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DEAL

Brexit, buone notizie per il made in Italy agroalimentare: sarà un’uscita morbida

Niente dazi su vino e altri prodotti italiani, che in Uk valgono 3,4 miliardi di dollari. Burocrazia e concorrenza i prossimi ostacoli
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Boris Johnson, premier Uk, verso una hard Brexit che mette a rischio il made in Italy

Alla fine, l’ha spuntata la Gran Bretagna. Dopo un lungo ed estenuante braccio di ferro tra Londra e Bruxelles, iniziato nel 2016, l’accordo raggiunto tra Ursula Von der Leyen e Boris Johnson non prevede dazi o quote: la Brexit non sarà hard, e il mercato comune è salvo. Per l’Unione Europea non è il risultato politico sperato, ma le aziende del Vecchio Continente, che nel Regno Unito hanno un mercato fondamentale, possono tirare un bel sospiro di sollievo. A partire da quelle dell’agroalimentare made in Italy, che potranno così continuare a esportare senza dazi o quote nel loro quarto mercato di sbocco commerciale, per un valore complessivo di 3,4 miliardi di euro. Una grande notizia, anche se la burocrazia sarà un ostacolo non da poco, a cui le imprese italiane, solitamente di piccole dimensioni, dovranno sforzarsi di adeguarsi in fretta. Restano sul tavolo comunque problematiche non da poco da affrontare e risolvere, come le certificazioni e gli standard sanitari e di sicurezza, non propriamente cose da poco.
Comunque sia, l’accordo sulla Brexit, raggiunto proprio alla vigilia di Natale, ha trovato il plauso e la soddisfazione di tanti, a partire dalla Ministra della Politiche Agricole, Teresa Bellanova.
“Ho appreso con soddisfazione del raggiungimento di un’intesa sui futuri rapporti commerciali tra la Ue e il Regno Unito. Confidiamo sia un buon viatico per il nostro export in un momento già molto complesso. L’Italia - commenta la Bellanova - potrà continuare ad esportare prodotti agroalimentari senza dazi e senza quote e questo è un risultato importantissimo. È poi assicurata la prosecuzione della massima tutela alle indicazioni geografiche esistenti al 31 dicembre 2020, come previsto dall’accordo di recesso, e ci ripromettiamo di lavorare con i Paesi like-minded affinché adeguata protezione sia data anche alle future Indicazioni Geografiche registrate dopo il definitivo abbandono del Regno Unito dall’Ue”.
Un plauso all’Europa e alla sua capacità di tessere la tela della trattativa che ha portato all’accordo sulla Brexit arriva anche da Paolo De Castro, relatore sulle future relazioni commerciali tra Unione europea e Regno Unito per il Gruppo dei Socialisti e Democratici. “La notizia era nell’aria, ma mancavano i dettagli prima dell’annuncio ufficiale: il precipizio di un’uscita del Regno Unito dall’Unione senza accordo è stato scongiurato, anche se la Brexit rimane un errore di cui presto gli amici inglesi si renderanno conto. La libertà di circolazione di persone, beni, servizi e capitali continuerà a esistere, e le merci italiane ed europee potranno continuare a essere esportate nel Regno Unito senza alcun dazio. Il tutto, nel rispetto da parte di entrambe le sponde della Manica dei più alti standard sociali e ambientali. Ora - prosegue De Castro - la palla passa al Parlamento europeo che si prenderà il tempo necessario per garantire un appropriato scrutinio democratico dell’accordo prima che possa entrare ufficialmente in vigore. Oggi - conclude l’eurodeputato - l’Unione europea ha dato prova della sua forza, grazie all’unita tra il Parlamento europeo e i 27 Stati membri e al pieno supporto al nostro capo-negoziatore, Michel Barnier: il suo lavoro e la sua perseveranza hanno permesso di raggiungere questo risultato fondamentale per i nostri cittadini e le nostre imprese”.
Dal mondo agricolo italiano non si sono fatte attendere le reazioni, tutte positive, delle organizzazioni di categoria. Secondo la Cia - Agricoltori Italiani occorre, adesso, mantenere una stretta vigilanza sulla governance dell’accordo, per evitare danni futuri alla libera e leale concorrenza. L’accordo raggiunto rappresenta per Cia - Agricoltori Italiani una boccata d’ossigeno per il made in Italy agroalimentare, specialmente in questa lunga fase pandemica con pesanti ricadute sul fronte della crescita economica. Un “no deal” avrebbe determinato barriere tariffarie, minore domanda interna nel mercato inglese e il deprezzamento della sterlina, penalizzando i prodotti italiani più venduti nel Regno Unito. In primis, il vino, che rappresenta il 24% del totale delle esportazioni agroalimentari Oltremanica, con un fatturato superiore a 830 milioni di euro. Di assoluto rilievo anche il nostro export di ortofrutta trasformata (13%) e ortofrutta fresca (6%), così come dei prodotti da forno e farinacei (11%) e dei prodotti lattiero-caseari (9%). Hanno un forte impatto su questo primato i prodotti ad Indicazione Geografica Protetta (Igp), che incidono per oltre il 30% sulle nostre esportazioni verso Londra e che grazie all’accordo commerciale raggiunto continueranno a essere riconosciute e tutelate in territorio britannico.
