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CONSUMI

Gli italiani tornano (con cautela) a spendere. I beni tradizionali, cibo incluso, perdono centralità

Negli ultimi 30 anni vincono la tecnologia (con un vertiginoso +3.000%) e il tempo libero, secondo l’Ufficio Studi Confcommercio
Carlo sangalli, CONSUMI, SUPERMERCATI, Ufficio studi Confcommercio, Non Solo Vino
Ufficio Studi Confcommercio, calano i consumi di alimentari e bevande, -5,1% sul 1995

Gli italiani tornano a spendere, ma con cautela, privilegiando soprattutto il comparto tecnologico, che registra, negli ultimi 30 anni, un vertiginoso +3.000%. Calano, invece, le categorie più consolidate: alimentari e bevande segnano un -5,1% rispetto al 1995, l’abbigliamento perde lo 0,5% e i mobili ed elettrodomestici restano sostanzialmente stabili (+0,8%). Le spese per viaggi e vacanze (+18%) e ristorazione (+25,7%) - sebbene in ripresa - non hanno ancora recuperato completamente le perdite post-pandemiche. É quanto emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sui consumi delle famiglie italiane tra il 1995 e il 2025: la spesa pro capite cresce di 239 euro rispetto allo scorso anno, ma resta sotto al livello record del 2007. “Servono segnali di fiducia, a cominciare dalla riforma fiscale, per far ripartire consumi e investimenti”, per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.
Nel 2025 la spesa pro capite reale ha raggiunto i 22.114 euro (era pari a 19.322 euro nel 1995), con un aumento di 239 euro rispetto al 2024, ma ancora inferiore ai picchi del 2007 (-220 euro). La rivoluzione tecnologica ha lasciato il segno nei comportamenti di spesa degli italiani: negli ultimi tre decenni la spesa pro capite per informatica e telefoni ha registrato una crescita vertiginosa, di quasi il +3.000%, legata ad apparecchiature informatiche e di comunicazione, cioè personal computer e smartphone di ultima generazione. In parallelo, anche i consumi legati alla fruizione del tempo libero - in particolare i servizi culturali e ricreativi - hanno mostrato un progresso significativo, con un aumento reale di oltre il 120%. Ad eccezione del comparto tecnologico e del tempo libero, poche altre voci mostrano segnali strutturali di espansione.
Per quanto riguarda i pasti fuori casa - pubblici esercizi - e i servizi di alloggio - viaggi e vacanze - la lettura è più complessa, secondo Confcommercio. Il lungo termine sposta risorse su queste voci di spesa legate anche al turismo, ma nel complesso in termini reali non si sono recuperati i livelli pre-pandemici. Da questi consumi, anche correlati all’incoming, passa una potenziale importante spinta alla crescita del Pil italiano nel prossimo biennio. Male, invece, abbigliamento e calzature, su cui pesa una variazione strutturale della domanda, orientata oggi verso prodotti a minore valore intrinseco rispetto ad una volta. La riduzione della spesa reale per l’alimentazione domestica ha radici note: demografia e servizi fuori casa comprimono questi consumi.
“Gli italiani tornano a spendere ma con cautela, privilegiando soprattutto il comparto tecnologico - secondo il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli - preoccupa e genera incertezza l’impatto dei dazi. Servono segnali di fiducia, a cominciare dalla riforma fiscale, per far ripartire consumi e investimenti”. In merito alle prospettive sui potenziali conflitti tariffari, si considera che nell’orizzonte dell’anno in corso non ci saranno azioni distruttive dell’attuale (dis)ordine mondiale, almeno non gravemente peggiorative dell’attuale assetto, secondo l’analisi di Confcommercio. Variazioni ragionevoli nel livello dei dazi sarebbero largamente assorbite grazie a due caratteristiche del nostro sistema produttivo: la prima è la moderata elasticità al “prezzo” dei beni e dei servizi facenti parte del Sense of Italy, cioè la fascia alta delle nostre esportazioni di beni e del turismo incoming, aggregati che assieme costituiscono il contributo al Pil del saldo con l’estero; la seconda ragione è che lo stesso “prezzo” varierebbe, data una modificazione del livello delle tariffe commerciali, meno che proporzionalmente, grazie alla capacità di assorbimento rappresentata dai margini attuali lungo le filiere produttive. Operazione dolorosa, ma, nelle peggiori eventualità, necessaria, conclude l’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio.

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