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I NUMERI

Il vino italiano in Gran Bretagna tiene e vale 891 milioni di sterline: “fenomeno” Prosecco

I dati dell’Italian Trade Agency, nella masterclass dei Grandi Marchi del Vino, di scena a Londra, guidata da Patrick Schmitt (“The Drinks Business”)
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Il Regno Unito è un mercato tra i più importanti per il vino italiano

Secondo importatore mondiale di vino in volume e valore (dietro gli Usa, ndr), con oltre 1,6 miliardi di bottiglie di vino importate nel 2023, quasi 200.000 posti di lavoro garantiti lungo tutta la catena di approvvigionamento, grazie anche ai 440 milioni di litri importati sfusi e imbottigliati nei confini nazionali, il Regno Unito è un mercato chiave per il commercio globale del vino, compreso quello italiano. Tanto che ai vini delle cantine top del Belpaese è stato dedicato un focus all’One London Wall nella capitale inglese, dove è andata in scena l’esclusiva masterclass alla scoperta delle prestigiose etichette dell’Istituto Grandi Marchi (da Folonari ad Antinori, da Argiolas, a Ca’ del Bosco, da Carpenè Malvolti a Donnafugata, da Jermann a Lungarotti, da Masi a Chiarlo, da Pio Cesare a Tasca d’Almerita, da San Guido a San Leonardo, ad Umani Ronchi, tra gli altri), tutte dell’annata 2004, guidata da Patrick Schmitt, Master of Wine e caporedattore “The Drinks Business”: un appuntamento, organizzato da Iem di Marina Nedic & Giancarlo Voglino, che ha confermato il crescente appeal di cui i vini premium italiani godono nel mondo, tanto per la qualità enologica quanto per stile e identità. Un evento che ha incluso il walk-around tasting, con la partecipazione di oltre 200 operatori del trade. L’evento istituzionale è stata l’occasione per ripercorre il percorso dei vini premium italiani, tra i grandi successi raggiunti e le prospettive future, riflettendo sull’importanza della divulgazione della cultura del vino. Londra (colonna portante dei mercati internazionali e tra i primi hub al mondo per il business del vino), si può considerare una vetrina straordinaria per tutto ciò che evoca: stile, pregio, esclusività. Un evento che ha segnato anche il rinnovarsi della collaborazione tra i Grandi Marchi del Vino d’Italia e l’Institute of Masters of Wine: una liaison, iniziata 14 anni fa, basata sul sentimento comune di costruire un futuro dell’enologia italiana ancora più radioso, con al centro la cultura, il territorio e l’educazione al consumo che costituiscono lo stile inconfondibile del vino tricolore e di chi lo racconta.
Tornando al mercato, come riporta l’Italian Trade Agency (Ita), nel 2023, il settore dei vini e delle bevande alcoliche ha registrato un valore pari a 23,7 miliardi di sterline (28 miliardi di euro) negli scambi off-trade e on-trade, +3% rispetto ai valori pre-pandemici di quattro anni fa ma con i volumi di vendita che sono diminuiti del 6% sul 2019 e quindi scesi a 11.943 mila ettolitri. La quota maggiore è per le vendite off-trade con 12,6 miliardi di sterline, tra cui 7,7 miliardi riconducibili al vino e 4,9 miliardi agli spirits, mentre i restanti 11,1 miliardi di sterline provengono dalle vendite on-trade, suddivise in 7,6 miliardi di spirits e 3,5 miliardi per i vini. Il calo dei volumi c’è stato ed è riconducibile a vari fattori, tra cui una crescente tendenza a consumare meno alcool, (un fenomeno ormai globale, ndr) con la clientela che paga di più poiché il valore del vino fermo è aumentato in seguito alle modifiche delle accise. Tutto questo senza dimenticare che il tasso di inflazione dell’alcol è il doppio dell’inflazione complessiva, a causa dell’aumento delle accise. Tuttavia, la sottocategoria degli analcolici/bevande a basso contenuto alcolico, continua a crescere e, non a caso, nella valutazione del livello complessivo dell’on-trade, la birra (-1%) ed il sidro (-1%) hanno registrato il calo minore, grazie anche al loro prezzo inferiore, al contrario dello champagne (-19%) e dei ready-to-drink (-19%). In calo anche i vini fortificati (-14%) ed i superalcolici (-11%). Il volume delle vendite di vino fermo è sceso, invece, del 3% ed è rimasto stabile in termini di valore. Nonostante il recente declino dello Champagne, gli spumanti hanno registrato una crescita marginale (+1%), mentre la categoria degli analcolici/bevande a basso contenuto alcolico, pur con un peso minore, continua a crescere (+27%).
