Dopo la fine della stagione estiva, storicamente fertile e trainante per il mercato del vino nel fuoricasa, grazie anche al flusso del turismo, è tempo di un primo bilancio per il settore alle prese con un 2024 non indimenticabile, ma che tutto sommato, anche in vista di una fine anno che è storicamente decisiva con le varie festività, resta solido. Di certo i problemi che hanno caratterizzato l’anno sin dal suo inizio non se ne sono andati, o comunque restano in misura diversa, dall’inflazione che “pressa” le tasche dei consumatori e quindi un potere di acquisto eroso, il salutismo, una certa perdita di interesse per il prodotto vino da parte delle nuove generazioni, la questione dei ricarichi dei ristoranti che non sempre trova un equilibrio soddisfacente per i consumatori, le tensioni internazionali che incidono anche sul mercato. Finito il grande slancio dell’immediato post-Covid, con la voglia di ripartire e un contesto fertile per i consumi, la situazione sembra ritornare al periodo precedente la pandemia, ma con le dovute differenziazioni tra zone e prodotto. Qualche notizia “rassicurante” non manca, pur con una prudente cautela in fatto di aspettative, come la cifra di 4,6 miliardi di euro per l’export del vino italiano nei primi 7 mesi 2024, +4,1% sullo stesso periodo 2023, come emerge dai dati Istat, analizzati da WineNews, ma il contesto resta non semplice, in evoluzione.
Venendo alle singole tipologie, nel fuori casa, i primi 6 mesi 2024 hanno registrato una fase di flessione dello Champagne (che potrebbe, comunque, tornare a crescere con l’avvicinarsi del Natale), un interesse solido per i vini bianchi ma anche qualche timido segnale di ripresa per i rossi, sovente dati come in declino. Con i territori ed i brand più celebri e affidabili che vanno meglio degli altri. Quella che ci troviamo di fronte, è, comunque, una panoramica complessa, come emerge anche dalle interviste WineNews ai vertici di quattro delle più importanti realtà della distribuzione di alta gamma in Italia, come Marcello Meregalli, alla guida del Gruppo Meregalli (con marchi prestigiosi come Tenuta San Guido, Argiolas, Speri, Oddero, Nino Franco, Badia a Coltibuono, Ciacci Piccolomini d’Aragona ma anche big di Francia e non solo come Domaines Barons de Rothschild, Penfolds, Bollinger, Francis Ford Coppola Winery, tra gli altri); Carlo Alberto Sagna, ai vertici di Sagna (distributore, tra gli altri, del vino mito di Borgogna in Italia, Domaine de la Romanée-Conti, e di un’altra icona d’Oltralpe per lo Champagne come Louis Roederer, ma anche di nomi top di Bordeaux come Chateau Margaux e Chateau Palmer, Cheval Blanc, Petrus, e griffe italiane come Secondo Marco, Palmento Costanzo, Mamete Prevostini, Canalicchio di Sopra e Querciabella, tra la altre); Alessandro Sarzi Amadè che con la Sarzi Amadè distribuisce in Italia tanti top brand della Gironda (e quindi nomi come Lafite Rothschild, Latour, Margaux, Lynch-Bages, Petrus, Angelus, Cheval Blanc e Yquem, per citarne alcuni, ma anche chicche italiane come Benanti, Castello di Bolgheri, Monteraponi, Porderi Aldo Conterno, passando per il mito di California, Opus One); Luca Cuzziol, alla guida di Cuzziol Grandi Vini (con brand italiani come Pala, Pietradolce, Frecciarossa, Biancavigna, Elio Ottin, Parusso, Sartarelli, Ridolfi, e francesi come Bruno Paillard, Alain Goeffroy, Comte Armand, Hendi Boillot, Domaine de La Chappelle e non solo) e presidente della Società Excellence, che riunisce 21 importanti nomi del settore,, come Pellegrini, Balan, Sarzi Amadè, Vino Design, Teatro del Vino, Proposta Vini, Bolis, Les Caves de Pyrene, Premium Wine Selection Pws, Ghilardi Selezioni, Visconti 43, Première, Agb Selezione, Apoteca, Ceretto Terroirs, Philarmonica, Spirits Colori e ViteVini, oltre a quelli già citati, per un fatturato complessivo di oltre 330 milioni di euro per 23,5 milioni di bottiglie vendute nel 2023 (e pronta a lanciare il suo “salone dei distributori”, come raccontato qui da WineNews).