A partire dal Prosecco, il vino che più di ogni altro è stato capace, negli ultimi anni, di conquistare il palato dei wine lovers inglesi, partendo quasi da zero, come ricorda a WineNews Gianluca Bisol, che ha venduto le sue prime bottiglie di Prosecco Superiore in Inghilterra nel 1989, “quando nessuno in Inghilterra beveva bollicine italiane. L’accordo raggiunto tra Jonhson e Von der Leyen è di fondamentale importanza per noi produttori di Prosecco Superiore in quanto l’Inghilterra in soli 30 anni è diventata il principale mercato oltre confine per il nostro prodotto. Non voglio immaginare quali esiti avrebbe avuto un no deal su un tema così importante quale il libero scambio tra Europa e Inghilterra, sicuramente avrebbe depresso in maniera importante le conquiste fatte su quel mercato in questi 30 anni. Mi ricordo quando vendetti la prima bottiglia di prosecco superiore al Ristorante Cecconi’s di Piccadilly Circus, considerato il migliore ristorante italiano a Londra, la soddisfazione era tanta perché fino ad allora in quella piazza aveva regnato incontrastato solo lo Champagne e tutti mi dicevano che sarebbe stato impossibile vendere Prosecco a Londra. Oggi ogni bottiglia di Champagne venduta in Uk se ne vendono 7 di Prosecco”, racconta Bisol.
La Gran Bretagna, ricorda la Coldiretti, si classifica al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti.
“È stato evitato l’arrivo di dazi e ostacoli amministrativi e doganali alle esportazioni made in Italy”, ha sottolineato il presidente Coldiretti, Ettore Prandini, ricordando che “l’agroalimentare in Uk ha registrato un aumento dell’1%, in controtendenza rispetto al crollo generale nei primi mesi del 2020”. A preoccupare, secondo Coldiretti, erano anche i rischi sulla mancata tutela giuridica dei prodotti a indicazioni geografica e di qualità - Dop e Igp - che, senza protezione europea, rischiavano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione inglesi e da Paesi extracomunitari. Dopo il vino, che complessivamente ha fatturato nel 2019 sul mercato inglese quasi 771 milioni di euro, spinto dal Prosecco, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi e dell’olio d’oliva. Come anche il flusso di Grana Padano e Parmigiano Reggiano per un valore attorno ai 85 milioni di euro.
“Un’ottima notizia che arriva a conclusione di un anno particolarmente difficile. È stato scongiurato il ridimensionamento delle nostre esportazioni agroalimentari sul mercato britannico e l’insorgere di forti tensioni sui mercati agricoli della Ue. Da sottolineare anche la tutela assicurata alle indicazioni geografiche protette”. Così il presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, sull’intesa siglata dalla Commissione Ue e da Londra, che passa ora al vaglio del Parlamento e del Consiglio Ue. Senza un accordo, rileva Confagricoltura, le esportazioni agroalimentari della Ue - che ammontano a oltre 40 miliardi di euro l’anno - sarebbero state gravate da un dazio doganale medio di circa 20 punti percentuali, con punte fino al 70% per alcune produzioni zootecniche. Il valore dei prodotti di settore in arrivo dall’Italia sfiora i 3,5 miliardi. Dall’inizio del 2021 il Regno Unito uscirà dal mercato unico e dall’unione doganale, e “il Regno Unito sarà a tutti gli effetti un Paese terzo - sottolinea il presidente di Confagricoltura - con alcune sostanziali novità sulle quali dovremo concentrare la nostra attenzione. Tutti i prodotti destinati al mercato britannico dovranno essere accompagnati da una dichiarazione doganale e saranno ripristinati i controlli fitosanitari. Aumenteranno quindi gli adempimenti amministrativi e i costi per i nostri operatori. Ai fini della salvaguardia del mercato unico europeo, dovremo poi verificare l’efficace funzionamento del sistema dei controlli sulle merci britanniche destinate all’Irlanda del Nord: potrebbero arrivare sui nostri mercati prodotti non conformi agli standard europei. Inoltre, gli accordi commerciali del Regno Unito con i Paesi terzi, già in fase di negoziato, faranno aumentare la concorrenza nei confronti delle nostre produzioni. Dovremo perciò rafforzare le iniziative promozionali e trovare nuovi mercati di sbocco per i prodotti del made in Italy agroalimentare”.

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