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CIBUS 2021

Agroalimentare, l’export supera le importazioni, e la filiera del cibo vale 538 miliardi di euro

Il punto di Coldiretti: le esportazioni nel primo semestre toccano il valore record di 24,81 miliardi di euro, e il clima pazzo fa correre i prezzi
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Lo stato dell’arte dell’agroalimentare italiano

L’Italia raggiunge, per la prima volta nella storia recente, l’autosufficienza nella bilancia alimentare, con le esportazioni di cibi e bevande nazionali che hanno superato in valore le importazioni dall’estero, sotto la spinta del cambiamento nei consumi e nel commercio determinati dall’emergenza Covid. Le esportazioni agroalimentari made in Italy, nel primo semestre 2021, hanno toccato il valore record di 24,81 miliardi di euro, con un aumento del 12% sull’anno precedente e lo storico sorpasso sulle importazioni che sono invece ferme nello stesso periodo a 22,95 miliardi, consolidando la svolta in atto nell’anno del Covid, sulla base dei dati Istat. E il risultato storico fatto segnare dalle esportazioni agroalimentari made in Italy, che registrano un aumento record del +23,1% a giugno, con una proiezione in valore su base annuale stimata in 50 miliardi nel 2021, spingono anche il Pil, con i prezzi di ortaggi e verdura che balzano del 3,3% per effetto del clima pazzo, con grandine e bufere di acqua e vento che si sono alternate alla siccità e a ondate di caldo africano con pesanti effetti sulle coltivazioni in sofferenza. Emerge dallo studio Coldiretti, presentato dal presidente Ettore Prandini, oggi, a Cibus, di scena da oggi al 3 settembre a Parma.