Nel fuoricasa, che è il segmento dal maggior valore aggiunto del mercato del vino, per Carlo Alberto Sagna, “dopo gli anni di euforia del post-Covid, dove nessuno si aspettava che ci sarebbe stata una risposta così pronta, immediata, e, da un certo punto di vista, anche eccessiva rispetto a quello che erano i consumi pre-Covid, allo stesso tempo noi ci aspettavamo, soprattutto nella seconda parte del 2023, di vedere una normalizzazione, una maggiore cautela da parte del mercato, i segnali c’erano. Quella che è stata importante è la reattività del mercato ma, nel 2024, si è visto un generale rallentamento di quelli che sono i consumi. I motivi sono, come sempre, molteplici: dall’inflazione, che ha colpito tutti i reparti, dei beni di consumo e dei beni non di consumo, e che hanno impattato la nostra vita e la capacità di spesa. Le brutte notizie internazionali, i tassi di interesse, gli stock di magazzino dei nostri clienti, di noi stessi, che chiaramente erano aumentati molto dopo una richiesta fortissima del mercato, e quindi una nostra necessità di essere sempre preparati ai possibili picchi di domanda. Adesso vediamo il ritorno a dei trend più simili a quelli del periodo post-Covid. Poi, parlo per la nostra azienda, dove cerchiamo sempre di prendere come riferimento il nostro miglior anno, e quindi il precedente, sia soprattutto in termini di fatturato ma anche di volume, e l’abbiamo chiuso molto simile al 2022. Quest’anno, sicuramente, ci sono molte più difficoltà, trasversali, ma non solo italiane, anche europee e mondiali. Sono pochi i mercati in cui sappiamo con certezza che si può parlare di un 2024 con saldo positivo a fine anno”. Positiva, nel complesso, la valutazione di Alessandro Sarzì Amadè: “personalmente mi devo considerare soddisfatto del momento attuale, nonostante la situazione non sia brillantissima e non del tutto tranquillizzante, però i risultati attuali che segnano indicativamente un pareggio rispetto all’anno precedente, che già era stato anno record per noi, mi fanno ritenere soddisfatto. Quindi probabilmente la tipologia della distribuzione, la nostra forza di offrire un catalogo ampio con grande varietà e grande servizio sta aiutando molto”. Marcello Meregalli, invece, sottolinea come “l’inizio dell’anno sia stato sicuramente complicato, soprattutto febbraio. Eravamo tutti a Wine Paris e ci guardavamo in faccia, a causa di due settimane di stop totale, ma non solo in Italia, anche in Francia e altrove. La primavera piovosa da noi non ha sicuramente aiutato, ma per fortuna il consumo del fuoricasa ha continuato ad esserci; l’estate è stata corta, ma quello che doveva recuperare lo ha recuperato abbastanza bene, mentre settembre e ottobre sono stati buoni. Probabilmente stiamo tornando, come flusso dei consumi, al pre-Covid, ci siamo abituati bene negli anni post-Covid quando nel primo semestre andavano esauriti quasi tutti i prodotti, e invece adesso si sta tornando un po’ ai livelli del 2019. Ci aspettiamo un secondo semestre, soprattutto per le bollicine, più importante del primo”. Secondo Luca Cuzziol, ancora, “il 2024 è un anno complicato, è inutile negarlo, però è altrettanto vero che le nostre aziende, soprattutto le aziende di distribuzione, hanno target di vendita ad oggi in positivo, e quindi nonostante la contrazione generale dei consumi, stiamo performando abbastanza bene”.
