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IDEE DI FUTURO

“A rendere unica la degustazione di un vino è il nostro coinvolgimento, non le note sensoriali”

Per Nicola Perullo, Rettore dell’Università di Pollenzo, “è un grande mezzo di comunicazione ed è su questo che dobbiamo puntare per raccontarlo”
ARTE, COINVOLGIMENTO, COMUNICAZIONE, DEGUSTAZIONE, NICOLA PERULLO, PLANETA, RELAZIONE, UNIVERSITÀ DI SCIENZE GASTRONOMICHE DI POLLENZO, Italia
Nasce in Sicilia il Manifesto culturale “Wine is a Contemporary Story”

Da tempo, “le cantine non sono più luoghi dove si produce solo vino, ma dove si ha a che fare con la creatività. Per questo più che riflettere sul legame tra vino e arte, dobbiamo parlare di vino come un’arte. Prima di tutto si deve chiarire che cosa significa arte, una parola che si usa per tutto, e che è molto difficile da definire. Ma quando mi riferisco al vino come un’arte, intendo sia come produzione, ovvero il fare vino, sia come fruizione, ovvero il modo in cui il vino va consumato. L’arte non produce oggetti artistici, ma opere: i primi hanno a che fare con una concezione statica di qualcosa che si produce e che si contempla passivamente, in questo caso si degusta, riconoscendone profumi e altre note organolettiche; un’opera è, invece, un processo che è in corso e - questo è l’aspetto interessante - in un dialogo costante tra chi l’ha creata e chi ne fruisce e ne gode, e cioè chi consuma vino partecipando attivamente alla creazione dell’opera. È una fruizione molto più relazionale, come quella dell’arte partecipativa, che coinvolge attivamente lo spettatore, trasformandolo in co-creatore dell’opera d’arte, e ricorda quello che si chiama “entanglement”, o correlazione quantistica”. Parole, che fanno riflettere sul rapporto che abbiamo oggi con il vino e su come dobbiamo raccontarlo, secondo il filosofo Nicola Perullo, professore di Estetica e Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo di Slow Food, tra le personalità di diversi settori del made in Italy, dal mondo accademico alla cultura, dal vino alla cucina, dal giornalismo alla comunicazione (tra cui WineNews), invitati da Planeta, tra le cantine artefici del “rinascimento” della Sicilia del vino, per contribuire alla stesura del Manifesto culturale “Wine is a Contemporary Story”, alla Cantina Buonivini a Noto, in un momento in cui, ha spiegato Alessio Planeta, “è come se il mondo del vino oggi fosse messo in discussione, sotto attacco da tanti punti di vista, in primis i cali dei consumi, con una narrativa che prima era tutta in positivo e ora mi appare più critica e negativa. Eppure, il vino è da sempre un simbolo di convivialità, un elemento capace di unire le persone e arricchire le relazioni umane, favorendo la condivisione e il dialogo. In un’epoca in cui il suo valore rischia di essere frainteso o sottovalutato, è fondamentale ricordare che il vino non è solo un prodotto, ma un’esperienza culturale e sociale che da millenni accompagna l’umanità”.
Oggi ci sono molti studi sul tema dell’arte come “entanglement” e “a me piace l’idea che il fruitore partecipa all’opera e la rende viva - dice Nicola Perullo, che, nell’ultimo decennio ha concentrato i suoi studi su questo aspetto, e dai quali è nato il saggio “Epistenologia. Il vino e la creatività del tatto” (Edizioni Mimesis/Il Caffè dei Lettori, 2021): “una parola che avevo inventato mettendo insieme epistemologia, che vuol dire teoria della conoscenza, ed enologia. Il libro è stato tradotto in americano e ora anche in francese. Ma l’aspetto interessante non è tanto la teoria, ma la pratica. Negli ultimi 12-13 anni con questa idea della partecipazione attiva di chi degusta ho formato migliaia di studenti all’Università di Pollenzo, in primis, ma anche in giro per l’Italia e un po’ per il mondo, con risultati, devo dire, molto belli e interessanti, perché le persone diventano protagoniste del loro rapporto con il vino, andando oltre la scomposizione analitica che è fondamentale a un certo livello, per esempio nella produzione di vino, ma poi dopo, quando il vino si beve, si degusta, si fruisce e se ne gode, non basta, e c’è bisogno di metterci del proprio”.
