Una riflessione collettiva, che ha abbracciato la cultura della tavola, il dialogo tra cibo e vino, la cura del territorio e la dimensione esperienziale del turismo, e che ha portato a tracciare un nuovo “Manifesto dell’accoglienza italiana”, per il futuro di un’ospitalità che torni ad essere più umana e sostenibile, rimettendo la persona e le sue emozioni al centro di ogni esperienza, dal piatto al paesaggio, dall’incontro al racconto del viaggio, che deve essere incentrato sul rispetto del territorio che ci accoglie. È quello che è stato scritto a “Gensy” 2025, il Congresso Biennale de “La Sicilia di Ulisse” che, nei giorni scorsi, ha riunito a Palermo, al Grand Hotel et Des Palmes, media ed addetti ai lavori per ridefinire il significato contemporaneo di benessere, ospitalità e viaggio.
Tony Lo Coco, chef de I Pupi Ristorante Bagheria, 1 stella Michelin, e presidente “La Sicilia di Ulisse” - l’Associazione che, fondata da un gruppo di chef “visionari”, da oltre 20 anni, riunisce le eccellenze siciliane nei settori dell’ospitalità, della gastronomia e della viticoltura, oggi 52 soci, di cui 36 tra ristoranti e pasticcerie storiche e 16 hotel di charme, oltre a 21 cantine partner (da Benanti a Cusumano, da Donnafugata a Feudo Maccari, da Palmento Costanzo a Pietradolce, da Planeta a Tenuta Rapitalà, da Tasca d’Almerita a Maugeri, per citarne solo alcune), per un numero complessivo di 1.500 addetti e un fatturato generato stimato di 180 milioni di euro - ha tracciato il senso profondo dell’incontro: “un momento di riflessione sull’aspetto umano del benessere e sulla visione di una Sicilia capace di guardare al futuro con autenticità, cultura e passione. “Gensy” nasce per raccontare l’essenza umana di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare. La Sicilia non è solo un luogo, ma un modo di essere, di accogliere, di costruire futuro”. A fargli eco, il vice presidente Luciano Pennisi, direttore di Shalai, boutique hotel sull’Etna, che ha evidenziato come “noi vendiamo benessere, che sia una coccola, un calice di vino o un sorriso. Il nostro compito è far star bene chi sceglie la Sicilia e chi la vive ogni giorno”.
“Oggi parliamo di cucina e ospitalità, ma con un piglio diverso. Talvolta ci dimentichiamo di alcune parti che rimangono nell’ombra: per qualcuno il cibo è un mostro. Accendere la luce, invece, fa sparire il buio e la paura evapora”, ha detto il narratore enogastronomico Paolo Vizzari, nel primo talk dedicato al tema del cibo come espressione di benessere e consapevolezza partendo da una riflessione sociale, dopo gli interventi del sindaco di Palermo Roberto Lagalla, del professor Rosario Schicchi, direttore Orto Botanico di Palermo, e Salvatore Malandrino, Regional Manager Sicilia UniCredit, e dando la parola alle testimonianze di associazioni impegnate nei disturbi del comportamento alimentare. “Siamo un’isola in cammino anche su questo fronte - ha raccontato Maria Piana, presidente Stella Danzante di Catania - l’anoressia, la bulimia, la vigoressia e le abbuffate compulsive hanno tutte una radice comune: l’ossessione per il cibo. Ma le famiglie non sono sole: oggi si stanno costruendo reti di sostegno e percorsi di cura più accessibili”. Michelangelo Lo Piparo, presidente La Farfalla Lilla di Agrigento, ha ricordato come in Italia si contino oltre 4 milioni di diagnosi legate a disturbi alimentari (grazie al coinvolgimento nel congresso, le due associazioni riceveranno un contributo da UniCredit a fronte della presentazione di progetti di solidarietà in linea con le loro attività). Quindi, un confronto vivace e autentico sul modo di raccontare e vivere il cibo oggi, con tre protagonisti della cucina e della comunicazione gastronomica italiana. “Quando ho iniziato, 15 anni fa, credevo nel valore di raccontare la cucina in modo diverso, accessibile, democratico. Oggi più che mai dobbiamo usare un linguaggio semplice, comprensibile a tutti, per trasmettere cultura e consapevolezza - ha detto la food expert Chiara Maci - l’amore per il cibo è diventato una spinta a viaggiare, conoscere, dialogare con gli chef. Il cibo, per me, è cultura e crescita continua”, e anche “la critica non è mai solo giudizio: è confronto, un dialogo che completa l’opera”, ha aggiunto Alberto Cauzzi, direttore “Passione Gourmet” e del canale food di Forbes Italia, mentre lo chef Davide Oldani, due stelle Michelin al D’O a Cornaredo, ha ricordato che “in cucina servono umanità e rispetto: è così che si costruisce il futuro della ristorazione”.