Riguardo alle tipologie di prodotto e di territori italiani, e non solo, che stanno funzionando meglio in questi mesi, anche in vista della fine dell’anno, momento sicuramente “cruciale”, Sagna spiega che “dal punto di vista della nostra azienda abbiamo delle situazioni un po’ differenti nelle varie parti d’Italia, perché negli ultimi anni abbiamo investito molto sulla forza vendita ampliando il numero di agenti. Crediamo molto nella capillarità, sebbene abbia un costo, e quindi di essere presenti su tutto il territorio. L’importante è essere ovunque nei posti giusti, questa è un po’ la nostra filosofia. Adesso il trend italiano è abbastanza simile, abbiamo una buona risposta da città come Milano, sebbene nei primi sei mesi dell’anno è una delle città che ha sofferto maggiormente. ma vediamo un buon recupero, come nel Nord Italia in generale. Anche il Centro ha una buona tenuta, Roma soffre maggiormente, nel Sud Italia, anche nell’Est, vediamo qualche sofferenza, però nel nostro caso avevamo avuto un exploit di volumi veramente importante al Sud, da Napoli in giù, che sapevamo avrebbe avuto un termine con il ritorno ad una normalizzazione. Non siamo preoccupati, siamo cauti e attenti a quello che succede nel mercato, cerchiamo di non lasciare il percorso che è stato tracciato dai nostri predecessori. E crediamo nel mercato italiano. Siamo fortunati, lo ripetiamo sempre ai nostri fornitori, perché ha una grande potenzialità, che sono le famiglie. Il nostro è ancora uno dei pochi mercati al 99% composto da famiglie, non da catene di ristoranti e enoteche, sono quasi tutti nomi e attività indipendenti e questo è fondamentale, una ricchezza incredibile. Ma comporta anche difficoltà, che possono essere di sostegno economico, di impegno da parte dei distributori nel dover servire un numero enorme di clienti per generare volume. Ma allo stesso tempo, ripeto, è una grande ricchezza”. “La nostra clientela, in questo momento, ha bisogno di certezze, di sentirsi tranquilla – aggiunge Alessandro Sarzì Amadè - quindi stanno funzionando soprattutto le denominazioni tradizionali, classiche, consolidate, i brand un po’ più affermati e quindi il Piemonte, la Toscana, l’Alto Adige, certe zone della Sicilia. Un po’ più di fatica la fanno le aziende nate ultimamente, le denominazioni meno importanti e con meno reputazione, ma questo lo riscontriamo in ogni momento di crisi”. E un po’ a sorpresa, però, “vediamo bene un ritorno dei rossi - sottolinea Marcello Meregalli - che hanno sofferto un po’ all’inizio dell’anno. Di solito il rosso più importante ha un target di prezzo di uscita un po’ più alto rispetto ai bianchi, quindi magari non era solo una questione di consumo ma di spesa. Come trend futuro, però c’è sicuramente il vino bianco, stiamo vedendo che sta crescendo, c’è ricerca di grandi bianchi, anche italiani: probabilmente in futuro vedremo un po’ di produttori che andranno a fare qualche bianco più importante, siamo anche noi a richiederlo. Sul discorso “no alcol”, “low alcol” - continua ancora il distributore - ci stiamo anche noi interrogando ma abbiamo deciso di prendere la strada del “low alcol”, con alcuni produttori, soprattutto su quella fascia di prodotti più giovani, le bollicine, alcuni bianchi e rossi da consumo quotidiano, e usciremo con una serie di prodotti attorno ai 9 gradi, vogliamo fare questa mini nicchia di mercato. Lo zero alcol per il momento non lo vediamo ancora così legato ad un mondo del vino più classico”. Riguardo ai territori del vino, ancora, Luca Cuzziol ha evidenziato, come “è indubbio che Bolgheri con 1.300 ettari, come l’Etna con 1.100, soffrono sicuramente meno del Chianti Classico in generale, che ha una superficie più ampia, per esempio. Però di fatto tutti i vini che sono territoriali, ben marcati e soprattutto gestiti bene, reggono bene il mercato. Per la parte estera il discorso è simile, ad eccezione del fatto che, dove ci sono dei prezzi troppo alti o c’è stata una speculazione, c’è decisamente una certa contrazione”.
