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OLTRALPE

Alberghi, ristoranti e bar, la Francia perde lavoro. E l’ipotesi della tassa sulle mance non piace

L’“Observatoire de l’emploi des entrepreneurs”: 4.164 posti persi da gennaio a giugno 2025, il +11,5% sullo stesso periodo 2024
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Problemi di occupazione per il settore dei pubblici esercizi francesi

Si parla spesso, e WineNews lo sta facendo da tempo, delle difficoltà che sta affrontando il vino francese. Ma non è solo questo a preoccupare i “cugini” d’Oltralpe, Paese che ha molte affinità con l’Italia, dal vino al turismo, ma anche un’importante e capillare presenza di alberghi, bar e ristoranti. E se nel Belpaese la ristorazione, a livello complessivo, non sta passando un gran periodo, tanto che le chiusure sono numerose (mentre un segnale positivo, secondo le previsioni Fipe-Confcommercio, arriverà dalle assunzione nel prossimo trimestre), la crisi morde anche in Francia. Secondo l’ultimo “Observatoire de l’emploi des entrepreneurs” (Osservatorio sull’occupazione degli imprenditori), realizzato dalle associazioni Gsc e Altares, 31.260 dirigenti d’impresa, a livello generale, hanno perso il lavoro nel primo semestre 2025, il +4,3% sul primo semestre 2024. Tra i settori più colpiti c’è la voce “Alloggi, ristorazione, bevande” con 4.164 posti di lavoro persi da gennaio a giugno, dato che si traduce in un +11,5% sullo stesso periodo dello scorso anno.
L’Umih (Union des Métiers et des Industries de l’Hôtellerie)
, l’organizzazione professionale leader in Francia per il settore dell’ospitalità, ha lanciato prontamente l’allarme: “i ristoranti tradizionali con servizio al tavolo da soli hanno rappresentato oltre il 40% delle chiusure di attività del settore, a dimostrazione della persistente fragilità di un settore già pesantemente colpito dalla crisi sanitaria, dall’inflazione e dal calo di visite dei consumatori”. L’Umih ha aggiunto che “i ristoratori e gli albergatori sono attori quotidiani: mantengono in vita i nostri centri cittadini, i nostri villaggi e il nostro settore turistico. Dietro queste chiusure ci sono vite distrutte e regioni indebolite”.
E se il “sentiment” non è di piena fiducia per i mesi a venire, l’Umih appare preoccupata anche su un altro fronte, quello dell’eventuale tassazione delle mance (già ribattezzata “Tassa per il sorriso”) con la proroga dell’esenzione che scade a fine anno. L’organizzazione ha deciso di portare avanti due indagini, una sentendo la voce dei dipendenti, l’altra ascoltando i datori di lavoro. Emerge che l’81% dei dipendenti si oppone all’idea di pagare tasse e contributi sulle mance, il 76% si dice preoccupato e, se l’ipotesi diventasse realtà, il 41% prenderebbe in considerazione l’idea di abbandonare il settore. Da sottolineare che il 71% riceve mance, oltre allo stipendio, e l’83% le considera un vantaggio essenziale. Lato datore di lavoro, l’86% ritiene che le mance siano una ricompensa essenziale per i propri team, il 92% rifiuta categoricamente la tassazione, e il 91% afferma di essere preoccupato, di cui, il 70%, “molto preoccupato”.
Quattro le principali preoccupazioni identificate dalle due categorie, secondo Umih: un rifiuto massiccio e diffuso alla possibilità di tassare le mance (81% dei dipendenti, 92% dei datori di lavoro); la perdita di attrattività della professione (66% dei dipendenti, 88% dei datori di lavoro); l’erosione del potere d’acquisto (64% dei dipendenti, 85% dei datori di lavoro); demotivazione diffusa e aumento del turnover (62% dei dipendenti, 90% dei datori di lavoro)
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Secondo il presidente dell’Umih, Thierry Marx, “le mance non sono un privilegio, ma un riconoscimento del servizio da parte del cliente. Tassarle e obbligare a versare i contributi previdenziali equivarrebbe a introdurre una “Tassa del sorriso”. La misura indebolirebbe ulteriormente il nostro settore, che fatica a reclutare e trattenere il personale, e avrebbe un impatto diretto sul potere d’acquisto dei nostri team e indebolirebbe l’equilibrio economico di molte aziende”.

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