Dal cibo al vino, si è, quindi, parlato di identità e convivialità della tavola, in un talk moderato dal sommelier, autore e presentatore Andrea Amadei, per il quale “il vino e il cibo sono un matrimonio d’amore e oggi dobbiamo tornare a raccontarli insieme”. Alessandro Regoli, direttore WineNews, ha ricordato che “il vino fa parte della cultura della tavola che è alla base della candidatura della cucina italiana a Patrimonio Unesco: insieme favoriscono l’incontro e la condivisione”, ma ha anche denunciato l’errore di aver raccontato per troppo tempo il vino “in modo esclusivo, a volte con linguaggi tecnici e troppo complessi”, mentre la comunicazione enogastronomica deve essere “adattiva”, diversa a seconda delle circostanze e di chi si ha davanti, e ribadito che “il vino, per sua natura, è inclusivo: va legato al cibo, alla bellezza, al piacere, al territorio, alla storia, alla cultura e alla comunità”. Laura Donadoni, giornalista, scrittrice e autrice di podcast, ha spiegato come il vino possa essere benessere “se raccontato con onestà”, evidenziando il calo del consumo pro-capite (-20% tra 2021 e 2024) e l’ascesa dei prodotti no e low-alcohol negli Stati Uniti, dove “il vino spesso è purtroppo percepito come una semplice bevanda alcolica, scollegata dalla sua storia”. Serve, invece, un linguaggio capace di restituirgli la sua dimensione culturale e sociale: “il benessere del vino è un equilibrio tra consapevolezza, convivialità e rispetto dei propri limiti”. Sandro Sartor, presidente “Wine in Moderation”, ha posto l’accento sul tema della moderazione: “Wine in Moderation” promuove “una cultura sostenibile del vino, basata su convivialità, responsabilità e moderazione. Il valore della moderazione sposta l’attenzione da ciò che c’è dentro la bottiglia a tutto ciò che rappresenta: storia, cultura e comunità. Il vino ha una soglia entro la quale i benefici superano i rischi e sta a noi educare a un consumo consapevole”. Il panel si è concluso con la testimonianza di Luca Caruso, patron dell’Hotel Signum di Salina e produttore con la cantina Eolia, che ha ricordato che bisogna “bere meno, ma meglio, ascoltare i racconti, viaggiare stando seduti a tavola per sentirsi parte del territorio. I tecnicismi allontanano, la curiosità e l’empatia avvicinano e creano la convivialità che arricchisce l’esperienza”.
Il talk, introdotto da Elisabetta Canoro, giornalista e head of Hospitality Identità Golose, ha aperto, invece, un confronto sul modo in cui il turismo e l’hôtellerie stanno cambiando, mettendo sempre più al centro esperienze ed emozioni. “Coinvolgere l’ospite con nuovi modi di fare accoglienza - ha sottolineato - è oggi un approccio determinante e vincente. L’Italia si conferma il Paese più desiderato al mondo dal punto di vista turistico, con oltre 1,4 milioni di arrivi dagli Stati Uniti nei primi 8 mesi 2025 e un mercato del lusso in costante crescita”. Beatrice Tomasini, articles editor “Travel + Leisure”, ha ricordato come la Sicilia incarni i valori più autentici di ospitalità e calore umano. “In un mondo sempre più digitalizzato - ha spiegato - abbiamo bisogno di contatto, di sentirci parte del territorio che ci accoglie. L’ospitalità oggi è esperienza, è la possibilità di vivere un luogo come casa propria. Il genius loci è importante, ma il calore umano resta insostituibile”. L’architetto Viviana Haddad ha evidenziato il ruolo etico dell’architettura: “bisogna mettersi in ascolto dei luoghi e rispettarne l’identità. Il mio lavoro deve essere sartoriale, costruito su misura, e avere un ruolo etico, capace di contribuire al recupero e alla rinascita del territorio”. “La qualità è la base, ma l’ospitalità si misura nei gesti”, ha sottolineato l’imprenditore Marcello Mangia, presidente & Ceo Mangia’s, aggiungendo che “oggi la vera sfida del turismo è culturale: coniugare il benessere dell’ospite con il benessere del territorio, unire innovazione e tradizione, efficienza e umanità, globalizzazione e identità. Crediamo in un’accoglienza professionale che rispetta i luoghi e valorizza chi li vive ogni giorno, perché la qualità dell’esperienza non dipende solo da ciò che si offre, ma da come lo si fa. Puoi magari dimenticare la stanza in cui hai dormito, ma non una conversazione gentile”.
