“In un contesto in cui il dibattito sul consumo di alcol è più acceso che mai, la scelta di bere vino deve essere accompagnata da una consapevolezza critica. Se il vino viene consumato con moderazione e apprezzato per le sue qualità intrinseche, può rimanere una parte significativa della cultura gastronomica. La sfida per il futuro sarà quella di educare i consumatori a fare scelte informate, garantendo al contempo la sostenibilità dell’industria vitivinicola”. È la conclusione di un relazione sul tema del consumo, del rapporto con la salute, della crescita dei vini dealcolati e della revisione delle politiche di regolamentazione dei consumi di alcol, messa nero su bianco da Vincenzo Gerbi, professore dell’Università di Torino e vicepresidente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, che arriva “in un momento di grande attenzione, quello attuale, per il vino, combattuto tra alert salutistici, etichette trasparenti, dazi di natura geopolitica, e consumi che cambiano anche con l’avvento dei vini dealcolati”.
La relazione di Gerbi parte dalla recente allerta dell’Oms sulle implicazioni tra vino e salute pubblica. “Recenti indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) - scrive Gerbi - hanno messo in guardia contro il consumo di alcol: non c’è un consumo moderato e nessuna quantità è sicura per la salute. Questa posizione è stata sostenuta dal capo operativo della Sanità americana, Vivek Murthy, che ha evidenziato una correlazione diretta tra l’alcol e almeno sette tipi di cancro, tra cui quelli al seno e al colon. Murthy ha chiesto l’introduzione di etichette sanitarie sulle bottiglie di alcolici, un passo che potrebbe segnare un cambiamento significativo nella consapevolezza pubblica riguardo ai rischi associati al consumo di alcol”.
Contrariamente a questa visione, continua la ricerca, esiste un segmento del mondo medico che sostiene l’idea di un consumo moderato di vino, considerato da secoli una bevanda complessa e ricca di componenti vegetali benefici. La famosa affermazione di Ippocrate, secondo cui “il vino è cosa meravigliosamente appropriata all’uomo”, trova ancora risonanza tra coloro che vedono nel vino non solo una bevanda, ma un elemento culturale fondamentale”. Ma, commenta Gerbi, “professionisti e appassionati di vino si trovano ora a dover riflettere sulle implicazioni etiche e sociali del loro operato. È evidente che, mentre ci sono persone che godono di una vita sana consumando vino con moderazione, ci sono anche casi di abuso che portano a gravi danni alla salute. La questione centrale diventa quindi: perché beviamo vino? È per il suo effetto inebriante o per l’apprezzamento delle sue sfumature gustative?”. Da qui, nasce una “riflessione necessaria” sulla composizione del vino. “Dall’analisi della composizione del vino - si legge nella relazione di Gerbi - emerge che l’alcol rappresenta solo una frazione del totale. Con l’83-84% di acqua e circa il 13-14% di alcol, il restante 3% è composto da componenti come polifenoli e aromi, che conferiscono al vino le sue caratteristiche uniche. Gli intenditori non si concentrano sul grado alcolico, ma piuttosto sulla complessità dei sapori e degli aromi che ogni varietà e ogni territorio conferisco al vino. Chi conosce i vini soffre nel sentirne parlare come di una qualunque bevanda alcolica, bevuta distrattamente, scelta per sfruttare il suo contenuto in alcol e ottenerne un effetto euforizzante e disinibente. Il vino è invece l’accompagnamento ideale del cibo in uno stile di vita tipico delle popolazioni mediterranee”.
Altro grande tema da affrontare, però, è quello rappresentato dalle opportunità e dalle sfide legate ai vini no-alcol, sempre più sotto i riflettori. “Con l’emergere dei vini dealcolizzati, i produttori - scrive Gerbi - stanno esplorando la possibilità di offrire bevande con ridotto o nullo contenuto alcolico, mantenendo però le proprietà benefiche dell’uva. Tuttavia, questa pratica solleva interrogativi sulla qualità e sul profilo gustativo dei vini, specialmente per quanto riguarda l’equilibrio tra dolcezza, tannicità e acidità”.
Ma tutto deve partire da “Educazione e consapevolezza: la chiave per un consumo responsabile. Il crescente numero di casi di coma etilico tra i giovani solleva preoccupazioni riguardo al consumo irresponsabile di alcol. L’educazione alimentare - ribadisce Gerbi - risulta cruciale per promuovere una maggiore consapevolezza tra i giovani e i loro genitori. È fondamentale che i messaggi sui rischi legati all’alcol siano chiari e completi, evitando semplificazioni eccessive”. Ed in questo senso, le tanto discusse “etichette nutrizionali” applicate anche al vino, secondo Gerbi sono un valore aggiunto. “A partire dalla vendemmia 2024, sarà obbligatorio indicare in etichetta le informazioni nutrizionali e gli ingredienti utilizzati nella vinificazione. Questo rappresenta un passo importante verso la trasparenza, ma è essenziale che i consumatori siano in grado di interpretare correttamente queste informazioni”.
Ma tra piacere e salute, la domanda centrale resta una: occorre rinunciare al vino? “Se l’alcol è un pericoloso cancerogeno, qualunque sia la bevanda che lo contiene e indipendentemente dalla dose assunta, allora il bevitore di vino, saggio e moderato, dovrà considerare l’alcol del vino come un possibile danno collaterale, un pericolo da tenere presente, senza però indurlo a rinunciare al piacere sensoriale di questa fantastica e millenaria bevanda”, conclude Gerbi, sviscerando per sommi capi un tema delicatissimo.
“L’Accademia della vite e del vino è da sempre attenta a tutto quanto gira attorno al mondo dell’enologia - spiega il presidente Rosario Di Lorenzo - quella della dealcolazione è una questione molto sentita e dibattuta tra puristi della tradizione - senza alcol non è vino - e chi si apre alla necessità di dare risposta alle nuove tendenze che si basano anche su aspetti legati alle nuove tendenze dei consumi e di conseguenza dei mercati. Ecco, dunque, che l’Accademia ha prodotto una relazione, curata dal nostro vicepresidente Vincenzo Gerbi, dal titolo “Alcol e vino, un rapporto da ripensare”, per offrire una base scientifica con cui affrontare il futuro di questo settore”.
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