Un mercato, quello del Regno Unito, decisamente importante anche per l’Italia: le esportazioni di vino, nei primi tre mesi 2024, hanno visto la Gran Bretagna importare, da gennaio a marzo, 170,7 milioni di euro con un incoraggiante +7,8% nel confronto dei dodici mesi, in un arco di tempo che ha, invece, visto scendere partner storici, e comunque solidi, come Germania e Francia . Data la limitata produzione locale, la Gran Bretagna importa vini da tutto il mondo. Nel 2023, i vini italiani e neozelandesi, sono stati gli unici tra quelli dei primi dieci Paesi a godere di una crescita del volume, pari, rispettivamente, al 5% e 6%. I vini provenienti dagli Stati Uniti hanno registrato il calo maggiore, il 13% in volume rispetto ad un anno fa e il 32% rispetto a quattro anni fa. Nelle ultime dodici settimane del 2023, i vini provenienti da Italia, Francia e Nuova Zelanda hanno registrato i maggiori aumenti di volume tra i primi 10 paesi d’origine per il ramo off-trade, mentre i vini di Spagna e Sudafrica hanno registrato le maggiori perdite.
Guardando ai numeri del vino italiano in Gran Bretagna, nel 2023 ha raggiunto un valore di 753,4 milioni di sterline (pari a 891,1 milioni di euro), stabile sul 2022 (-0,99%), dietro soltanto alla Francia (1,35 miliardi di sterline). Con 236,5 milioni di litri, il Belpaese è in testa per i volumi davanti all’Australia (che è, invece, in testa per i vini fermi), ma perde l’8,8% nel confronto sui dodici mesi. Se andiamo a “scorporare” il dato in valore, il vino fermo, nel 2023, ha toccato quota 391,5 milioni di sterline (463 milioni di euro), sui livelli del 2022 (-1%) e lontano dalla Francia che, nell’ultimo anno, ha fatto meglio (+4%) del precedente, con 855,2 milioni di sterline. Giù anche la quantità in litri (-7,6%) dove l’Italia con 144 milioni di litri è dietro soltanto all’Australia.
Per i vini bianchi, la quantità è in ribasso per le regioni italiane più importanti nel mercato del Regno Unito, ma spicca il dato del Veneto che fa la “parte del leone” con 49,2 milioni di sterline in valore (oltre 58 milioni di euro, +6%) e 22,6 milioni di litri importati (-5,49%). Tra i rossi la Toscana si conferma la regione regina con 6,2 milioni di litri (-6,84%) pari a 48,2 milioni di sterline in valore (oltre 57 milioni di euro, +3%). Il calo quantitativo, come nei bianchi, interessa le regioni principali e, quindi, anche il Veneto (4,8 milioni di litri, - 5,46%) che, però, cresce in valore con 21,4 milioni di sterline (+6,2% pari a 25,4 milioni di euro). Il Piemonte con 28,4 milioni di sterline (33,6 milioni di euro, -3,7% sul 2022) è dietro alla Toscana in valore, mentre per il quantitativo di litri (-10%) è dietro alla Sicilia (2,18 milioni, -6,5%) che cresce del 2,9% in valore (6,3 milioni di sterline pari a 7,4 milioni di euro). Per il Prosecco, autentico “fenomeno” di successo in Gran Bretagna, l’import totale, riportato dall’Italian Trade Agency, è di 415,8 milioni di sterline (491,5 milioni di euro, +6,33%) per 105,8 milioni di litri (-4,33%).
Nel Regno Unito, l’Italian Trade Agency identifica due tipologie di operatori economici che importano vino dall’Italia: le società che trattano prevalentemente produzioni tipiche italiane e le società che trattano vini provenienti da più Paesi
. Il primo gruppo ha una forte presenza di imprenditori di origine italiana e nasce e si sviluppa nei servizi di approvvigionamento per la ristorazione del nostro Paese. Del secondo gruppo fanno parte le società inglesi che forniscono vini internazionali al settore horeca ed alla grande distribuzione. Ma la distinzione va assottigliandosi per la pressione competitiva nel canale on-trade, del passaggio generazionale nel controllo delle maggiori società d’importazione e della crescente finanziarizzazione e managerializzazione delle attività di import-export. Internet e le trasformazioni delle filiera logistica/trasporti hanno spinto la crescita in Gran Bretagna di nuove figure di intermediari che acquistano dai produttori italiani, con ordini di piccole-medie dimensioni, e vendono direttamente ai consumatori inglesi, oltre che agli esercizi del canale On-Trade.
La maggioranza delle vendite di vino (oltre l’80%) avviene tramite i punti vendita al dettaglio (“off-trade”), mentre il rimanente viene venduto da bar, ristoranti ed alberghi (“on-trade”). Per i comportamenti dei consumatori, il 95% di questi ricorre regolarmente all’acquisto in Gdo. La crescente disintermediazione in atto del panorama commerciale spinge numerosi operatori economici tradizionali ad entrare nel commercio online per aumentare la clientela ed acquistare direttamente dai produttori anche in Italia. I nuovi distributori online di vino puntano spesso su una forte caratterizzazione geografica o settoriale (annata, vini biologici o da collezione) ed anche per gli importatori/grossisti, come per i buyer della grande distribuzione organizzata, prevale l’esigenza di disporre di vini che garantiscano un’elevata rotazione e che rispondano rapidamente ai gusti emergenti del mercato. Visitando i siti di numerosi operatori del settore, riporta ancora l’Italian Trade Agency, non mancherà una ricca scelta di Pinot Grigio, Chianti, Pinot Nero, disponibili in diverse fasce di prezzo. E, allo stesso tempo, si trovano sempre più spesso numerose referenze provenienti dalle regioni del Sud Italia.

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