Infine, il talk dedicato al viaggio, nel quale Federica Brunini, scrittrice, giornalista e fondatrice della “Travel Therapy” in Italia, ha spiegato cosa è: “il viaggio giusto, nel momento giusto, per la persona giusta. Viaggiamo per trovare risposte, ma dobbiamo prima imparare a porci le domande corrette”. Sara Magro, hotel specialist “Il Sole 24 Ore”, founder ed editor in chief TheItalyInsider.com, ha raccontato l’evoluzione del concetto di benessere nel turismo: “dalle terme come luogo di cura alla filosofia della rinascita. Oggi il benessere è olistico e si esprime anche attraverso esperienze di cucina, cammino, meditazione”. Il professore Franco Riva, filosofo, saggista e professore all’Università Cattolica di Milano, autore del libro “Filosofia del Viaggio”, ha definito il viaggio “un atto di incontro e di crisi creativa: nessuno torna da un viaggio così com’era partito. Non si viaggia nella pura conferma di sé. Viaggiare è lasciarsi incontrare dall’altro, liberarsi dalle regole e accogliere l’imprevisto”. E l’esperienza di viaggio può diventare un racconto intimo e personale attraverso quella che il fotografo Maurizio Adamo chiama fotografia emotiva: “camminare, osservare, ascoltarsi. Il viaggio è consapevolezza, è chiedersi perché ci emoziona ciò che ci emoziona”. Concludendo, Laura Anello, presidente della Fondazione Le Vie dei Tesori, ha, infine, riportato lo sguardo alla Sicilia: “i luoghi sono depositi di memoria collettiva. Oggi la nostra Fondazione conta oltre 500 siti in tutta l’isola. Spesso sono gli stessi cittadini a proporli: è la comunità che ci guida. Il turismo esperienziale nasce proprio da questo scambio”.
“Abbiamo voluto creare un momento di pensiero e di confronto che rimettesse l’uomo al centro - ha concluso Tony Lo Coco - in questi giorni abbiamo condiviso idee, esperienze e prospettive che parlano di una Sicilia viva, consapevole e aperta al futuro. L’accoglienza, il cibo, il vino e il viaggio sono i linguaggi attraverso cui raccontiamo la qualità e la nostra identità. Il nostro compito ora è trasformare queste riflessioni in azioni concrete, in una rete di valori che continui a far crescere il nostro territorio”. Con “Gensy” 2025 - che ha visto il sold out delle cene diffuse nei ristoranti tra Palermo e Bagheri i cui resident chef hanno ospitato colleghi, e per assaggiare lo street food di oltre 40 chef accompagnato dai vini delle cantine de “La Sicilia di Ulisse” al Grand Hotel et Des Palmes - che si è chiuso con un ultimo messaggio: “La Sicilia di Ulisse”, che accresce i suoi soci con l’ingresso del Grand Hotel et Des Palmes, del Grand Hotel San Pietro di Taormina, dei ristoranti Area M di Siracusa, Limu di Bagheria e Le Lumie di Marsala, “può e deve essere un modello di ospitalità autentica, sostenibile e di qualità, dove cultura, enogastronomia, tradizione e umanità convivono per costruire un futuro di benessere”.
Focus - Comunicazione direttore WineNews, Alessandro Regoli - Il vino non è al centro del mondo, ma della tavola, che ci fa stare bene, grazie alla socialità (Palermo, Grand Hotel et Des Palmes, 8 novembre 2025, Congresso “Gensy” by “La Sicilia di Ulisse”)
Dobbiamo tornare ad avere un contatto con la realtà. Il vino non è al centro del mondo, ma della tavola. È il compagno più fedele della nostra cucina e dei prodotti di territorio, ogni piatto ha il suo buon calice da abbinare, e se la cucina è Patrimonio Unesco lo è anche il vino. Ma questo lo sostenevano già Slow Food e Carlin Petrini, ormai 40 anni fa. Perché tutto ruota attorno alla condivisione ed alla socialità, non al vino. Per questo le imprese del vino e della ristorazione devono lavorare insieme, ed è su questo che deve puntare il mondo della comunicazione (in Italia e all’estero). Perché questa è la via da percorrere anche per conquistare o riconquistare i consumatori del mondo: pensare che il vino possa interessare da solo, così come è, oggi è un grave errore.
