“Dobbiamo rimboccarci le maniche perché non basta parlare solo di volumi di esportazione, ci dovremmo soffermare di più sulle quote di mercato. Il problema è che siamo in troppi e troppo piccoli. Inoltre, soffriamo di un eccesso di burocratizzazione che pesa molto sulla filiera e che sta sclerotizzando il settore. La nuova 164 dovrà tener conto di questo esigenze di flessibilità e lasciare maggiore libertà agli imprenditori. Se a livello di singole aziende spesso si opera molto bene, questa parcellizzazione eccessiva non ci permette di incidere con efficacia”. La frammentazione è il problema strutturale non solo del mondo del vino italiano ma anche di altri paesi dell’Unione: “ci vorrebbe un grande sforzo di volontà da parte degli imprenditori che dovrebbero in qualche modo comprimere un’individualità spesso esasperata e cercare di formare delle aggregazioni”.
“In questo processo il mondo cooperativo - continua Sartori - si sta muovendo meglio e più velocemente degli imprenditori privati: ormai è una tendenza in atto da molto tempo. La sfida nel mercato d’altra parte è sempre più difficile anche perché la scenario di fondo sta cambiando velocemente. Basti pensare che oggi la Spagna ha la superficie vitata più grande del mondo e dalla vendemmia 2005 è probabile che ci sorpassi per la quantità di ettolitri prodotti. La Cina, in un lasso di tempo assai breve, ha piantato 450.000 ettari di vigneto diventando il quinto paese vinicolo del mondo. La Francia ha moltiplicato i suoi sforzi proprio perché sta vivendo una crisi molto forte, per non parlare poi dell’aggressività dei paesi produttori dell’area del Pacifico. Insomma la concorrenza sarà sempre più serrata e Francia e Spagna diventeranno sempre più temibili”.
La qualificazione della produzione italiana è un elemento strategico di lungo respiro che, però, si scontra con una percentuale ancora ingente di vino sfuso. Andrea Sartori spiega che “non è solo un nostro problema ma anche di Francia e Spagna. Quando si hanno produzioni così importanti e delle grandi eccedenze, questa è la via più breve per smaltire e realizzare. Per l’Italia penso che questo problema sia legato al ritardo nella riconversione dei vigneti: infatti ci sono ancora delle ingenti superfici impiegate per la produzione di grandi volumi piuttosto che di qualità”.
Ma con quali strumenti affrontare le sfide di un mercato sempre più globalizzato e complesso? “Noi abbiamo delle armi vincenti - prosegue Sartori - quali il territorio, la tipicità, la riconoscibilità, lo stile di vita italiano, la nostra cultura. Il problema è che quest’insieme di fattori positivi non li comunichiamo al consumatore finale, ne parliamo a malapena con il trade. Ciò avviene perché non ci sono né grandi imprese in grado di impiegare risorse in tal senso e né enti o istituzioni con budget adeguati per affrontare delle campagne di lungo respiro per i consumatori dei nostri mercati di riferimento. Tutto ciò avviene in quadro caratterizzato da un’inflazione delle manifestazioni e di entità che le vogliono promuovere. Per questo non vedo molto bene l’aumentare delle manifestazione rivolte al trade anche perché spesso viene utilizzato un modello di comunicazione ormai obsoleto. A mio modo di vedere, bisognerebbe concentrarsi su 3-4 appuntamenti al massimo anche perché non ci sono più risorse per partecipare a tutte le fiere mentre bisognerebbe concentrare e razionalizzare le risorse evitando la dispersione in mille rivoli. Al contrario, vedo molto positivamente e tutte le iniziative di diffusione della cultura del vino intesa nel senso più ampio, rivolte al consumatore finale”.
Andrea Gabbrielli
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