Come detto, l’agroalimentare ha, comunque, dimostrato una certa resilienza di fronte alla crisi, trainando economia ed occupazione. “Con l’emergenza Covid il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia. per un valore pari al 25% del Pil. con 538 miliardi di euro lungo l’intera filiera agroalimentare allargata dal campo alla tavola e ben 4 milioni di lavoratori impegnati in 740.000 aziende agricole, 70.000 industrie alimentari, oltre 330.000 realtà della ristorazione e 230.000 punti vendita al dettaglio”, riprende il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. L’Italia - sottolinea la Coldiretti - è il primo produttore europeo di riso, grano duro e vino e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne.
Con l’avanzare della campagna di vaccinazione, la riapertura delle attività di ristorazione - continua la Coldiretti - cresce la domanda di made in Italy a tavola in Italia e nel mondo, con il fatturato alimentare che segna a giugno un balzo dell’11,1%. Tra i principali clienti del made in Italy a tavola, nel primo semestre 2021, ci sono gli Stati Uniti che si collocano al secondo posto ma registrano l’incremento maggiore della domanda con un balzo del 18,4%, trend positivo anche in Germania che si classifica al primo posto tra i Paesi importatori di italian food con un incremento del 6,8%, praticamente lo stesso della Francia (+6,7%) che si colloca al terzo posto mentre al quarto la Gran Bretagna dove a causa della Brexit, con l’appesantimento dei carichi amministrativi, l’export alimentare crolla invece del 4,6%.
Fra gli altri mercati - evidenzia la Coldiretti - si segnala la crescita del 16,5% in quello russo e un vero e proprio balzo in avanti di quello cinese con +57,7%. La svolta - conclude la Coldiretti - è evidente anche in Italia dove alla crescita dei consumi familiari si accompagna la ripresa dei pasti fuori casa per mangiare in ristoranti, trattorie, pizzerie, agriturismi, pub o gelaterie dopo il crack del 2020 che ha dimezzato il fatturato (-48%) per una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro nel 2020.
Tornando alla bilancia alimentare, si tratta di un cambiamento epocale, realizzato sotto la spinta della “fame” di made in Italy all’estero, nonostante le difficoltà determinate dalle chiusure della ristorazione in tutto il mondo, ma anche dalla scelta patriottica nei consumi degli italiani che hanno privilegiato la qualità dei prodotti nazionali anche per sostenere l’economia ed il lavoro del Paese.
Infatti nelle case degli italiani nell’anno del Covid sono cresciuti del +7,6% gli acquisti di prodotti che - spiega Coldiretti - riportano in etichetta un legame con il Belpaese, come la bandiera tricolore, frasi e parole riferite al Made in Italy oppure una delle indicazioni geografiche europee di origine, come Docg, Dop, Doc, Igp e Igt. La spesa patriottica degli italiani, fra latte, salumi, formaggi, salse, prodotti confezionati, uova, pasta, vino, olio, farine, frutta e verdura made in Italy, ha raggiunto un valore di oltre 8,4 miliardi di euro secondo l’Osservatorio Nielsen Immagino. All’estero le vendite del made in Italy sono sostenute soprattutto dai prodotti base della dieta mediterranea come il vino, la frutta e verdura, fresca e trasformata, che l’Italia produce in quantità superiori al fabbisogno interno ma non mancano casi eclatanti di successo tra le new entry come il caviale made in Italy le cui esportazioni sono addirittura triplicate nell’ultimo anno (+187%) anche se a livello nazionale resta da colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti dalla carne al latte, dai cereali fino alle colture proteiche necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti.
In Italia è, infatti, necessario potenziare la produzione per coprire - spiega la Coldiretti - il deficit del 64% del frumento tenero e del 40% per il frumento duro destinato alla produzione di pasta per il quale si è registrato un calo di autosufficienza in seguito alle massicce importazioni dal Canada.
Per il mais, fondamentale per l’alimentazione degli animali e per le grandi produzioni di formaggi e salumi Dop, l’Italia - continua la Coldiretti - copre la metà (53%) delle proprie necessità. Un trend negativo che riguarda anche la soia, visto che si produce 1/3 (31%) del fabbisogno interno, secondo dati Ismea. In Italia - sottolinea Coldiretti - si munge nelle stalle nazionali il 75% del latte consumato e si produce il 55% del fabbisogno di carne con l’eccezione positiva per la carne di pollo e per le uova per le quali il Paese ha raggiunto l’autosufficienza e non ha bisogno delle importazioni dall’estero.
Con la pandemia da Covid - precisa la Coldiretti - si è aperto uno scenario di riduzione degli scambi commerciali, accaparramenti, speculazioni e incertezza che spinge la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l’alimentazione delle popolazione. Una situazione che ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale ai massimi da quasi sette anni trainati dalle quotazioni dei cereali.
I timori sugli approvvigionamenti di cibo hanno convinto la stessa Unione Europea a lanciare una consultazione pubblica fra operatori, autorità e cittadini per realizzare un piano finalizzato a conquistare l’autosufficienza in diversi settori chiave. La volatilità dei prezzi infatti non solo penalizza i produttori agricoli, ma mette in difficoltà anche l’industria di trasformazione con l’andamento altalenante delle quotazioni che favorisce anche i fenomeni speculativi a danno dei consumatori e dei produttori.
Per questo occorre cogliere le opportunità offerte dal Pnrr con la digitalizzazione delle aree rurali, recupero terreni abbandonati, foreste urbane per mitigare l’inquinamento in città, invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua e produrre energia pulita, chimica verde e bioenergie per contrastare i cambiamenti climatici ed interventi specifici nei settori produttivi deficitari previsti nei progetti strategici elaborati dalla Coldiretti insieme a Filiera Italia per la crescita sostenibile a beneficio del sistema Paese”, spiega il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia made in Italy serve però agire anche sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo”. Una mancanza che ogni anno - continua Prandini - rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di Pil per le minori opportunità di export al quale si aggiunge il maggior costo della “bolletta logistica” legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci con un aggravio che si attesta sui 13 miliardi all’anno secondo il Centro Studi Divulga”.
“L’emergenza globale provocata dalla pandemia ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza per questo servono sistemi di etichettatura trasparenti sull’origine delle materie prime e che non siano ingannevoli e nello stesso tempo, non possiamo pensare a un modello dove vi sia spazio per l’artificio e i cibi sintetici, dove si assista alla concentrazione eccessiva dei fattori produttivi, dove prevalga l’interesse particolare delle grandi multinazionali che spingono per l’omologazione su un modello in sostanza dove il cibo sia sempre una commodity”, continua Prandini, sottolineando che “con la nostra idea di filiera sostenibile vogliamo affrontare il futuro non solo creando valore economico, ma guardando anche alla sua distribuzione e alla capacità di restituire valori positivi, sotto il profilo ambientale, sociale, territoriale”.
A far correre i prezzi dei beni alimentari, il clima pazzo, con grandine e bufere di acqua e vento che si sono alternate alla siccità e a ondate di caldo africano con pesanti effetti sulle coltivazioni in sofferenza, che porta ad una aumento, su base tendenziale, per gli alimenti non lavorati, del +0,8%. Una situazione che - conclude la Coldiretti - favorisce le speculazioni nei campi dove molti raccolti sono andati distrutti a causa del maltempo.
L’estate 2021 si sta chiudendo con un aumento del 65% degli eventi climatici estremi che hanno devastato le coltivazioni decimando i raccolti da nord a sud della Penisola e si classifica fino ad ora in Italia nella top ten di quelle con le temperature più alte da oltre due secoli. L’effetto dei cambiamenti climatici con l’alternarsi di siccità e alluvioni ha fatto perdere oltre 14 miliardi di euro in un decennio, tra cali della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne con allagamenti, frane e smottamenti con pesanti ripercussioni sulle produzioni.

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