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ANCHE PER IL VINO ITALIANO SI AVVICINA VELOCEMENTE LA CRISI: E' L'OPINIONE DI EMILIO PEDRON, AMMINISTRATORE DELEGATO DEL GRUPPO ITALIANO VINI (GIV)

Italia
Emilio Pedron, amministratore delegato del Gruppo Italiano Vini (Giv)

Ormai i produttori di vino italiano sembravano di non dover temere più nulla per il futuro. Scampati dalla tragica crisi del metanolo e in un mercato euforico ormai da oltre cinque anni erano in pochi a preoccuparsi delle nubi che si stavano addensando nel futuro del nostro settore enologico. A risvegliare un po’ tutti da questo sogno ci ha pensato Emilio Pedron, amministratore delegato del Gruppo Italiano Vini, che, con un fatturato 2002 di 245 milioni di euro, rappresenta il gigante (in termini di numeri) della realtà vitivinicola nazionale. “Già nel 2003, ma soprattutto nel 2004 si faranno sentire fortemente – ha detto oggi a Milano (l'occasione è stata la presentazione del bilancio – i segnali di una nuova crisi per il settore vitivinicolo italiano”. Ma per chi crede che si possa trattare solo di una crisi congiunturale Pedron smorza subito le illusioni: ”Produrre vini di qualità non è più sufficiente – ha aggiunto Pedron – serve rivedere tutta la struttura della nostra vitivinicoltura a partire dalla riorganizzazione della distribuzione, delle reti vendita, della logistica e della comunicazione ma anche delle politiche di sviluppo del settore”. In parole povere, stando all’amministratore delegato del Gruppo Italiano Vini (Giv), per il vino italiano è alle porte una vera e propria crisi strutturale. “Ci eravamo abituati – ha sottolineato Pedron – ad aumenti dell’export a doppia cifra e già nel 2002 si è registrata, invece, una modesta crescita (solo +0,6% nel primo semestre). E il futuro appare più difficile anche per una serie di coincidenze negative come l’ultima vendemmia che è stata tra le più povere degli ultimi cinquant’anni, l’aumento dei prezzi della materia prima e la svalutazione del dollaro Usa”. “Tanto per far capire la gravità di queste tre coincidenze – ha continuato Pedron – gli aumenti dei costi nell’ordine del 15/20% della materia prima (Pinot Grigio in primis, che è, tra l’altro, il vino più importato negli Usa) e la svalutazione del dollaro ci ha portato a far pagare le nostre bottiglie agli importatori negli Usa il 35% in più sullo stesso periodo dell'anno passato”. “Ma questo non è certamente solo un problema del Gruppo Italiano Vini (Giv), ma di tutto il nostro settore” – ha aggiunto Pedron. L’aspetto che poi deve preoccupare maggiormente è che tutto ciò avviene mentre negli altri Paesi, i cosiddetti nuovi produttori (che poi ormai sono decenni che producono), continuano ad aumentare la loro superficie vitata, la produzione e, al tempo stesso, abbassano i prezzi delle loro bottiglie. “Insomma – ha detto Pedron – l’esatto contrario di ciò che avviene in Italia”. A questo proposito vale la pena evidenziare che proprio in questi giorni è arrivata la notizia che Constellation Brands (la seconda azienda vinicola americana) ha acquisito Brl Hardy (la terza maggiore azienda vinicola australiana) per 1,1 miliardi di dollari. E’ nato così, antitrust permettendo, il più grande gruppo enologico del mondo che ha straordinarie potenzialità di arrivare sui mercati internazionali con prezzi decisamente concorrenziali, con distribuzione eccellente e strategie di marketing ideali. Continuare quindi a pensare che l’Italia, comunque, avrà sempre dalla sua un migliore rapporto qualità/prezzo è pura follia. Come pure non si può dimenticare che, mentre una parte del mondo vitivinicolo continua a registrare fusioni e concentrazione dell’offerta, l’enologia del nostro Paese rimane ancora estremamente polverizzata.
Ma i problemi non finiscono qui. La crisi del settore si sta avvicinando a grandi falcate, proprio mentre la maggioranza dei produttori italiani continua a mantenere un notevole ottimismo che si evidenzia in valori fondiari in continua crescita, in un boom vertiginoso dei reimpianti e della ristrutturazione dei vigneti e in continui investimenti in cantina. “Ormai – ha detto Pedron – in Italia sono introvabili i diritti di reimpianto e quando si trovano difficilmente sono al di sotto dei 15.000 euro ad ettaro”. “Se poi si aggiunge – ha proseguito Pedron – gli incentivi previsti dall’Ocm per la ristrutturazione dei vigneti (8.000 euro ad ettaro) e quelli erogati dalla Regioni per i Piani di Sviluppo Rurale, si capisce bene come in Italia si sta assistendo ad una vera e propria rincorsa agli investimenti in vitivinicoltura. Una rincorsa, però, senza una vera politica di sviluppo che tenga conto delle evoluzioni del mercato che, non dimentichiamolo, presenta anche da tempo una stagnazione dei consumi”. Un autobus che corre senza autista, insomma. Basti evidenziare, sempre a questo proposito, che, solo nel Veneto, sono oltre un migliaio le aziende che hanno ottenuto finanziamenti dai Psr (30-35% del costo di investimento) per la creazione di nuove cantine e linee di imbottigliamento.Ciò significa che entro breve altri produttori entreranno in un mercato che già dà numerosi segnali di asfissia.

Cosa fare allora? La ricetta di Pedron parte dalla riorganizzazione del sistema di commercializzazione: “E’ vero che siamo in uno stato avanzato di realizzazione del sistema alta qualità del vino italiano, ma il nostro sistema di commercializzazione continua ad essere inadeguato e costoso e grava eccessivamente sulle tasche dei consumatori”. “Quindi servono – ha proseguito Pedron – nuovi modelli di vendita e nuove regole di marketing e distribuzione a partire dalla logistica che continua ad avere un costo elevatissimo nel nostro Paese. Senza dimenticare l’ipotesi del nostro settore di investire direttamente nella grande distribuzione (che oggi rappresenta il principale distributore dei vini)”.

Ma per il futuro del settore vitivinicolo italiano potrebbe venire in aiuto il nostro Mezzogiorno “dove oggi è possibile produrre vini di alta qualità, in sintonia con le richieste dei nuovi consumatori”. Tutto vero, ma bisogna stare attenti alle speculazioni: sono bastati pochi anni e alcuni grandi produttori che sono scesi ad investire nel Sud per vedere come anche nel nostro Mezzogiorno i prezzi della terra sono saliti enormemente.

Furio Pelliccia

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