“Se per gli americani bere vino è una questione di life style, per gli italiani il vino è life, talmente è integrato nella nostra cultura”. Perché “il vino si consuma a tavola in compagnia di amici, e l’Italia è l’unico Paese al mondo in cui si accompagna alle diverse cucine regionali da Nord a Sud. Non sono mai riuscito a farmi degli amici offrendo a tavola soltanto acqua minerale, anche della migliore”. E perché “non c’è nessuna altra bevanda come il vino altrettanto ricca di cultura, che affonda le radici nell’umanità, nel paesaggio, nella storia, nella tradizione, nella religione. È la bevanda culturale per eccellenza”. È la riflessione di Angelo Gaja, l’“artigiano” del vino italiano per eccellenza, uno dei produttori italiani più ammirati nel mondo, di ritorno dagli Usa, mercato n. 1 del vino italiano (che, nel 2024, non brilla, ma dove i nostri vini restano leader in volume e migliorano in valore, con 1,11 miliardi di dollari nel primo semestre, in crescita di oltre il 5% sul 2023, ndr), e dalla “New York Wine Experience” firmata “Wine Spectator”, tra gli eventi più prestigiosi dedicati al vino in America, centrale per la sua promozione negli States, che, nei giorni scorsi, lo ha visto protagonista sul palco (unico produttore al mondo a salirvi per l’ottava volta in 43 edizioni, ndr), per un’intervista esclusiva, a “tu per tu”, con il wine editor Marvin R. Shaken , fondatore del gruppo editoriale proprietario della rivista americana, di fronte ad oltre 1.500 partecipanti (la seconda parte, mentre la prima parte era nel numero di Aprile 2024 di “Wine Spectator”, con Gaja in copertina per la terza volta).
Una riflessione che, secondo WineNews, spiega chiaramente il valore del vino italiano come “medium” per raccontare la bellezza dell’Italia attraverso i suoi territori, per il legame che ha con la loro storia, la loro natura, la loro cultura e le loro comunità. Per Angelo Gaja, “l’Italia del vino ha dimostrato di sapere giocare sui due tavoli: quello delle varietà internazionali , che in Toscana hanno saputo fornire eccellenti risultati”, se solo si pensa al “Cabernet italiano più apprezzato al mondo, la bottiglia italiana più ricercata sui mercati internazionali che è quella del Sassicaia” della Tenuta San Guido, a Bolgheri. “Oggi, però, si riconosce come la forza del vino italiano - sottolinea - stia anche nei vini espressi dalle 350 varietà di vitigni indigeni/autoctoni, specifici di ogni regione”, e questo porta a vedere il vino come “parte del sogno italiano, in quanto espressione dell’artigianato, del design, della cultura”. “Ecco perché sono ottimista sul futuro del vino italiano - dice Angelo Gaja - perché le varietà indigene/autoctone offrono uno straordinario incubatoio di diversità, di vini dotati di “sense of place”, non confondibili con i vini di gusto internazionale: sono il nostro “Fort Knox”, dal quale, in futuro, poter continuare ad attingere per conferire loro notorietà internazionale”.
“Non mi sogno di negare che si possano produrre grandi vini in pianura - spiega - le varietà indigene/autoctone offrono, invece, i migliori risultati dai vigneti posti sui pendii collinari. La collina italiana è lo scrigno di qualità dei vini Doc e Docg italiani. E realizza un paesaggio di grande fascino. Nella mia vita ho sempre rifiutato - conclude Angelo Gaja - di mettere il naso nel bicchiere. Molti altri produttori lo sanno fare in modo esemplare. Io ho sempre preferito attingere a 360 gradi, all’immensità di notizie-storie-aneddoti-bizzarrie sul vino che sta fuori dal bicchiere”.
In passato, Marvin R. Shaken ha intervistato “mostri sacri” dell’enologia mondiale come Chuck Wagner della prestigiosa cantina Caymus in California, Christian Moueix di Château Petrus, mito di Bordeaux, Piero Antinori di Marchesi Antinori, la storica famiglia del vino italiano, e Angelo Gaja, di Gaja, indiscusso simbolo dell’artigianalità del vino italiano, per l’Italia. Italia che, come dice, a WineNews, a proposito dell’intervista con il wine editor, “batte 2 a 1 California e Francia …”.
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