Non solo pizza con i “pepperoni” o spaghetti con meatballs che, purtroppo, continuano a rappresentare la tavola italiana nel mondo. A far rabbrividire gli italiani sono anche i souvenir enogastronomici che i milioni di turisti che ogni anno visitano il Belpaese da tutto il mondo, amano, e tanto, portarsi a casa, tra grembiuli che raffigurano i monumenti italiani, mestoli floreali, peperoncini da appendere e pasta tricolore. Con ancora davanti agli occhi l’immagine della bandiera italiana che sventola sulle note dell’Inno di Mameli, per la Festa della Repubblica del 2 giugno, l’opinione pubblica è tornata a riflettere sull’importanza e la forza dei simboli del made in Italy (come ha fatto, su “Il Sole 24 Ore” il giornalista Luca Cesari, a partire proprio dalla pasta bianca, rossa e verde, e dalla forza evocativa del tricolore). Questo avviene in ogni Paese, ovviamente, ma in Italia è naturale che il dibattito su quanto siano kitsch i souvenir riguardi anche il cibo, soprattutto in tempi in cui la cucina italiana è candidata all’Unesco. Un riconoscimento che sbandieriamo ai quattro venti, e che potrà contribuire ad arginare anche il fenomeno dell’Italian sounding che vale 60 miliardi di dollari, quanto l’intero export agroalimentare italiano. Del quale, si sa, la pasta è forse il simbolo più famoso, ma in versione tricolore agli italiani proprio non va giù.
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