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LA RIFLESSIONE

Per fare un buon vino serve la conoscenza. Che lega, e non contrappone, tradizione e innovazione

Il messaggio del convegno by Vinidea, a Verona, nel quadro di Enoforum, con la regia di Onav e case history di Pojer e Sandri, Balbiano e Al-Cantàra
AL CANTÀRA, CANTINA BALBIANO, CONOSCENZA, ENOFORUM, INNOVAZIONE, ONAV, POJER E SANDRI, TRADIZIONE, VERONA, VERONAFIERE, Italia
Per fare un buon vino serve la conoscenza, il messaggio di Onav ad Enoforum

Dietro a un vino ci sono ricerca e sperimentazione, prove, test in vigneto e in cantina, che creano un circolo virtuoso per realizzare prodotti eccellenti da ogni punto di vista, da quello organolettico, a quelli della sicurezza e della sostenibilità ambientale. Una realtà sconosciuta ai più che si “nasconde” dietro l’etichetta e che almeno ai consumatori appassionati bisognerebbe saper raccontare in maniera semplice e divulgativa, basata non sulla suggestione, ma sulla comunicazione dell’affascinante fisiologia della vite e della biochimica dell’enologia. Un obiettivo particolarmente importante per infrangere l’antitesi che in molti vedono tra innovazione e tradizione. Tema discusso fin dall’antichità: Lucio Anneo Seneca tra il 62 e il 65 d.C. nelle Lettere a Lucilio scriveva: “la natura ci ha dato i semi della conoscenza, non la conoscenza stessa”. Troppo spesso, la narrazione verso il consumatore, infatti, è orientata a convincerlo che la qualità nasca dal fare meno possibile in vigneto e in cantina ignorando il ruolo essenziale della conoscenza. Conoscenza apprezzata in tutti i campi che, per qualche arcano motivo, nella divulgazione del vino stenta ad essere riconosciuta, tant’è che l’applicazione della scienza e l’utilizzo di sistemi avanzati viene spesso demonizzato. Riflessione al centro del convegno-degustazione “I vini della conoscenza”, organizzato da Vinidea, con la regia di Onav - Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino, in collaborazione con Enoforum, nell’edizione n. 25 della conferenza internazionale dedicata alla vitivinicoltura, per la prima volta nei giorni scorsi a Verona, a Veronafiere.
Un format particolare che ha raccontato - dalla teoria al bicchiere - quella che Gianni Trioli, presidente di Vinidea, società organizzatrice Enoforum, ha rappresentato come una filiera che parte dalle università e dagli enti di ricerca, passa dalle aziende che trasformano i risultati scientifici in strumenti di produzione per trasferire l’innovazione nella pratica a produttori “pionieri” che la testano e la adottano per produrre i loro vini. Ultimo, ma non per importanza, il ruolo di quelle organizzazioni che sono il ponte verso operatori e wine lover quale è l’Onav che - come ha ricordato il suo direttore Francesco Iacono, moderatore dell’incontro - “fa didattica a livelli tecnici evoluti per interessati professionalmente al vino e appassionati. Il consumatore che vuole avvicinarsi al mondo del vino - ha raccontato Iacono a WineNews - chiede maggiore specificità nella conoscenza. Non si accontenta più di capire semplicemente se un vino è buono o no, come avveniva 20-30 anni fa. Oggi chiede di conoscere il perché un vino è più o meno profumato o strutturato, per quali motivi, ci sono più curiosità, c’è più domanda di conoscenza”.
Una buona notizia, una iniezione di fiducia per il superamento dell’antitesi tra approccio scientifico e non convenzionale confutata nel corso dell’incontro veronese. A “demolirla” per primo Mario Pojer, produttore trentino poliedrico e geniale, che nella sua vita, con il socio Fiorentino Sandri, ha costantemente innovato, studiando a fondo la tradizione, fino a proporre non solo vini che definire nuovi è limitativo, ma anche brevetti di macchinari enologici. Un percorso partito 50 anni fa dopo il diploma, con soli 2 ettari di Schiava a Faedo (Trento), “la sfiga di non essere in Piemonte, tanta fantasia e voglia di viaggiare per conoscere e fare due vendemmie all’anno”, ha raccontato Pojer. E poi visione e anticipazione delle tendenze. I vitigni Piwi resistenti - piantati con 4 anni di anticipo nel 2009, quando non erano autorizzati, con l’“alibi” della distillazione - che “hanno portato alla realizzazione del sogno di fare un vino senza chimica, né in vigneto né in cantina. Un vino oltre il biologico, nato grazie al recupero della tradizione dei vini “col fondo”, in quegli anni quasi dimenticata, reinterpretata enologicamente con strumenti innovativi”. Prima annata la 2013, “ZERO infinito” - nome suggerito da Francesco Arrigoni, giornalista del “Corriere della Sera” prematuramente scomparso, che fece anche lo schizzo dell’etichetta - è un rifermentato in bottiglia secondo il “metodo ancestrale”, che grande successo ha avuto negli anni recenti. “All’epoca - ha ricordato Pojer - erano rimasti in pochi a conoscere questo metodo usato in passato. Allora siamo andati a parlare con i novantenni nell’area storica del Prosecco, ad approfondire la produzione del Lambrusco di Sorbara, a recuperare alcune tecniche utilizzate per la produzione del Moscato d’Asti. Abbiamo quindi messo a punto un processo ad hoc, radicato nella tradizione e rivisto applicando nuove tecnologie, e siamo riusciti a produrre un vino, partendo da una varietà resistente, che ci ha dato e continua a darci molte soddisfazioni in particolare in Giappone e in altri Paesi dell’Oriente”. Infine Pojer ha sottolineato come senza conoscenze sia impossibile ottenere vini “col fondo” di qualità soddisfacente.
Altro esempio di vino che ha raggiunto livelli qualitativi eccellenti grazie alle moderne tecniche analitiche, messe a disposizione dalle aziende costruttrici di strumenti di analisi, è la Freisa. “La conoscenza e la quantificazione dei diversi antociani dislocati nella buccia e nei vinaccioli della Freisa - ha spiegato Luca Rolle, docente di Enologia dell’Università di Torino - ha permesso di evitare le ossidazioni del colore a cui questa varietà è soggetta.
La conoscenza del profilo tannico e la possibilità di separare e assaggiare le molecole singolarmente, ha consentito di evitare l’estrazione dell’amaro, dovuto alle molecole più piccole contenute nei vinaccioli. Quindi, in collaborazione con l’azienda Balbiano è stato possibile mettere a punto un protocollo di vinificazione per ottenere una Freisa di Chieri equilibrata”. “La Freisa è un vitigno paradigmatico di ciò che si può ottenere con la ricerca - ha sottolineato Luca Balbiano, terza generazione alla guida della cantina di famiglia - se ne ottenevano soltanto vini vivaci e più recentemente fermi, ma non da affinamento. Con il reimpianto del vigneto di Villa della Regina, residenza sabauda seicentesca, di cui ci siamo occupati, e grazie alla sperimentazione con l’Università di Torino siamo arrivati nel 2009 a produrre una Freisa da lungo affinamento, di grande eleganza e complessità, elevata in cemento”, caratteristiche confermante dalla Freisa di Chieri Doc Superiore “Vigna Villa della Regina” 2018 nel calice.
Non da meno, quanto a innovazione, sono le ricerche che “indirettamente” fanno la qualità del vino. Nel caso della ricerca e dello sviluppo di tecnologie per il riutilizzo delle acque reflue di cantina in cui si sono impegnate l’Università di Catania e l’azienda Al-Cantàra, il focus è sulla sostenibilità. “L’uso di acqua in cantina è molto elevato - ha spiegato Salvatore Rizzuto, enologo dell’azienda etnea - abbiamo valutato un consumo medio di 10 litri per produrre un litro di vino. E si tratta di acqua inquinante che non è possibile depurare con i sistemi di trattamento tradizionali. Questo il punto di partenza della ricerca di nuove tecnologie di depurazione e riutilizzo, come sistemi di filtrazione, biofiltri e processi di ossidazione avanzata per il riciclo delle acque reflue, che ci ha permesso di ridurre l’impronta ecologica della vitivinicoltura, di risparmiare sui costi di trattamento e smaltimento e anche di produrre come sottoprodotti dei concimi naturali”. Consumi di acqua che per la produzione del rosato da Nerello Mascalese Amuri di Fimmina e Amuri di Matri Etna Doc si sono ridotti a 4 litri per litro di vino. Storie diverse, da luoghi diversi, nate da idee ed esigenze diverse, ma con un unico comune denominatore: la ricerca della conoscenza per migliorare il vino, dalla vigna al calice.

Clementina Palese

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