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SIMPLY ITALIAN GREAT WINES

Australia, produttore con un’anima da importatore, dove il vino italiano vale 62,5 milioni di euro

Mercato maturo, dalla terra dei canguri nel 2018 sono partiti 1,8 miliardi di euro di vino, verso Cina, Stati Uniti e Regno Unito
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Il vino italiano in Australia, mercato da 62,5 milioni di euro

Barbera, Nebbiolo, Sagrantino, Sangiovese, Vermentino ... Sembra un manuale di ampelografia del Belpaese, e invece non è altro che uno stralcio della lista, lunghissima, delle varietà coltivate in Australia. Dove la viticoltura è arrivata, e non potrebbe essere altrimenti, solo alla fine del XVIII secolo, portata dai coloni europei dal Vecchio Continente e dal - relativamente - più vicino Sudafrica. Per prime, hanno trovato spazio le varietà internazionali, come Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e, soprattutto, Syrah, diventato nel tempo il vitigno simbolo del Nuovissimo Mondo, che della produzione vitivinicola ha fatto uno dei suoi pilastri economici. Senza alcun tipo di restrizione o lacciolo, tanto che oggi, tra gli oltre duemila produttori australiani, sono centinaia gli ettari coltivati a varietà tipiche italiane, creando, nel rapporto con il Belpaese, qualche grattacapo, per non parlare di vero e proprio scontro, come racconta l’annosa querelle del Prosecco, difficilissimo da difendere in un mercato del genere. Ma non impossibile, perché l’Australia, come racconta dalla tappa di Sidney del Simply Italian Great Wines firmato Iem la direttrice dell’Italian Trade Agency della metropoli australiana Paola De Faveri, “è sì un Paese produttore, ma anche un grande importatore, specie di vini premium, con l’Italia che gioca un ruolo sempre più centrale”.

In effetti, l’Australia è oggi uno dei principali esportatori di vino nel mondo, specie verso Cina, Stati Uniti e Regno Unito, per un valore complessivo delle spedizioni pari a 1,8 miliardi di euro nel 2018 (+3,13%). Le importazioni, in particolare dalla Nuova Zelanda, rappresentano una quota importante del vino distribuito sul territorio australiano, e nel 2018, il valore complessivo delle importazioni di vino in Australia è stato di 529 milioni di Euro. Anche se in continua flessione (-7,34% rispetto al 2017), la Nuova Zelanda si aggiudica la quota maggiore (40,17%) delle importazioni di vino, seguita dalla Francia con quasi il 39% e dall’Italia, che si colloca al terzo posto con un valore del proprio export pari a quasi 62,5 milioni di euro e una quota sulle importazioni del 11,8% con una crescita del 17,7%.

L’Italia esporta in Australia soprattutto vini da tavola e spumanti, per un valore, rispettivamente, di 33,9 e 27 milioni di euro. Per la prima tipologia, il segmento più rilevante è il vino rosso, con un valore che supera i 20 milioni di euro, con i vini bianchi a 12,8 milioni di euro. L’industria della produzione di vino in Australia ha beneficiato negli ultimi cinque anni della crescente domanda globale di vino australiano e un miglioramento nella determinazione dei prezzi di vendita, tanto che la crescita delle esportazioni, trainate dal deprezzamento del dollaro australiano e dagli accordi di libero scambio con Corea del Sud, Giappone e Cina, hanno avvantaggiato gli operatori del settore nel periodo. Questi ultimi hanno anche registrato un aumento della domanda da parte di rivenditori di liquori, pub, bar e locali notturni. Di conseguenza, il fatturato dell’industria ha evidenziato una crescita ad un tasso annuo del +1,8% nel quinquennio, fino al 2017-18, per raggiungere i 6 miliardi di dollari australiani. Si stima che il fatturato dell’industria cresca del +3,6% nel corso dei cinque anni, al 2022-23, per raggiungere i 7,2 miliardi di dollari.

Secondo l’Australian Bureau of Statistics il volume di vino disponibile per il consumo è stato di 561 milioni di litri nel 2016-17, il più grande volume mai registrato, con il secondo più alto nel 2015-16 (559 milioni di litri), mentre in termini di consumo pro capite il volume è pari a 28,4 litri, pari a 5,5 bicchieri (bevande standard) a settimana per ogni persona di 15 anni e più, il che fa del Paese uno dei principali consumatori al mondo almeno per consumi medi. Numeri che fanno dell’Australia un Paese assolutamente maturo, in cui però, come sottolinea la direttrice dell’Ice, “manca una grande fiera del vino. Non si contano le piccole fiere, ma per trovare uno spazio adeguato alla promozione del vino italiano ci dobbiamo rivolgere alla “Fine Food”, l’unica fiera di respiro internazionale, dove il vino italiano è presente e promosso. Le opportunità, comunque ci sono, ma bisogna essere presenti ed educare il consumatore, considerando sempre le peculiarità dell’Australia, un Paese di 25 milioni di abitanti ma a bassissima densità, con distanze a volte incolmabili”.

Ma com’è il rapporto del wine lover della Terra dei Canguri con il vino italiano? Ne abbiamo parlato con uno dei massimi esperti del mondo enoico del Belpaese nel più remoto dei mercati del del mondo, Peter Bourne. “Il nostro è uno dei Paesi più importanti in termini produttivi, ma questo, al di là di qualche problema come quello legato alla difesa ed alla tutela del Prosecco, che è comunque un settore produttivo importante anche per noi, non restringe troppo lo spazio alle importazioni, con la Francia, trainata dallo Champagne, sempre al top, seguita dalla Nuova Zelanda, che per noi è ovviamente il primo partner commerciale, e dall’Italia, che deve necessariamente ritagliarsi una nicchia, perché l’Australia gode di un consumo medio altissimo, ma lo spazio è soprattutto nella fascia premium”. Dove ricade, giocoforza, buona parte delle esportazioni italiane, su cui gravano, oltre alle spese di spedizione, un dazio del 5%, cui va aggiunta l’Iva e la tassa sugli alcolici, che per il vino persa per il 29%, così che il prezzo finale è di poco inferiore a quello spuntato dal mercato Usa.

“In Australia - aggiunge Peter Bourne - coltiviamo ogni sorta di varietà, comprese quelle italiane, che bene si adattano ad un clima caldo come il nostro, e questo apre, in un certo senso, le porte della conoscenza agli alfieri della produzione italiana, come Nebbiolo, Sangiovese, Sagrantino, consapevoli che le declinazioni migliori sono quelle del Belpaese. Che trovano spazio principalmente nelle carte dei ristoranti, in una nicchia piuttosto consistente e che ha ancora ottime possibilità di crescita. Il wine lover australiano, in linea con gli stipendi medi spuntati nel Paese, ha una capacità di acquisto eccezionale, nonostante una certa difficoltà di penetrazione del mercato da parte dei consumatori più giovani, particolarmente attratti dai vini naturali ed organici, nonostante la mancanza di una certificazione e univoca”.

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