Ma non è l’unico errore che è stato commesso. Nella storia recente, quello più grossolano è stato di far diventare il vino una bevanda esclusiva, raccontandolo, troppo spesso, in eventi per soli “eletti” e usando un linguaggio, oserei dire, quasi ostativo, difficile, complesso, quasi “tossico”. Quando, invece, il vino è, per sua natura, una bevanda inclusiva, che si lega allo stare insieme, negli eventi popolari come nelle occasioni speciali. Sappiamo tutti che la cornice sociale in cui questo avveniva un tempo, nella nostra quotidianità, non c’è più: per questo bisogna creare nuove connessioni e percorrere nuove vie, legando il vino al cibo, alla natura, alla cultura, alla bellezza, al benessere mentale, al piacere responsabile.
Come facciamo da 25 anni - quest’anno - su WineNews, il vino deve essere il “medium” per raccontare le bellezze dei nostri territori, per i legami che ha con la loro storia, la loro natura, la loro cultura e le loro comunità. E se questo è vero per i distretti storici del vino italiano, ogni prodotto italiano, un formaggio, un salume, una verdura, può essere allo stesso modo il “medium” del suo territorio, ed il vino può, in questo caso, accompagnarlo. Ma il linguaggio che dobbiamo usare quando si parla di vino deve essere “adattivo”, diverso a seconda delle circostanze e delle persone che si hanno di fronte, basato su storie semplici e mai banali, sempre legate all’attualità, ma che tutti possono comprendere. Perché l’esperienza del vino deve essere condivisa, inclusiva, soprattutto nei confronti dei nuovi consumatori e di quelli più giovani, ed esclusiva solo se si parla ad un pubblico di esperti.
Non è in atto una vera e propria criminalizzazione del vino - perché “tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno faccia effetto”, citando il medico, alchimista e filosofo svizzero Paracelso, vissuto a cavallo tra il Quattrocento ed il Cinquecento - ma quello che vedo è che la politica e gli opinion leader ne parlano quasi solo dal punto di vista medicale, e nella stampa generalista e in tv, a parte pochissime eccezioni di giornalisti storici o di programmi intramontabili, la comunicazione enogastronomica (al netto degli “spadellamenti”) si è molto affievolita negli ultimi anni, nonostante il ruolo importante che l’enogastronomia ha per l’Italia, in termini non solo economici, ma anche sociali e culturali. Ma si può dire lo stesso di tutta l’agricoltura, nel suo complesso, che, nonostante la sua importanza, ancora non ha l’attenzione che merita dal punto di vista culturale e non solo economico.
È per tutto questo che dico sempre che bisogna andare un po’ indietro, per guardare avanti. A quando, cioè, il cibo, il mangiare e il bisogno di nutrirsi erano intrecciati con l’identità culturale, la storia e l’ambiente e si parlava di “cultura materiale della fame”, mentre oggi siamo nell’epoca della “cultura del benessere” nella quale anche il cibo, ed il vino in particolare, contribuiscono a migliorare la qualità della vita. Credo, che, le due cose, possano tornare a riunirsi in un concetto più contemporaneo di benessere. Ma su questo aspetto in particolare servirebbe una riflessione da sola, con politiche attive e successive da mettere in pratica.
Il mondo del vino italiano deve ricreare attorno ad ogni calice il concetto di identità, ridando al vino (compresi i fine wines) il ruolo che ha sempre avuto fuori dagli eventi del vino: quello della convivialità e dello stare insieme nella quotidianità. Deve essere “pop”, nel senso di popolare, semplice. Bere un bicchiere di vino, con una creazione stellata, con un prodotto di qualità o con un piatto buono & bello in un osteria o in una trattoria (un patrimonio importante del nostro Paese), vuol dire onorare la terra, la storia e la cultura che ci appartiene. Il futuro del vino non dipenderà da strategie di marketing su larga scala, ma dalla sua capacità di rimanere rilevante, accessibile, autentico e legato alla cultura. Se saprà valorizzare i suoi punti di forza - il legame con la terra, il piacere della condivisione e la qualità artigianale - potrà continuare ad avere un posto importante nella convivialità. È la sua funzione più bella ed importante e la deve ritrovare, tornando “a casa” (non chiaramente in senso stretto), ovvero nei luoghi dove si consuma, si “sbicchiera”, si mangia e si sta, semplicemente, piacevolmente e serenamente in compagnia. Deve tornare, cioè, ad avere un contatto con la realtà. Un contatto con la realtà, ripeto, e non certo nei mille eventi, troppo spesso autocelebrativi, autoreferenziali ed utili solo a chi li organizza.
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