Ad un anno esatto dallo scoppio della pandemia mondiale che ha radicalmente cambiato ogni singolo aspetto della nostra vita, sembra quasi anacronistico dedicarsi a temi che non coinvolgano direttamente il Covid-19 e le sue dirette e difficili conseguenze che anche il mondo del vino deve affrontare. Eppure le dinamiche climatiche, agronomiche ed enologiche, i posizionamenti di mercato, l’educazione all’assaggio, gli approfondimenti sul territorio, sono tutte questioni non solo attuali ma ancora urgenti, come prima del 2020. Non poteva, quindi, mancare nel programma della digital “Valpolicella Annual Conference” - andata in scena online il 26 e 27 febbraio, a sostituire nel modo più incisivo possibile un’Anteprima Amarone 2021 saltata per ovvi motivi pandemici - un approfondimento sulle influenze del cambiamento climatico in Valpolicella e uno destinato alla degustazione. Degustazione declinata in modo innovativo: innanzitutto perché dedicata non solo all’Amarone, ma anche al Ripasso e al Valpolicella; in secondo luogo perché è stato analizzato un’aspetto critico specifico per ognuna delle tre tipologie di vino; in ultimo - non potendo fisicamente e logisticamente organizzare l’assaggio di decine e decine di nuove annate - il Conzorzio della Valpolicella ha pensato di dare un’impronta diversa all’evento, mettendo temporanemente da parte l’esame qualitativo del vino e dell’annata, e concentrandosi, invece, sulla differenza di stile fra i quattro Amaroni, quattro Ripasso e quattro Valpolicella inviati, e soprattutto sulla differenza fra “vino di tecnica” e “vino di territorio”. Motivo per cui la degustazione è avvenuta completamente alla cieca (tramite l’invio di 12 campioncini sottoforma di pratiche micro-bottiglie con tappo a vite da 20 ml) moderata da JC Viens, educatore e consulente marketing di vino italiano nel mondo, coadiuvato via via da tecnici, enologi, Master of Wine ed esperti del settore nazionali ed internazionali.
Innanzitutto il contesto: sempre di più i consumatori chiedono vini che si identifichino col territorio di provenienza (e che siano quindi riconoscibili) e sempre di più chiedono vini “più sani”, tematica ampia che comprende le certificazioni ambientali ma anche le caratteristiche organolettiche del vino stesso, come la leggerezza in riferimento alla struttura e al grado alcolico, (questione che favorisce maggiormente il Valpolicella e in parte il Recioto, mentre sta mettendo in difficoltà l’Amarone). In aggiunta alle sfide del mercato, si aggiungono anche quelle - ormai note - del cambiamento climatico: grande variabilità intra-annuale non più solo inter-annuale, aumento di temperature, siccità o, al contrario, eccesso idrico, aumento di eventi estremi come gelate o grandinate. Il Consorzio Valpolicella aveva già lanciato nel 2011 il progetto RRR - Riduci Risparmia Rispetta, che ha contribuito in modo significativo ad aumentare del 14% la superficie vitata ecologica. Fattore che ha diminuito anche le tensioni fra agricoltori e turisti, che vorrebbero usufruire di un territorio salubre (e quindi favorendo lo sviluppo dell’enoturismo, per lo meno quello futuro).
Anche la ricerca scientifica però non è rimasta con le mani in mano, cercando soluzioni ad hoc per la Valpolicella. Il Crea - Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano ha registrato i cambiamenti avvenuti negli ultimi 20-30 anni, riscontrando la difficoltà di piante e contadini a reagire in modo efficace all’estrema variabilità in atto. Vendemmie anticipate di 2-3 settimane, maturità dei grappoli sbilanciati in favore dello zucchero, appassimenti rapidi a causa di autunni tiepidi e minore umidità relativa, aumento delle altitudini per la messa in posa di vigneti, scelta di vitigni più resistenti (come il Corvinone rispetto alla Corvina), sono parte degli effetti che si stanno riscontrando sul territorio. Diversi sono i metodi di contrasto consigliati dal direttore Diego Tomasi “concentrati soprattutto su scelte agronomiche, perché gli studi genetici su viti e malattie - benché rappresentino il futuro della viticoltura - necessitano di tempi troppo lunghi rispetto alle contigenze”: tornare alla forma di allevamento della pergola, per evitare che gli acini si surriscaldino al diretto contatto col sole (i 30-32 gradi ideali per la sintesi di coloranti di un acino, diventano facilmente 40-45 se esposti al sole diretto in un impianto, ad esempio, a guyot); rendere i vigneti nuovi più flessibili con densità minori, porta innesti più efficaci a regolare la spinta vegetativa delle piante e ad assorbire l’acqua e fertilizzazioni con concimi intelligenti a lento rilascio; dedicarsi al suolo in modo innovativo, rendendo la terra capace sia di smaltire l’acqua in eccesso che accumularla in caso contrario. Il suolo è in effetti un fattore chiave su cui concentrarsi perché meno esposto alla variabilità climatica rispetto alla parte aerea e perché la pianta stessa rinuncia al 30% del suo nutrimento per dedicarlo ai micro-organismi che popolano le sue radici.