Capitolo Champagne, “icona” mondiale che sta attraversando una fase delicata, come emerso dalla “Modena Champagne Experience” dei giorni scorsi, Sagna sottolinea che il celebre spumante francese “è quello che ha beneficiato maggiormente del rilancio del dopo Covid, ma che adesso sta soffrendo un po’ di più. Allo stesso tempo, se guardiamo i volumi pre-Covid, siamo per fortuna in saldo ancora positivo, non dimenticandoci però che il prezzo medio a bottiglia è nettamente più elevato rispetto a quello che era il mercato pre-Covid. L’interesse c’è ancora, chiaramente ci deve essere un po’ più di razionalità da parte del mercato nella selezione dei prodotti, degli assortimenti, dei prezzi, di proposta al pubblico. Quello che si vede è che adesso sono circa 220 le maison importate e circa 400 i vigneron, più dieci-venti cooperative, rispetto a dieci anni fa quando erano più o meno la metà. Quindi si parla di un mercato estremamente più frammentato rispetto al passato, la torta è sempre la stessa ma divisa in molte più fette e bisogna essere consapevoli di questo cambiamento, un cambiamento che c’è stato ma che probabilmente continuerà nel futuro, “rinormalizzandosi” sui prodotti che sono riusciti a dare in questi anni più continuità e più consistenza sia in termini qualitativi che quantitativi”. “Lo Champagne subisce una flessione che, probabilmente, è anche figlia del grande exploit post-Covid - conferma Sarzì Amadè - che ci auguriamo sia momentanea, una flessione che si limiti, appunto, a questo leggero calo. Continuiamo ad essere un Paese di riferimento per lo Champagne. Ovviamente il fine anno è molto importante, siamo ottimisti, abbiamo speranza che si ripeta quello dell’anno scorso, dove comunque c’è stata una buona ripresa in un anno non brillantissimo, però chiuso in positivo. Le speranze ci sono, gli italiani amano lo Champagne e se non sarà per questo fine anno, già dal prossimo ci riprenderemo”. Meregalli ricorda come “lo champagne ha fatto un primo semestre decisamente indietro, noi abbiamo la fortuna di distribuire Bollinger, che è un marchio mondiale e che funziona bene: a fine settembre, ma vedo anche i dati di ottobre, siamo sopra non solo in fatturato ma anche in quantità, rispetto ad un 2023 record. Bene anche i Rècoltant, che l’anno scorso hanno sofferto un po’ di più sul finale d’anno, ma adesso stanno funzionando, forse grazie al prezzo e forse grazie al fatto che sono un po’ più aggressivi commercialmente, mentre nel caso nostro abbiamo una maison, che è Ayala, che è quella che ha sofferto di più nel primo semestre, ma sta recuperando adesso, anche se non crediamo però che vada a pareggiare il record del 2023. La fascia media è quella che un po’ sta soffrendo in questo momento, in generale”. Infine, Cuzziol fotografa un 2024 per lo Champagne che “è arrivato all’estate in grande difficoltà e adesso sta recuperando. Il contesto è sempre il solito, le marche che si difendono meglio sono quelle che hanno fatto un lavoro di fondo, chi invece ha usato la speculazione, magari degli ultimi due anni, sta soffrendo un po’ di più”.
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