esprime alcune eccellenze, ma anche alcune forme di autoimpiego di necessità”.

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