Le soluzioni attuabili quindi ci sono, ma il quadro economico e climatico resta complesso soprattutto per l’Amarone, vino da appassimento, che conta fra le sue caratteristiche peculiari proprio una struttura poderosa e un grado alcolico non inferiore al 14% e che, proprio tramite l’appassimento, rinuncia ad una parte della riconoscibilità richiesta dai consumatori. Benché le uve che lo compongono siano infatti strettamente locali (Corvina, Corvinone, Rondinella, Molinara, Oseleta ... sono vitigni che si concentrano per il 98% nella provincia di Verona) e questo permetta di riconoscere l’Amarone dagli altri vini del mondo nel suo complesso, è molto difficile dare un’identità precisa alle diverse origini locali, distinti per vallata. Questo perché le scelte tecniche del produttore incidono maggiormente rispetto alle caratteristiche tipiche del vitigno, amplificandone alcune rispetto ad altre. È quindi possibile distinguere differenze evidenti fra i 4 campioni degustati, come ben descritto dal giornalista polacco Wojciech Bonkowski, tutte però riconducibili alle tecniche enologiche attuate e non alle caratteristiche pedoclimatiche delle vigne da cui sono stati prodotti: tempi di raccolta e tempi di appassimento, contenitori di affinamento, rendono i vini più o meno concentrati, terziarizzati, speziati, a discapito degli aromi primari varietali.
La buona notizia è che le tecniche agronomiche e di appassimento possono correre in aiuto su alcuni aspetti strutturali del vino simbolo della Valpolicella, per preservarne il profilo aromatico distintivo e mitigare gli effetti del cambiamento climatico, in questo caso particolarmente incidenti su grado alcolico e acidità. Secondo l’enologo Enrico Nicolis, la scelta in vigna è determinante (grappoli sani, spargoli, omogeneamente maturi, soprattutto a livello tecnologico in rapporto fra zuccheri e acidi, per dare enfasi alla freschezza) quanto il metodo di appassimento, che deve essere il più lungo e graduale possibile. Anche la fertilità del terreno deve essere in equilibrio, per non dare troppa vigoria alla pianta e permettere agli acini di sviluppare una buccia resistente, ricca dei componenti nobili polifenoli e antociani. La stessa ricerca scientifica ha permesso di stabilire che certe attenzioni permettono di proteggere determinate caratteristiche varietali che si potenziano con l’appassimento. Maurizio Ugliano, professore di Enologia al Dipartimento di Biotecnologie dell’Univeristà di Verona, sostiene che il tipico sentore di pepe nero della Corvina e del Corvinone è strettamente correlato all’appassimento e all’invecchiamento, rivelando via via spiccate note balsamiche, mentolate e di tabacco che preservano la freschezza del vino.
Diverse sono invece le sfide che deve affrontare il Ripasso, vino che sta lentamente tornando in auge sia perché incarna una via di mezzo fra la leggerezza e la spigolosità del Valpolicella e l’opulenza e la morbidezza dell’Amarone (andando incontro al cambiamento dei gusti dei consumatori), ma anche perché la sua produzione secondo tecniche antiche ha finalmente ottenuto un riconoscimento ufficiale, non solo in termini di denominazione (nata del 2010): è infatti recente - del 2019 - il regolamento che stabilisce regole chiare e dettagliate per la produzione di un vino di qualità e non più secondario, che ora può contare su stabilità chimica e aromatica, una certa identità e un preciso posizionamento commerciale. Il Ripasso si ottiene rifermentando il Valpolicella sulle vinacce di Amarone o Recioto: ebbene, come ha spiegato Alberto Brunelli - enologo e consulente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella - secondo le nuove norme, oggi è possibile ad esempio fare un solo “ripasso” (non molteplici con diverse etrazioni); è obbligatorio lasciare un 10-15% di “vino atto a divenire Amarone o Ripasso” nelle loro vinacce (sacrificando quindi una parte di vino di punta per produrre un Ripasso di qualità); inoltre vinacce e vino Valpolicella devono provenire dallo stesso produttore.
