Dai paesaggi vitivinicoli del Piemonte, Langhe-Roero e Monferrato alle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, dalla vite ad Alberello di Pantelleria ai muretti a secco di Valtellina, Valpolicella e non solo. Tesori conosciuti in tutto il mondo grazie anche alla viticoltura e, di riflesso, all’ingegno e alla lungimiranza dell’uomo che ha saputo tutelare quanto di buono madre natura ha donato e le generazioni precedenti hanno gestito e mantenuto. In Italia non mancano i vigneti da cui nascono quei vini iconici che, oltre ad offrire una straordinaria opportunità di assaggio, mostrano come la loro esistenza sia un ottimo esempio di valorizzazione del paesaggio. Di come “Raccontare il paesaggio. Conoscere e valorizzare la biodiversità italiana” si è parlato, ieri, a Slow Wine Fair 2025 a BolognaFiere, un’occasione in cui i produttori di vino si sono raccontati nel loro “ruolo” di custodi del paesaggio.
Un incontro guidato da Leandro Ventura, direttore Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, con Giacomo Miola, vice presidente Consiglio direttivo Slow Food, Federico Scarzello dell’azienda Scarzello, a Barolo, che ha portato la propria testimonianza dalle Langhe, così come Nicola Merotto della Siro Merotto, per le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, e Nanni Cucchiara, coordinatore regionale Slow Wine Sicilia, per Pantelleria. Una viticoltura che vale come un tesoro ed è un presidio di identità per le colline, ma che, quando il paesaggio diventa un fenomeno universale, chi lo vive è chiamato ad agire con cautela e precisione per evitare il fenomeno dello snaturamento.
Come spiega Ventura, a WineNews, “la viticoltura è una pratica tradizionale che si basa su dei saperi che vengono continuamente rinnovati però devono farlo in una forma che sia rispettosa dell’aspetto paesaggistico. Ci sono tanti casi in cui l’intervento dell’uomo è stato importante perché si sono mantenute le tradizioni e la produzione vinicola conservando anche il paesaggio. Sono tutti aspetti fondamentali per comprendere come il ruolo e il suo rapporto con l’ambiente passi necessariamente attraverso i saperi agricoli e agro-pastorali in generale”.
Per Giacomo Miola, “il paesaggio è estetica e per Slow Food anche etica, due aspetti che si fondono”. La biodiversità va salvaguardata a livello collettivo e quindi “il racconto che dobbiamo fare deve essere più circolare che lineare, serve coinvolgere e lavorare sulla comunità, che non è scontato, ma noi lo stiamo facendo con risultati interessanti”.
Il paesaggio può portare ricchezza e far accendere le luci dei riflettori su un territorio che non è scontato possa reggere i grandi numeri del turismo di oggi. Il rovescio della medaglia è il fenomeno “overtourism” che è molto delicato da affrontare. Per Federico Scarsello “il riconoscimento Unesco ha aiutato le Langhe in quanto ad attrattività turistica. Siamo un territorio plasmato dall’uomo, senza la sua mano non ci sarebbe tutto questo. Ma dobbiamo avere buon senso e la sensibilità di rispettare quello che abbiamo. Nelle Langhe si viene per godere di un paesaggio unico e per una gastronomia che ha pochi eguali al mondo. Il territorio è cambiato, dobbiamo curare e mantenere il paesaggio e l’identità per non correre il rischio di snaturarci. Ci stiamo ragionando insieme e anche questo è importante”.
I paesaggi riconosciuti dall’Unesco, ma non solo, “fanno gola” ai visitatori di tutto il mondo, la sfida è quella di essere aperti, ma restando uguali, tutelando, come ha spiegato bene Nanni Cucchiara parlando di Pantelleria, quel “fulcro di biodiversità” che è rigogliosa nell’isola siciliana, dove si sente il profumo delle pesche passeggiando nei vigneti. Perché la biodiversità, anche nelle Colline del Prosecco Docg di Conegliano e Valdobbiadene dove nascono le bollicine che fanno brindare il mondo, ha sottolineato Nicola Merotto, “sta nel mettere i paletti. Ci sono zone dove si può coltivare ed altre no. Senza biodiversità non si può fare agricoltura”.
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