Questa idea di “assaggiare il vino come fare un disegno, raccontare poesie e inventarsi narrazioni è stato fatto anche da alcune persone che sono in questa stanza - ha sottolineato il filosofo - ricorda il passaggio dalla scienza galileiana e newtoniana, e dalla fisica moderna, basate su oggetti separati, che si scompongono e si analizzano, alla fisica einsteiniana della relatività, e alla fisica quantistica, che lavorano con un altro paradigma. Credo che il mondo del vino, come il mondo della gastronomia in generale, debba fare questo passaggio dall’universo galileiano all’universo quantistico, che vuol dire semplicemente prendere sul serio quest’idea delle relazioni, delle risonanze, della consapevolezza di far parte di rapporti. Il vino oggi si deve gustare, apprezzare in contesti, in atmosfere, dove certamente le sue qualità sensoriali hanno un peso, ma non sono solo quelle che contano, contano molto altre cose, contano molto le storie, contano molto i simboli, contano molto i riti”.
Perché il vino ha questa peculiarità? “Mi piace ricordare il grande filosofo Gaston Bachelard, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, e il suo saggio “Il vino e la vigna degli alchimisti”, dove spiega perché è una bevanda così magica, almeno per chi è appassionato: ha una caratteristica che pochissimi altri prodotti edibili hanno, cioè connette il sottosuolo, la parte minerale, la parte della terra, attraverso il vegetale e poi il frutto, l’aria, l’acqua e il sole, cioè attraversa tutti gli stadi della vita e poi li realizza in un frutto che viene raccolto e lavorato dall’uomo. Ecco, in questo senso credo che debba essere intesa l’idea di arte - spiega il professore di Estetica - arte in greco si dece téchne, tecnica, e quindi arte non nel senso moderno, della creatività originale, dalla quale nasce un’opera che va in un museo, un oggetto che un fruitore, ma qualcosa di più attivo, qualcosa di più relazionale. Se inteso così, anche il vino è un’espressione di un’artisticità profonda, e diventa un mezzo di comunicazione. L’arte, infatti, come ci insegnano i grandi artisti, è un grande mezzo di comunicazione ed è su questo che occorre insistere oggi, come ho fatto nei miei esercizi di epistenologia, meno sull’analitico e più sugli aspetti legati alla storia, alle comunità, alle relazioni e all’ecologia in senso profondo”.
Per questo, un “Manifesto del Vino Contemporaneo” che guardi al futuro, il Rettore dell’Università di Pollenzo, “dovrebbe sottolineare la potenza che il vino può avere e che è diversa da quella di una bevanda alcolica. Dobbiamo scorporare il vino dal consumo alcolico. So che è difficilissimo e so che è molto provocatorio, perché oggi la battaglia che si combatte è questa. In passato per i giovani il vino era visto come uno strumento per alcolizzarsi, e fare serata. Oggi i miei studenti di 20 anni, se vogliono alcolizzarsi, non pensano al vino. Il vino non è più considerato un bevanda, ma è qualcosa che serve a fare altro, a fare esperienze. Una sfida può essere quella di collegare il consumo del vino alla resistenza alla medicalizzazione della vita. Cioè, il concetto di salute oggi, ovviamente nessuno lo mette in discussione, ma bisogna anche porre un limite al fatto che ogni singolo aspetto della nostra vita viene regolato da precetti medici. Ed è quello che avviene anche per il vino. Io faccio spesso incontri con medici e farmacologi, che non distinguono il grande vino dal quello più triviale, e ti dicono che la molecola è la stessa. E non capiscono la differenza che ci può essere tra un consumo dozzinale e un consumo consapevole, legato ad aspetti come la bellezza, la creatività e la volontà di essere, e che non sono regolati dall’Istituto Superiore di Sanità o dalla medicina, ma dalla sobrietà e dal fatto che uno desidera vivere. Il futuro non è già scritto da questo punto di vista, dobbiamo scriverlo noi, sia chi fa il vino sia chi lo beve”.

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