Poter giocare su diverse esposizioni, altitudini, allevamenti e poi diversi vini base Valpolicella, diversi tempi di macerazione (doppia) e diversi contenitori, rende anche il Ripasso un vino di tecnica, ma l’apporto di una parte di vino fresco all’interno dell’equazione permette di renderlo leggermente più identificabile all’interno della denominazione, come la degustazione guidata dalla Master of Wine Michelle Cherutti-Koval, ha rivelato, trovando caratteristiche vegetali similari fra i vini provenienti dalla Valpantena rispetto alla zona Classica. Anche il mercato sta reagendo bene, con richieste in aumento per questa tipologia di vino veronese. Un esempio è il mercato norvegese: secondo la Senior Product Manager del Vinmonopole nazionale Tone Veseth Furuholmen, il consumo di vini rossi sta decrescendo, ma restano stabili quelli più leggeri in alcool e struttura, soprattutto se provenienti da territori classici ricchi di storia ed identità, e se rispecchiano una produzione tracciabile e trasparente, sostenibile, sia ambientalmente che eticamente, con un occhio particolare al packaging. È difatti in aumento il consumo di alcolici in lattina e bag in box (anche per fine wines), segmento di mercato da cui rischiano di rimenere tagliate fuori le denominazioni che non prevedono questo tipo di imballaggio.
Infine il Valpolicella, il rosso veronese più sotto tono ma che potrebbe diventare il vero traino della denominazione, dato il contesto. La singola fermentazione da uve fresche consente infatti quella identificazione intra-territoriale che i precedenti due vini non permettono. Ne è fermamente convinto il Master of Wine Nick Bielak, date anche le peculiarità pedoclimatiche della valle: la freschezza delle Alpi alle spalle, il clima mite del Lago di Garda, il gioco caleidoscopico di esposizione, altitudini, ventilazione, vitigni e terreni che derivano dalle 11 diverse vallate che compongono la Valpolicella. Ne è altrettanto persuaso il nuovo e primo Master of Wine italiano Gabriele Gorelli, che prende spunto dall’evoluzione positiva del Beaujolais per proiettare una parabola simile sul Valpolicella. Un vino a base Gamay che ha vissuto una riscossa dalla versione Nouveau (novello), per trovare un suo posizionamento importante fra i vini freschi, croccanti e vibranti. Anche il Valpolicella potrebbe approfittare dei “molti aspetti positivi nel suo essere semplice”, a partire dal posizionamento sul mercato che cerca vini sempre più beverini e immediati.
Entusiasmo leggermente frenato dalla Master of Wine Lin Liu, esperta nel mercato vinicolo cinese a cui guardano sempre più i produttori di vino nel mondo. Associare i vini alle tradizioni culinarie (non solo nel gusto, ma anche nel servizio) della Cina non è affatto semplice. Molti ristoranti, anche stellati, si stanno muovendo in questo senso investendo in formazione e cercando abbinamenti convincenti con una tavola ricca di spezie e sapori dolci. Il Valpolicella può avere un ruolo da protagonista come vino dalla struttura delicata e dal tannino esile, ma solo se trova una sua identità che lo renda riconoscibile. Prova che sembra reggere al bicchiere: la degustazione guidata dal wine educator Alberto Ugolini, ha evidenziato come le opportunità date da un territorio, associate alle scelte del produttore, possano creare vini dall’identità chiara, non solo in riferimento ai vitigni ma anche alla particolare zona da cui provengono. Tornano, infatti, questa volta nette, le caratteristiche erbacee della Valpantena, come anche la diversità di complessità e carattere fra Valpolicella ottenuti da vigne dedicate rispetto a quelli ottenuti da vigne principalmente destinate alla produzione di Amarone.
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