La grande Cina, assetata di vino, ma anche di cantine. E se diversi imprenditori o gruppi cinesi hanno già investito in vino anche fuori dai confini nazionali, in Francia soprattutto, ma anche negli Stati Uniti e in Australia, per esempio, c’è da pensare che sia solo questione di tempo, prima che “il Celeste Impero” pianti qualche bandierina enoica anche in Italia. E c’è da aspettarsi che gli investitori asiatici, come hanno fatto in altri Paesi, puntino a territori leader, dal Barolo alla Valpolicella, da Montalcino al Chianti Classico, da Bolgheri alla Franciacorta, solo per fare gli esempi più immediati. Lo conferma, a WineNews, anche Roberta Crivellaro, dello studio legale internazionale Withers LLP: “dai nostri uffici di Hong Kong, nell’ultimo anno, abbiamo avuto richieste di interesse, sia di investitori privati che di gruppi imprenditoriali, che cercano realtà vitivinicole italiane. Che poi si concretizzino è un altro discorso, ma è un interesse che prima non c’era”. D’altra parte, che il Belpaese enoico sia, da tempo, attrattore di capitali stranieri, è un fatto conclamato: solo il 2011 ha visto passare due colossi come la toscana Ruffino nelle mani americane di Constellation Brands e la piemontese Gancia in quelle di Russian Standard Corporation, e, ancora, l’americano Louis Camilleri, alla guida di Altria Group Inc, la holding che controlla il gruppo Philip Morris, ad acquistare, a Montalcino, villa & tenuta “Il Giardinello”, solo per citare alcuni dei casi più recenti. Se l’Italia del vino attira investimenti da ogni parte del mondo, dunque, pare solo questione di tempo l’arrivo di capitali asiatici nel Belpaese. Ma c’è anche chi sostiene che i tempi, forse, non siano ancora del tutto maturi, come il professor Stefano Cordero di Montezemolo, direttore dell’European School of Economics e professore all’Università degli Studi di Firenze. E non perché l’Italia non abbia appeal. Ma “perché i cinesi - spiega a WineNews - stanno investendo tanto in patria, e all’estero cercano grandi realtà leader. E quelle che ci sono in Italia non sono in vendita, o comunque, storicamente, poco propense ad aprire il proprio capitale ad investitori stranieri”. Ma non ci sarebbe da stupirsi se una pioggia di Yuan arrivasse sulle cantine italiane ...
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